Avvicinandosi la data del 15 agosto, torna alla mente ciò che avvenne in quel giorno del 1977, quando l’ex Maggiore delle SS Herbert Kappler (responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, condannato all’ergastolo), aiutato dalla moglie, fuggì dall’Ospedale Militare “Celio” di Roma, verso la Germania.
L’imbarazzo italiano fu eccezionale e l’evento impressionò molto l’opinione pubblica ma, tutto sommato, non a lungo; il fatto venne ben presto dimenticato “more italiano” tanto che il pluriomicida boia ebbe modo di morire nella sua terra. La versione ufficiale, come dichiarato dal Ministro della Difesa Lattanzio in una conferenza stampa nello stesso pomeriggio di quel 15 agosto, vide la moglie di Kappler, Annelise, fare quasi tutto da sola. Fu lei, infatti, secondo l’incredibile ricostruzione, a far scappare il marito, con l’aiuto di corde, calandolo chiuso all’interno di una…. valigia…da una finestra alta ben 17 metri…, e poi, con l’aiuto di suo figlio, lasciare l’Italia alla volta della Germania.
Tutta la colpa fu affibbiata all’Arma dei Carabinieri che provvedeva al piantonamento, il che causò per volontà politica provvedimenti eccessivi quali la rimozione e trasferimento dei comandanti di Gruppo, Legione e Brigata dell’Arma, con conseguente arresto del Capitano Comandante della Compagnia Celio unitamente ai due Carabinieri di vigilanza e, per tacitare l’opinione pubblica, seguirono anche le dimissioni dello stesso Ministro della Difesa. Ma come fu possibile che la responsabilità morale e penale della fuga sia stata attribuita solo al Capitano e ai due Carabinieri, questi ultimi probabilmente non esemplari per spirito di servizio i quali, secondo una certa ricostruzione dei fatti, quella notte dormirono beatamente dopo aver gustato pasticcini e vino della Renania, dal sapore impreziosito da abbondanti dosi di potente sonnifero, gentilmente offerti dalla signora Kappler?
Da quel che si apprese dopo, “l’affare” non era ulteriormente rinviabile. Infatti, il Governo italiano, guidato da Giulio Andreotti, aveva deciso che l’operazione doveva andare in porto ma nessuno doveva dubitare delle istituzioni. Infatti, solo così si sarebbe sbloccato il veto della Germania ad un consistente prestito di denaro di cui l’Italia aveva un disperato bisogno. A Verona, il 1° dicembre del 1977, finalmente, si svolse il vertice italo-tedesco che avrebbe dovuto tenersi prima, ma per opportunità le parti scelsero di rinviarlo perchè si temevano proteste e richieste di chiarimenti; l’impaccio, ovviamente, fu tutto italiano.
Come è possibile che per molti decenni non ci sia stata alcuna notizia, nonostante le lunghe istruttorie e processi per le varie stragi, per Gladio e terrorismi vari, dell’esistenza dell’ “Anello” o “Noto servizio”, presenza che è emersa solo nel 1996, quando furono scoperti, in un deposito sulla via Appia a Roma, degli scatoloni pieni di documenti dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, che facevano riferimento ad una “struttura coperta”, alcuni anche riguardanti il caso Kappler?
Bene, Stefania Limiti, giornalista e studiosa, è partita proprio da lì per ricostruire la storia dell’ “Anello”, il servizio nato per volontà dell’ex Capo del Sim (Servizio Informazioni Militare dell’epoca fascista) Generale Roatta), coinvolto sia nella fuga di Kappler in trattazione, sia nella liberazione, grazie ad un accordo con la camorra, dell’Assessore democristiano Ciro Cirillo, sequestrato dalle Br nel 1981, sia infine nella trattativa del Vaticano con le Brigate Rosse per la liberazione di Aldo Moro.
