Teatro Dell’Opera – La Traviata di Valentino e Giammetti
Il glamour della Belle Epoque
Roma, 5 giugno – Una Traviata all’Opera di Roma, dove il Teatro per una volta assume un ruolo di secondo piano, perché, come recita lo stesso programma di sala, questa è una nuova produzione creata dagli stilisti Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, che hanno creato lo spettacolo disegnandone i costumi insieme con i loro collaboratori più stretti, i direttori creativi della Maison, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, e che si sono valsi di un’artista blasonata dall’Oscar come Sofia Coppola per la regia e dell’esperienza e dell’orchestra prestigiosa del Teatro dell’Opera di Roma.
Ora la Coppola è regista cinematografica (Marie Antoinette e Last in Traslation), e si cimentava per la prima volta con il mondo del melodramma. A questo punto, bisogna considerare che ben altri meccanismi espressivi offre al regista il linguaggio cinematografico. E una regista bravina, come Sofia Coppola, avrebbe dovuto tenerne conto portando in scena il dèmi-monde francese di fine secolo con le sue mantenute e i suoi nobilotti provinciali giunti per un sorta di apprentissage a Parigi, dove impera una ragazza poco più che ventenne, dispensando le sue grazie e costruendo il proprio mito che salda in un unicum inestricabile la giovinezza, l’amore e la morte. Sofia Coppola è rimasta sulle soglie, come chi è timoroso di scoprire l’ignoto, in questo caso il modus del melodramma, da brava esordiente ha preferito attenersi alla tradizione, dunque il suo apporto è stato davvero marginale.
Allora, Valentino Garavani, anzi Valentino tout court, tanto il nome lo identifica in tutto il mondo come un’eccellenza italiana. E con Valentino Giancarlo Giammetti, il suo alter ego operativo. Il grande couturier crea quattro vestiti che interpretano compiutamente l’opera e il personaggio verdiani. Il primo per il ricevimento a casa di Violetta, nero con lunga coda in verde; il secondo bianco e vaporoso che mette in luce la fragilità della ragazza, in campagna, per una parentesi d’amore con Alfredo; il terzo nella scena in casa di Flora, rosso Valentino con grandi drappeggi e, infine, una mise notturna con una camicia in lucente raso di seta bianca sovrastata da una vestaglia di velo rosa cipria arricchita da camelie in tinta: uno splendore. Decisamente più sobri i costumi disegnati dai direttori della Maison Valentino, con solo un’impennata per quello bianco di Flora nel primo atto, con volant sovrapposti. Belle le scene di Nathan Crowley, artista inglese autore degli apparati scenici indimenticabili della serie de “Il Cavaliere oscuro”. Qui le scene sono semplici, eleganti ma con qualcosa di sontuoso, come quella scala bianca marmorea e vertiginosa dalla quale scende lentamente durante il Preludio al primo atto Violetta, che sembra disegnata apposta per lasciare ammirare l’eleganza estrema del vestito della protagonista, o come la spettacolare veranda arricchita da giganteschi vasi di camelie e con una voliera tunisina e i suoi arabeschi che dalle ampie finestre lascia intravedere un cielo mutevole solcato dal volo di qualche uccelletto, o il ricco salone della festa in casa di Flora, ovvero la penombra triste della camera spoglia dove Violetta consuma gli ultimi scorci di vita.
Dal punto di vista musicale non è facile essere altrettanto positivi nel giudizio. Il direttore Jader Bignamini, debuttante a Roma, a volte falsa i tempi che risultano eccessivamente lenti e spesso si cura poco delle dinamiche con il risultato di creare un certo torpore all’ascolto
Per fortuna, un’orchestra come quella del lirico capitolino ha nel DNA il suono verdiano e, dunque, si creano quasi automaticamente buone intese tra palco e buca. Quanto al cast vocale, la Violetta di Francesca Dotto, giovanissima e piena di buona volontà, ha un fisico elegante e si muove con molta classe, facendo ben figurare i ricchi costumi creati per lei dal’arte di Valentino ma mostra localmente qualche problema e insicurezza nel primo atto, come in quel finale della sua romanza più difficile, “Sempre libera degg’io” dove emette un si bemolle sgraziato stridulo come le unghie di un gatto su uno specchio. Molto meglio dove la voce si scurisce nel dolente “Addio del passato” e in tutto il tormentato Terzo Atto. Più compiuto l’impegno vocale dell’Alfredo di Antonio Poli. Il giovane tenore ha un timbro luminoso che non ha potuto far brillare a pieno, perché costretto dalle scelte dei tempi e dei volumi imposti dal direttore, ma soprattutto perché la lentezza ha pregiudicato l’impasto vocale negli acuti. Ottima senza riserve la prova di Roberto Frontali, papa Germont, il gentiluomo di campagna ipocrita e perbenista, avviluppato nelle sue certezze borghesi e deciso a difendere l’onore familiare dalla malafemmina, ma accorato quando deve trovare i modi più convincenti per convincere Violetta, tanto da rendere persino giustizia al vituperato “Di Provenza il mare e il suol” cui dà un tocco di verità. Di qualità gli interpreti dei ruoli minori. Anna Malavasi è una Flora di buona presenza e dalle indiscutibili doti vocali. Chiara Pieretti è un’Annina pietosa e dal timbro forte; Graziano Dallavalleun Grenvil convincente. Completano il cast il Gastone di Andrea Giovannini, il Douphol di Roberto Accurso e il Marchese d’Obigny di Andrea Porta. Ottimo il coro diretto da Roberto Gabbiani, chiamato anche a partecipare con il corpo di ballo alla festa in casa di Flora. Un merito del buon successo di questa Traviata decisamente va anche alle coreografie di Stéphane Phavorin che non scadono nel folklorismo più veto delle zingarelle, suggerito piuttosto da qualche sventolio di ventaglio e si segnalano soprattutto per la danza dei toreador, impronta di una eleganza davvero mai vista , dove si muovono in sincrono due danzatori alti e sottili talmente simili da apparire il clone uno dell’altro.