Roma, 12 febbraio 2021.
La ricorrenza.
Esce in Italia, quarant’anni fa, un’opera tra le più importanti della cinematografia statunitense al quarto posto nella classifica dei migliori film di tutti i tempi: Toro scatenato.
La storia.
Ascesa, trionfo e declino del pugile italo-americano Giacobbe “Jake” LaMotta, nella pellicola rappresentato da Robert De Niro con la regia di Martin Scorsese.
LaMotta è un pugile duro, aggressivo, che si fa largo verso la fine degli anni ’40 nella categoria dei pesi medi vivendo contemporaneamente una vita personale complicata.
I combattimenti di Jake non sono solo contro gli avversari ma anche contro se stesso, con ciò che lo circonda e con tutte le sue paranoie.
La conquista del titolo mondiale a quei tempi passa anche attraverso giri strani, che inevitabilmente riguardano circuiti mafiosi.
Alla fine il sogno di LaMotta si realizza e riesce a conquistare e poi mantenere il titolo di Campione del Mondo dei pesi medi dal 1949 al 1951.
Cruente le scene dell’ultimo match da detentore del titolo contro il rivale di sempre Sugar Ray Robinson che lo batte per KO tecnico, con LaMotta esausto appoggiato alle corde.
Da quel momento inizia il lento declino del pugile che riversa le sue frustrazioni nei rapporti familiari, esternando una gelosia ossessiva nei confronti della bella moglie Vicky.
Anche con il fratello Joey, suo manager nel sodalizio sportivo, le cose precipitano con Jake che lo pesta a sangue per un vago sospetto di una tresca con la moglie Vicky.
Ritiratosi qualche tempo dopo, ormai solo, LaMotta si reinventa come intrattenitore in locali di quart’ordine e finisce persino indagato e arrestato per corruzione di minorenne.
Nel buio della prigione Jake, nel frattempo ingrassato di quasi 30 chili, riavvolge il nastro della sua vita e in una scena si vede come scarica tutta la sua insoddisfazione con una serie impressionante di pugni rivolti verso il muro.
Una sorta di presa di coscienza tardiva, su quello che è stato e sul proprio talento sprecato.
Curiosità.
Scorsese e i suoi sceneggiatori tratteggiano l’autolesionismo e la brutalità del personaggio LaMotta, scegliendo di girare in bianco e nero per l’epoca rappresentata.
Scorsese aggiunge un ulteriore ritratto sulla vita degli italo-americani a New York, con prevalenza relativamente alla fisicità degli stessi personaggi.
Le riprese dei combattimenti vengono girate “in soggettiva”, cioè con la macchina da presa in mezzo al ring, con conseguente amplificazione dei pugni dati e presi.
I volti tumefatti, gli schizzi di sangue, sono rappresentati realisticamente anche grazie al sapiente montaggio di Thelma Schoonmaker premiato con l’Oscar.
Lo spettatore ha la sensazione di essere al centro del match e attraverso un lungo piano-sequenza segue De Niro-LaMotta nel suo incedere sul quadrato.
Gli interpreti.
Robert De Niro, nel ruolo del campione, ha girato prima le scene del dopo carriera ingrassato di circa 30 chili e successivamente è ritornato magro con una ricostruzione muscolare di sei chili, per essere credibile come pugile.
De Niro, seguace del metodo Strasberg, ha vissuto per tre mesi con LaMotta assorbendo il suo modo di fare, i suoi ricordi e le lezioni tecniche dell’anziano pugile.
Un metodo estremo di recitazione che ha caratterizzato parecchio della splendida carriera cinematografica dell’attore.
Tra gli altri caratteristi ottima la prova di Joe Pesci, nella parte del fratello-manager, sempre intento a mediare, a smussare, i paranoici comportamenti di Jake.
Cathy Moriarty, all’esordio appena ventenne, è perfetta nel ruolo della conturbante moglie di LaMotta; rende bene la sua interpretazione di riflesso al geloso coniuge.
Dopo aver vinto il suo primo Oscar nel 1975, come attore non protagonista ne Il Padrino parte II, De Niro nel 1981 viene premiato per Toro scatenato.
A giudizio di chi scrive con colpevole ritardo viste le prove fornite in Taxi driver del 1976 e ne Il cacciatore del 1979.