Spettacolo

Teatro Quirino – “Regalo di Natale” di Pupi Avati per la regia di Marcello Cotugno

Il rifugio nell’illusione

Roma, 10 maggio 2019 – Notte di Natale, villa al mare isolata e un programma comune a milioni di uomini nel clima di festa: giocare una serata a poker, liberi di bere, fumare e raccontarsi, come è giusto sia fra quattro amici che si ritrovano.
Ma è tutto davvero così semplice? Dopo molti, troppi anni, davvero ci si può ancora riconoscere in una amicizia spensierata e goliardica? E quali sono i confini tra il gioco passatempo e la ludomania che mentre rinfocola la speranza di un miracoloso guadagno distrugge non solo patrimoni, e intacca le coscienze e crea bisogni insopprimibili e compulsivi? Tematiche che si agitano in quegli anni ’80 nel premiato ‘Regalo di Natale’ di Pupi Avati ed ora adottate, sul palcoscenico del Quirino, anche dal regista Marcello Cotugno, nel testo adattato per la scena da Sergio Pierattini che ne è filiazione e che è stato attualizzato per tanti punti di contatto riscontrati, come il precariato e la recessione, e il rifugio nell’illusione, nelle chimere di vincite a slot, poker texano e ai vari casinò. Lo spettacolo riscuote un non scontato successo per la felice trasposizione del linguaggio cinematografico in quello teatrale, per la regia che conserva le dinamiche fisiche del film e anche per la magia di un cast di attori in perfetto amalgama.
In una scena moderna di Luigi Ferrigno con scarsi elementi, un tavolo girevole, una sorta di ruota della vita che di volta in volta fissa come in un caleidoscopico uno dei giocatori, poche sedie e un carrello di liquori, illuminata anche da un albero di Natale stilizzato e un po’ sgangherato non fosse per quelle luci di decoro, si ritrovano Lele, Stefano e Franco, personalità diverse e con problematiche di vita differenti con Lele (irresistibile Giovanni Esposito uno dei maggiori caratteristi comici del panorama italiano), scrittore in cerca di un editore per il suo libro su John Ford, disilluso dal lavoro di critico teatrale e per essere stato scavalcato da un esponente di quella classe di ferro di giornalisti, pericolosamente inossidabili e immortali, che si trascinano nell’incarico fino al momento di esalare l’ultimo respiro.
Stefano (Gennaro Di Biase), che ha procurato la location per la partita, proprietario di una palestra, è vessato dai problemi con l’Agenzia delle Entrate e una nottata sì, sul tavolo verde potrebbe essere l’ancora di salvezza da una crisi senza vie d’uscita.
Arriva anche Franco, (Filippo Dini) l’unico che ha conquistato un apparente benessere con il suo cinema al centro di Milano, che in verità avrebbe bisogno di una costosa ristrutturazione, ed è inoltre anch’egli gravato dalla necessità di assegni divorzili da corrispondere e di una nuova famiglia da portare avanti con figli piccoli.
Giunge infine Ugo (Valerio Santoro), che da anni ha rapporti critici con Franco, dopo avergli “rubato” la moglie Martina e averla solo dopo pochi mesi lasciata in cerca di altre storie.
Un’esperienza che ha provocato la cesura dei rapporti con l’amico, il quale tenta di andar via per evitare l’incontro, salvo poi ad acconsentire quando i compagni lo avvertono che Ugo condurrà con sé l’avvocato Sant’Elia (Gegio Alberti), noto perdente al tavolo verde, ben felice di farsi spennare, lui che si è fatto ricco con la sua fabbrica di bambole meccaniche e elettroniche in tutto simili a creature umane ma molto più disponibili, pensate per un’élite di cultori di strani amori.
Il cerchio ora può chiudersi e attivare le dinamiche imprevedibili che vecchi rancori, fallimenti, menzogne, inganni e sconfitte hanno messo sul tappeto.
C’è un sordido sotterraneo livore che finisce per impadronirsi dei quattro amici, schermati dalle turbolenze vescicali del vecchio Sant’Elia.
Mentre il sorriso goliardico si spegne, il tavolo si anima fra bluff, rilanci, “parole” che diventano la colonna sonora del malessere dei giocatori, essi stessi pedine di un gioco segreto, più sottile, più cinico, che si trascina fino al coup-de-théâtre finale con uno scioglimento che chiude circolarmente il dramma umano degli amici.

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