Roma, 30 marzo – Sono in tre sul palcoscenico del Teatro Golden, una convenzione creata in un open space che dà un approccio giovane e colloquiale ad ogni rappresentazione, che in poche stagioni è già un successo perfettamente inserito nel quartiere San Giovanni.
I tre sono Matteo, l’ingombrante vicino di casa, e due fratelli, Clelia e Lorenzo (Euridice Axen e Simone Montedoro) , che da tempo vivono nella casa dello zio Pino (titolo di questa simpatica commedia), vecchio generale allettato con qualche rotella fuori posto e fantasiosi recuperi del passato militare. I nipoti si sono attaccati come sanguisughe alla ricca pensione del vecchio, offrendogli un minimo di assistenza e, l’una forte e determinata, l’altro succube e remissivo, continuano a condurre i loro giorni con la serena indifferenza di chi sa riconoscere solo l’oggi e non ha spazio e pensieri per il futuro, come se tutti gli accadimenti avessero la forza della immutabilità, anzi dell’eternità. Lorenzo va in cerca di lavoro, ma ogni volta torna a casa sconsolato: o è troppo in là con gli anni, o non ha le competenze specifiche richieste, o è troppo bruno, o troppo alto, o troppo stretto, insomma c’è sempre un motivo perché venga scelto qualcun altro al suo posto. Clelia, invece, ha capito che non vale la pena di darsi tanto da fare, meglio impiegare il tempo libero a fare shopping e altre amene occupazioni e cercare buoni clienti per la collezione di vecchi archibugi del generale. Sfruttatori seriali, i due, vivono spensierati in realtà in una condizione economica di assoluta instabilità e insicurezza, la stessa che li accomuna a molti coetanei, la stessa prospettata dalle cronache di ogni giorno, la stessa del loro vicino, Matteo, uno squattrinato sognatore, che ha messo su una scuola ma ora cerca di avere dallo zio dei vicini un buon prestito mensile per portarla avanti. Matteo, ingombrante (anche fisicamente con un ben tarato Stefano Fresi dalla poderosa vis comica), petulante, inopportuno, canterino, smanioso di suscitare un minimo interesse in Clelia è onnipresente e imbarazzante e subisce le insolenze della ragazza che tenta senza esito di tenerlo a freno. Un tran tran che si ripete da tempo. Ma un giorno accade l’imprevisto e zio Pino, di età augusta, consegna la sua anima alla gloria eterna. Ed ecco presentarsi ai due fratelli l’ombra ammantata di colori foschi della loro desolante realtà, che rende irrimandabile la domanda: come sopravvivere senza la cospicua pensione del vecchio?.
La commedia scritta a sei mani da Ennio Speranza, Andrea Tagliacozzo e Massimo Natale, che cura anche la regia, prende lo spunto da una realtà sociale tutta italiana, con una classe di giovani che cercano di sbarcare il lunario senza esiti, alla ricerca di un posto fisso che li sottragga alla condizione di precarietà, che dia garanzie di sopravvivenza anche modesta, ma nel finale la pièce fa un brusca sterzata e vira nei toni grotteschi e nella farsa, e il macabro va a braccetto con il comico. Da allora è tutto uno scivolare nel bizzarro e nell’improbabile, dal personaggio della ispettrice dell’INPS che arriva a bussare alla loro porta spacciandosi per la figlia segreta di zio Pino che reclama di essere riconosciuta, richiedendo il test del DNA, ai travestimenti caricaturali, alla soluzione finale che legalizza il furto organizzato, con i due fratelli che avevano continuato a percepire la pensione di un morto, purché a favore di quella scuola di Matteo per assistere i bambini, che dovrà essere intestata allo zio Pino e che alla fine risolverà i problemi di tutti. Il pubblico accoglie con risate quasi complici lo spettacolo, per merito anche della regia di Massimo Natale che ha un taglio cinematografico, con i vari momenti che si susseguono con una bella tensione drammaturgica.
Bravissimi gli attori in scena.