Il titolo dell’ interessante libro è “L’Anello della Repubblica- La scoperta di un nuovo Servizio segreto. Dal Fascismo alle Brigate Rosse”, prima edizione aprile 2009; nuova edizione aggiornata nel luglio 2014, per Chiarelettere Editore). ”Questo libro – spiega l’autrice – è il frutto di un’inchiesta giornalistica. Ho messo insieme pezzo per pezzo di un grande puzzle. “Anello”, come ha scritto anche il professor De Lutiis nella prefazione, ha alterato gli equilibri politici e avvelenato la democrazia. Mi auguro che da qui si possano scoprire tutti gli agganci politici avuti”. Illuminante, per quanto concerne il caso Kappler (nel capitolo ad hoc: “La fuga di Stato del nazista Kappler”; pagg. 145-174), la testimonianza di Giovanni Maria Pedroni, classe 1927, partigiano a Trieste, chirurgo di chiara fama: ”Sì guardi, Adalberto Titta, il capo operativo, mi definiva il medico dell’ “Anello””…e, letto il libro-inchiesta di Stefania Limiti, in un’intervista all’ANSA, ha dichiarato: ”Tutto esatto…si legge come un romanzo ma è così che sono andate le cose. La gente comune non lo sa quanti fatti sono accaduti in Italia, come sono effettivamente andate certe cose..”. Aggiunge, poi, che ”L’Anello fece fuggire Herbert Kappler, per superiori esigenze di Stato….” Fu proprio lui a visitare, mentre tutta l’Italia lo cercava, l’ex Maggiore nazista in fuga all’interno di un istituto religioso annesso all’Ospedale dell’isola Tiberina di Roma, dove rimase alcuni giorni. L’ “Anello” era “una struttura operativa che era riconosciuta ufficialmente dal Governo. Il Viminale sapeva tutto. Tanti politici sapevano. Con una struttura segreta si potevano ottenere certi risultati senza che nessuno si scottasse le mani: questo era il compito dell’Anello..”. Il giornalista dell’Ansa pone a Giovanni Maria Pedroni la domanda sul fatto che “…molti indizi portavano a Giulio Andreotti, lei che ne dice?” ”Se Andreotti (ancora in vita all’uscita della prima edizione del libro) parlasse veramente della sua vita crollerebbero le mura di Gerico. Il servizio, diciamo, era stato fondato da un israeliano, Otimsky, una persona anziana che mandava avanti operativamente le cose ma era politicamente nelle mani di Giulio Andreotti”.
La Limiti esplora l’ambiguo contesto della fuga di Kappler. C’è da precisare che i Servizi segreti ufficiali, il SID, non erano all’oscuro della vicenda. Infatti, si fa riferimento ad una telefonata tra l’Ammiraglio Mario Casardi (Capo del SID) e Ambrogio Viviani (responsabile in Baviera dello stesso Servizio) in cui si parla proprio di Kappler. Il Generale Viviani, nell’agosto del 1997, raccontò tutta la sua esperienza in un’intervista a “Il Giornale”, in cui aveva dichiarato che quella di Kappler non era stata una fuga, in quanto “i politici italiani avevano promesso ai Tedeschi di liberarlo…” Anche l’On. Lattanzio, nel 1986, nel corso di un’intervista su “Panorama”, fu molto pesante: “Sulla versione ufficiale…ebbi forti sospetti.. Ne parlai con l’Ammiraglio Casardi, allora Capo del SID….Anzi mi dissero che era meglio dimettermi…Non sono riuscito a capire se fu Moro, Andreotti o Forlani…” Infine, anche la moglie dell’Ufficiale nazista, nel 2007, all’età di 82 anni, è voluta tornare sui suoi passi, raccontando alcuni retroscena attraverso un’intervista a Franco Bucarelli del settimanale “Oggi” rivelando, tra l’altro, che..”il Governo italiano aveva voluto garantire il ritorno in Germania del marito..“
Quindi, una storia molto complicata, come tante altre della travagliata storia italiana.
Una precisazione comunque va fatta: certamente il servizio di piantonamento a Kappler non fu all’altezza del compito da parte del Comando dell’Arma dei Carabinieri che gestiva la vigilanza, ma va anche detto che l’Arma, quale istituzione fondamentale della Repubblica, mai e poi mai si sarebbe prestata a svolgere “in toto” operazioni sporche come il “Caso Kappler”….prerogativa di servizi deviati e pericolosi, manovrati dalla politica….purtroppo esistiti e, si spera, non più esistenti…
Sono vicende che non andrebbero archiviate nella memoria della storia e nella coscienza dei Cittadini, perché da esse si potrebbero trarre spunti di interesse per una migliore e maggiore maturità civile, democratica e, soprattutto, politica.