Roma, 12 ottobre 2018 – Brillante malinconia al Teatro Quirino con “Quartet”. Due modi soprattutto per viversi la vecchiaia, imperiosi e opposti: anticamera della morte e perciò intessuta di rinunzie, di frustrazioni, rimpianti e di quel senso dell’attesa del Grande Nulla, ovvero farla scivolare sui binari paralleli di un presente che attinge ai doni doviziosi di tutta la vita che scorre alle spalle.
Una risposta al dilemma può darla “Quartet”, deliziosa commedia di Ronald Harwood, scelta dal Teatro Quirino per l’apertura della stagione, firmata registicamente da Patrick Rossi Gastaldi e con un quadrifoglio di eccellenti attori.
Da questa commedia è stato tratto un bel film nel 2012 , con la sceneggiatura anche dello stesso autore, e col debutto nella regia di Dustin Hoffman e un cast di attori di prim’ordine capeggiati da Maggie Smith, Tom Courtenay, Billy Connoly e Pauline Collins, attorniati da veri musicisti in pensione.
La vicenda ci conduce in una casa di riposo per ex artisti lirici, nel momento in cui si stanno per mettere a punto gli omaggi per il genetliaco di Giuseppe Verdi. Qui, sono ospitati, fra gli altri, tre dei cantanti che avevano fatto il loro cavallo di battaglia di “Bella Figlia dell’amore”, il quartetto dal ‘Rigoletto’ e uno dei più belli di tutta la letteratura operistica, colonna sonora dello spirito caustico e delle “zingarate“ di ‘Amici miei’ di Monicelli.
Poi, nella casa di riposo arriva la Diva (impersonata con classe e un pizzico di cinismo) da Erica Blanc, celebrata interprete del personaggio di Gilda, soprano dagli amori plurimi, che nel corso dell’esistenza aveva anche sposato per 9 ore Rodolfo, il bel tenore indimenticato Duca di Mantova.
Allora si può ricostruire il quartetto, richiamando alla memoria e all’attualità i successi e i fasti della giovinezza artistica? Quei cantanti, che sono anche un campionario delle devianze dell’età, vivono ora l’annientamento progressivo della memoria, con la ragione vacillante e le forze solo ricordate. È anche il tempo di furori improvvisi, di quell’implacabile scivolare nella violenza verbale a lungo contenuta per farla poi traboccare in un vaso che non ha più il coperchio dell’autocensura.
Quella violenza che si attiva in Rodolfo (Giuseppe Pambieri, elegante e versatile, come sempre ) perché non gli danno la marmellata di cotogne a colazione.
La vecchiaia di Titta (il Baritono protagonista di ‘Rigoletto’ indossato brillantemente da Cochi Ponzoni) si maschera da dongiovannismo, sfarfalleggiando per nascondere il vuoto incolmabile della perdita della compagna della vita, giocando su desideri sessuali tutti mentali che non possono trovare soddisfazione.
Mentre la dolce Cecy (Paola Quattrini, nel ruolo dell’osannata Maddalena, mezzosoprano), appassionata di Wagner che ascolta costantemente in cuffia mimando i suoni lirici, ormai un po’ svanita, confonde i piani dei ricordi, ripescando dall’infanzia in un’Africa lontana e mitica, che si condensa nella battuta più volte ripetuta Adis Abeba, momenti di memoria che saltano su e chiedono udienza all’oggi. Indomiti e teneri, ma anche brillanti e vitali. gli ospiti della casa di riposo vivono le gioie sfrondate dell’amore decantato dagli anni, per il divino Verdi, innanzitutto, ma anche per quella scintilla che era rimasta accesa e nascosta dalla polvere del tempo e che ora torna a risplendere fra Gilda e Rodolfo.
Bella e funzionale la regia di Patrick Rossi Gastaldi che ha fatto un lavoro introspettivo sui diversi personaggi, mettendone in luce i caratteri e le personalità e conservando brillante leggerezza e armonia, ma anche una dolce nostalgia che è poi il motivo del successo di questa commedia.