Temirkanov e la magia russa
Parco della Musica – La celebre Filarmonica di San Pietroburgo
Roma, 16 giugno – Un pifferaio magico, un condottiero alla testa di un esercito di prodi devoti, un incantatore che suscita vuoi con la bacchetta, vuoi con il gesto ampio e misurato del corpo, vuoi con l’intensità magnetica della lettura della partitura da eseguire, vuoi ancora con la profonda empatia di volta in volta accesa, un’intesa perfetta con l’autore, che è magia pura. Non diversamente in questo concerto “fuori stagione” proposto dall’Accademia di Santa Cecilia, dove Yuri Temirkanov è giunto alla testa della sua orchestra, la leggendaria Filarmonica di San Pietroburgo, di cui regge le sorti dal lontano 1988, l’orchestra più antica di tutta la Russia, nata come Coro Musicale di Corte per volere dello zar Alessandro III nel 1882 per sottolineare cerimonie, ricevimenti, balli, rappresentazioni teatrali e concerti per la famiglia imperiale e divenuta così rinomata, dopo la cerimonia di incoronazione di Nicola II nel 1897, da ottenere tre anni dopo il permesso di esibirsi in concerti aperti al pubblico.
Il programma è come un saggio, con le sezioni impegnate in autori e in brani di totale diversità, ognuno a ricomporre e illustrare la bellezza del suono di questa orchestra, la sua ricchezza.
Ecco dunque, ad apertura, il pessimismo dolente del Ciaikovskij della “Francesca da Rimini”. Musica a programma, certo, che il compositore si pregiava di scrivere da anni. Erano nate “La Bufera “, “Amleto”, “La Tempesta”. Francesca è incentrata sul V° canto dell’Inferno di Dante, dove l’ anima perduta, abbracciata al cognato-amante Paolo, è destinata a vagare preda di un vento infernale inarrestabile. L’episodio è storico, la giovanissima Francesca da Rimini viene costretta per motivi di opportunità politica a sposare il potente Gianciotto Malatesta, uomo di aspetto spregevole, spesso impegnato in fatti d’armi. La giovane sposa infelice aveva trovato a corte il cognato Paolo, la cui romantica bellezza l’aveva fatta innamorare. Scoperti, i due amanti erano stati brutalmente uccisi da Gianciotto. Ciaikovskij articolò la sua opera in tre sezioni, dando alla prima e all’ultima con un suono continuo e frusciante dell’orchestra l’incarico di raccontare con enfasi l’ambientazione infernale, il vento turbinoso e implacabile, mentre nella sezione centrale il clarinetto esalta con dolente lirismo l’amore con ricchezza di momenti melodici sostenuti dal pizzicato degli archi.
Seconda tappa del programma ceciliano è il celeberrimo Concerto in mi minore per violino e orchestra op.64 di Felix Mendelssohn Bartholdy, che si articola nei movimenti Allegro molto appassionato; Andante; Allegretto non troppo. Allegro molto vivace. Il brano è considerato uno delle massime espressioni del Concerto violinistico ottocentesco per il linguaggio utilizzato, per la scrittura che tengono conto dell’esperienza e il talento dello strumentista, condimenti indispensabili, ma evitano le esagerate esternazioni melodiche del romanticismo, tanto che alla fine al violinista è concesso di esibire un elegante e raffinato virtuosismo. Sul podio, la bella e brava Leticia Muñoz Moreno, temperamentosa, appassionata come si conviene, tecnicamente perfetta. Lei suona un Nicola Gagliano del 1762, e lancia nello spazio della Sala Grande del Parco della Musica suoni struggenti e ammaliatori, sotto il vigile sostegno dell’orchestra sempre più doma, ma pronta ad esplodere negli scintillanti funambolismi musicali del “Petruska” di Igor Stravinski, eseguito nella versione del 1947. “Scene burlesche in quattro quadri” è il sottotitolo di questo brano straordinario, nato con un tracciato compositivo ben preciso e che l’estro dell’impresario dei Ballets Russes Diaghilev volle trasformare in un balletto. Petruska è un personaggio del teatro popolare russo, vive nelle fiere e nelle parole dei cantastorie. E’ manesco, attaccabrighe, spavaldo e ha un linguaggio schietto quando non scurrile, ma nella trama elaborata da Stravinskij e Diaghilev si trasforma, assume su di sé connotati più tragici, intimistici, aspira, lui di legno e segatura, ad emozioni umane e vita di carne. La vicenda si svolge nella piazza dell’Ammiragliato di San Pietroburgo, durante la fiera per il Carnevale, un ciarlatano presenta i suoi burattini animati, la Ballerina, il Moro e Petruska, il quale è innamorato della danzatrice che, come spesso avviene, alle sue sdolcinature preferisce i modi rudi del prestante Moro che, non tollerando di avere un rivale così debole, lo uccide. L’ambientazione fra la folla di un dì di festa, fra orsi danzanti, balli, bambini che si rincorrono, richiami dei venditori, con il dramma personale d’amore che si risolve in morte e prima tutte le variazioni dei sentimenti di Petruska, offrirono la materia prima per una partitura dal gusto estremo, per le sonorità aspre e aguzze, per dissonanze e percussioni, per giochi sonori dove non c’è posto per fiaba o suggestioni più o meno esotiche. Temirkanov legge tutto ciò e va oltre, dando conto del nuovo linguaggio che Stravinskij adotta dove la tonalità e i suoi limiti sono spezzati, dove campeggiano fasce sonore dense di tensioni, e si avvertono echi di marce, polche, valzer, un caleidoscopio di suoni altri, temi liturgici e rulli di tamburi, momenti omoritmici con il pianoforte che tenta una scalata solistica e le dissonanze che si susseguono e si rincorrono fra gli urli strazianti dell’orchestra tutta e quelle melodie dolci e malinconiche che raccontano l’amore di Petruska per la Ballerina. Due bis dell’orchestra per un pubblico sedotto e ammaliato che si rifiuta di alzarsi.