Roma, 09 marzo 2019 – “La governante”, testo-scandalo di Vitaliano Brancati, resiste asserragliato sul palcoscenico del teatro Quirino al suo destino pre-tracciato.
Qui, è la società siciliana( ma anche italiana) ad essere nel centro del mirino, è la mentalità cattolico-perbenista dell’epoca, quegli anni ’50 in cui scriveva Brancati, una società che aveva il fulcro ben infisso sui costumi sessuali, che lo scrittore cercava di catechizzare. Sesso come emblema dell’essere.
Ma questa pièce in particolare punta il dito anche contro il perbenismo ipocrita e sessuofobo, il gallismo mascolino conclamato come diritto predatorio inesausto e, nascosto fra le pieghe di un bigottismo esasperato, il diverso orientamento sessuale di una donna ancor giovane, la governante Caterina, che non sa difendersi o anche solo accettarsi e che si vendica di se stessa sfoderando una crudeltà nuova, una voglia di repressione, che lo porta ad accusare del proprio inconfessabile delitto una vittima innocente sulla quale proiettare il se stesso inaccettabile. Un modo tortuoso di confrontarsi con il senso di colpa che trascina gli eventi fino all’epilogo.
Poi, attorno c’è ancora la famiglia piramidale, la leggerezza sfrontata della donna stereotipata nel ruolo di bella e civetta; c’è un signore borghese di una certa età che tutta la vita si è rassicurato sulle sue apertura mentali, quando in realtà non sono che una pennellata di ipocrita vernice trasparente sotto la quale formicolano idee ristrette e retrive.
Vitaliano Brancati pensò i suoi personaggi a Roma, in una bella casa borghese con le finestre che guardano il Vaticano. Qui vive il pater familias Leopoldo Platania, che dalla Sicilia si è portato dietro il fardello di una colpa inestinguibile e di un inesauribile dolore per aver causato proprio per i suoi pregiudizi, per quella sua morale miope il suicidio della figlia. Con lui, in una bella casa, resa sul palcoscenico da una scena bella e articolata su gradoni di diverso livello che moltiplicano gli spazi rendendo conto dei vari topoi (Salvo Manciagli), vivono il figlio Enrico( Rosario Marco Amato), con la bella e provocate Elena, la moglie (Caterina Milicchio), Iana (Nadia De Luca), una camerierina un po’ selvaggia portata con sé tra gli altri bagagli che ha un modo infantile di rapportarsi con tutti e una giovane donna francese, Caterina Leher, neo assunta come governante per il nipotino. Caterina è calvinista e severa, silenziosa ed efficiente, ma nasconde un segreto che nell’evolversi della vicenda sarà il punto di partenza di una serie di eventi drammatici che provocheranno la tragedia finale.
Sul palcoscenico del Quirino torreggia Enrico Guarneri, sue tutte le sfumature di un personaggio che riesce a suscitare sorrisi mentre lievita inglobando in sé un mondo di sfumature che vanno dalla curiosità, al rispetto per Caterina, quella donna austera e pia che va in chiesa tutte le domeniche, alla fermezza di un padre-padrone pronto a criticare la leggerezza della nuora, non insensibile alle lusinghe dalle scrittore Bonivaglia (Rosario Minardi), a momenti di bonomia divertita con il portiere giunto dalla Sicilia per testimoniare a discolpa del padrone, alla tolleranza per il gallismo del figlio, alla tenerezza verso la giovanissima servetta, all’implacabile punitore della stessa, accusata ingiustamente di tendenze omosessuali da Caterina. Gli è accanto la brava Ornella Muti, in un ruolo complesso che fu egregiamente interpretato da Anna Proclemer ed è rimasto nella memoria legato a lei indissolubilmente. Accanto alla Muti, nel piccolo ruolo di Francesca la bella Naike Rivelli, sua figlia.
La regia, affidata a Guglielmo Ferro, è duttile, segue e illustra gli eventi narrati con proprietà, sottolinea i personaggi dando loro quel piglio voluto da Brancati e tanto apprezzato nel mondo dopo le peripezie con la censura che accompagnarono quest’opera del 1952, tanto che la prima rappresentazione avvenne a Parigi nel 1963 e dovette aspettare ancora due anni, esattamente il 22 gennaio del 1965, quando in Italia fu abolita la censura, prima di essere proposta in Italia con Giuseppe Patroni Griffi alla sua prima prova di regia, con la incommensurabile Proclemer protagonista e un grande Gianrico Tedeschi nel ruolo di Leopoldo Platania