Roma, 23 novembre 2020 – L’imbrunire: quella zona di mezzo che “volge al desio e ai naviganti allieta il cuore” è il momento in cui la realtà diventa a-sincrona, nemica e impossibile da dominare se non ignorando la propria condizione di solitudine e di abbandono. È la vecchiaia che ancora non ha saputo cogliere le alternative offerte dalla vita, ma che non si è arresa al lento progressivo distacco da essa.
In questo limbo tra vita e morte vive il personaggio di Silvio Orlando, omonimo del bravissimo attore che lo rappresenta in scena, fra queste pareti fantasmatiche di Roberto Crea, che fanno pensare alla pittura metafisica di un Savinio sotto l’effetto della curatissima illuminazione di Umile Vainieri, qui, sul palcoscenico del Teatro Quirino che con questo ”Si nota all’imbrunire (Solitudine di un paese spopolato)”, imbocca ancora una volta il successo del sold out.
Il testo di Lucia Calamaro è polivalente e si presta persino ad una decodifica psicoanalitica: Silvio allora, in tutto questo bianco, che richiama un paesaggio che ha cominciato a perdere la propria identità-colore, sembra abbia compiuto il rito di passaggio verso l’Altrove sconosciuto, mentre le figurine che lo circondano, ostinatamente bianche nelle vesti (costumi di Ornella Campanale), diventano evanescenti memorie dei tre figli, di cui si è portato dietro piccoli ricordi che li caratterizzano: Alice (Alice Redini) può continuare ossessivamente a riproporsi come poetessa, mentre spaccia per propri versi di Caproni, l’altra, Maria (Maria Laura Rondanini), in apparente perfetto inserimento nella realtà, subisce con smania il ruolo di raccordo consegnatele dalla famiglia, il figlio, Vincenzo (Vincenzo Nemolato), vive il dramma avvilente di eterno precario pronto a fare i lavori più estremi e impensabili, collezionista inevitabile di attestati di formazione inutili perché disordinati e senza sbocco lavorativo. Il fratello, infine, Roberto (Roberto Nobile) sembra tenersi stretto lo scampolo di giovinezza di cui ancora dispone, ed è in lotta continua verso certe istanza giovanistiche e la inevitabile resa al correre degli anni, sovrastato dalla paura.
Lo spettacolo si apre con i richiami di Silvio agli ospiti, un’occasione importante li ha riuniti tutti nella casa di campagna dove egli vive tutto solo: i dieci anni della morte della moglie e il suo compleanno. Man mano che la scena si movimenta, si presenta una sconcertante realtà: la vecchiaia è l’assenza di ogni entusiasmo, si determina all’opposto di ogni normalità: essa inquadra il personaggio di Silvio e il suo rifiuto di interagire preferendo piuttosto restare seduto ad attendere il nulla, per proteggersi dalle delusioni che costellano l’esistenza, ma anche consapevole che gli altri mano a mano si vanno dimenticando di noi.
Con la forza di un dialogo che mescola sapientemente il comico con il drammatico per ottenere un pregevole linguaggio umoristico, inverando la definizione di Pirandello,ovvero “la soglia di esitazione fra il riso e il pianto”, Lucia Calamaro, qui anche regista dello spettacolo, offre un testo che esplora con sapiente intelligenza le più intime sfere della vita di un anziano, che ruotano attorno alle sue ansie esistenziali, alla paura di non poter o saper comunicare, e si affina nella interpretazione di Orlando, ironica e piena di leggerezza per delineare compiutamente le molteplici sfumature del suo personaggio, la sua profonda solitudine, le sue clausole egoistiche e maniacali verso gli altri, la sua volontà di non assumere più una posizione eretta ma starsene lì, seduto “ad aspettar la morte”.