Le serie televisive americane, in ambito di merchandising via satellite, sono senza ombra di dubbio uno dei prodotti più forti e “vendibili” degli ultimi decenni. Fino ad un paio di anni fa, però, va detto che anche la più coinvolgente di queste soffriva del paragone con quell’ingombrante predecessore che rispondeva al nome di Lost; Lost era la serie per eccellenza, spiattellata in un numero straordinario di stagioni (sei) e sceneggiata da un regista tra i migliori in circolazione, lo stesso J.J. Abrams che da quel momento in poi raramente avrebbe sbagliato un colpo anche sul grande schermo (si pensi ai successi al botteghino di Mission Impossible: Protocollo Fantasma, Star Trek…). Ogni amore, però, è eterno fino a che non arriva il successivo, ed ecco perché probabilmente oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno nuovo e probabilmente più interessante del precedente, che risponde al nome di The Walking Dead.
The Walking Dead ha fatto capolino in Italia su Fox nell’Halloween del 2010, preceduto da una massiccia campagna pubblicitaria, che andava dalle solite vele “dueperquattro” ad una simulata invasione di zombie allo Stadio Olimpico di quello stesso ottobre.
La serie prende spunto dal fumetto di Robert Kirkman e racconta le vicende di un gruppo di sopravvissuti ad un’epidemia di zombie; dire che TWD approfondisce in un certo numero di puntate quello che un buon film di George Romero, totem del cinema “zombesco”, racconta in novanta minuti è però quantomeno riduttivo, dato che questa serie parte dalla minaccia dei non morti per arrivare a tutt’altro. The Walking Dead è, infatti, una storia di rapporti umani, di eterne domande, dubbi e speranze che ognuno di noi affronta quotidianamente ed è quindi, in sostanza, la storia di vita che ognuno di noi avrebbe voluto raccontare e che soprattutto avrebbe voluto farsi raccontare (e qui si spiegano i record di ascolti che hanno il sapore di un fenomeno culturale di massa).
Si parte dagli zombie e dai topoi più consolidati del cinema horror, questo sì, ma successivamente l’evolversi di TWD è quello di una storia quasi quotidiana, dove dal protagonista all’ultima comparsa tutti portano in scena delle performance così vive che anche il più cattivo degli antagonisti è, se non apprezzabile, quantomeno umanamente comprensibile. Così l’interesse di chi guarda non si limita alla domanda più scontata di ogni film horror che si rispetti “chi sopravviverà fino alla fine?”, ma si frammenta in quelle dettate dai personaggi stessi: cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa ci resta di quello che eravamo quando le cose intorno a noi cambiano, toccando tematiche ancor più primordiali e carnali che ogni uomo vive nei suoi piccoli dualismi quotidiani, tutte le volte che, nei vari campi dell’esistenza, affiora quel lacerante dubbio su chi sia “l’uomo migliore”, dubbio che emblematicamente chiude la seconda stagione della serie. Ed è una domanda di difficile risposta: buoni e cattivi, ammesso che queste etichette nel mondo disperato di TWD abbiano ancora un’ombra del significato che oggi gli diamo, si mescolano fra loro col passare degli episodi; se i secondi agiscono male in vista di un fine che può essere certamente criticabile ma anche altrettanto condivisibile, i primi predicano bene e poi non reggono nei fatti il peso del loro chiacchierare, fanno le scelte sbagliate, vengono traditi e di tutta risposta, invece di porgere l’auspicabile altra guancia, tradiscono, risultando spesso così umanamente ipocriti che sarebbe difficile non riuscire a prenderli per persone vere.
Questo è insomma il motivo del successo planetario di TWD, capace nell’ultimo episodio di stracciare a suon di ascolti record negli Stati Uniti anche il tradizionale appuntamento col football: siamo davanti ad una storia in cui gli ipotetici Tizio, Caio e Sempronio della porta accanto si ritrovano in una situazione al limite (zombie? sì, ma potrebbe essere anche un’epidemia, o una crisi economica appena più drastica di quella attuale, o tutte e tre le cose messe insieme) e tirano fuori la loro essenza più nascosta, impersonando archetipi mai troppo stabili verso i quali con estrema facilità si prova simpatia o antipatia, almeno fino al prossimo dietrofront o alla dipartita inaspettata di uno degli stessi.
E’ una storia amara, che parla di zombie, di sopravvivenza al limite e di morte; ma è farcita con la ricetta dei sentimenti più umani e probabilmente, proprio per questo, nessuna serie tv è mai stata così viva.