Terme di Caracalla – Boheme mutilata
Rustioni dirige cantanti e piano nel capolavoro di Puccini
Roma – Quel che ha nociuto alla edizione di Bohème negli spazi estivi delle Terme di Caracalla non è stata l’assenza della orchestra che, ancora una volta, si è chiusa a riccio sulle proprie rivendicazioni sindacali mandando in tilt sia la prima che la seconda rappresentazione del capolavoro di Puccini (La pianista Enrica Ruggiero, maestro collaboratore di sala all’Opera di Roma, ha accompagnato al piano i cantanti, salvando ancora lo spettacolo, anche se ovviamente si respirava a pieni polmoni tutto lo squallore e la limitatezza di una improvvisazione).
Non è stata nemmeno la musica pop e gli strilli acuti dei microfoni a tutto volume di una festa all’aperto di una delle consuete roboanti manifestazioni romane en plein air, sullo stesso marciapiedi e appena a ridosso delle storiche rovine.
Né la confusione paventata fra un pubblico accorso dopo un veloce passa parola a vedere gratis lo spettacolo secondo quanto disposto dalla dirigenza del teatro, né l’insieme di quelli che, avendo pagato a caro prezzo il biglietto, potevano la stessa sera chiederne il rimborso.
Non è stata nemmeno la patetica figura del direttore Daniele Rustioni con il proprio ruolo marginalizzato per mancanza di orchestra da dirigere e rimasto solo a dare gli attacchi ai cantanti.
Forte della massima: ”A caval donato non si guarda in bocca”, un pubblico eterogeneo, con numerosi turisti provenienti da tutto il mondo, molti dei quali ignari dei problemi della Fondazione e delle modalità italiane, e dunque profondamente meravigliati di poter fruire in un luogo magico come Caracalla di uno spettacolo così insolito, affollavano la platea in tutti i suoi ordini, armati di coppette gelato, flûte di prosecco, Coca Cola e patatine.
“Ci vuole il vento in chiesa ma non per spegnere le lampade”, cita un proverbio. E allora? Un happening, rispettabile, quanto si vuole, ma niente più. Se si accetta di veder degradato il genius loci di uno dei più maestosi siti archeologici della terra intera, tutto va a posto perfettamente, anzi trova la propria logica.
Roma è però la Capitale di questa malmessa Repubblica.
E allora?
Ma vediamo lo spettacolo per chiarire il problema agitato fin all’inizio.
Nulla da eccepire, anzi, se si accetta un allestimento con tavole di dimensione varia poste a fare barriera al palcoscenico, indispensabili schermi per proiezioni di quadri impressionisti scelti con cura, competenza e grande gusto per i colori. Cezanne, Renoir, Monet, fra gli altri, e la Notte Stellata di Van Gogh che scivola sugli schermi con un effetto rapinoso, nella bella soffitta atelier del pittore Marcello. Un’idea non inedita, per carità, ma qui,a suo favore, gioca la malia di una notte romana calda e profumata di mentuccia selvatica. Qui si muove un coro ben tarato dalla sempre puntuale educazione vocale di Roberto Gabbiani, e bellissimi costumi in linea con le proiezioni, anzi, a volte, ispirati proprio ai quadri scelti, come nel finale del IV° Atto con Mimì morente vestita di azzurro e nero con un boa di pelliccia, fatta adagiare su un canapè. È La Bohème impressionista di Davide Livermore, un passato di successo anche come cantante, qui nella triplice veste di regista, scenografo e costumista, a raccontare la tormentata storia d’amore di Mimì e Rodolfo e le misere esistenze degli artisti bohème fra le soffitte della Parigi di fine Ottocento. Questo spettacolo, nato a Philadelphia nel 2012, poi acquistato da Valencia, è qui proposto in un nuovo allestimento proprio in coproduzione con il Palau de les Arts Reina Sofía.
Regista creativo e, comunque, uomo di spettacolo di livello, Livermore, incanta con uno sfavillante II° Atto pieno di mangiafuoco, di venditori di giocattoli e dolciumi, di un’allegra e festosa folla natalizia e non manca di stupire il pubblico con una nevicata insolita in piena canicola che scende dall’alto non solo sulle storiche torri o sul palcoscenico del III° Atto ne “la Barriera di Enfer”, ma sulla platea con effetto strappa applauso immediato.
Quel che disturba più che altro, e fa riflettere, è la qualità dei cantanti protagonisti principali del secondo cast da noi ascoltati, i quali, lasciati alle cure per forza di cose limitate (e non coprenti) del pianoforte solo, hanno mostrato lacune vocali di ogni tipo, dalle varie stonature, alle disperate e inutili ricerche di fiato, ai momenti con note singhiozzanti: un campionario di errori che la dice lunga sulla loro preparazione tecnica, come anche su una certa superficialità di chi li ha ingaggiati. Parlo della Mimì di Simge Buuykedes, del Rodolfo di Alessandro Liberatore.
Puntuale ed espressiva, invece, la Musetta di Rosa Feola. Dionysios Sourbis è un ottimo Marcello, bene anche il Benoit di Roberto Accurso e il Colline di Gianluca Buratto.