La legge sulla riduzione della spesa pubblica trasferisce le competenze dagli Ato (Ambito Territoriale Ottimale), previsti dalla vecchia normativa, la Legge Galli, all’Autorità Aeeg (Autorità Energia Elettrica e Gas), come sancito dalle nuove disposizioni, ma la Regione non ha emesso il decreto che trasferisce i poteri con relativi adempimenti. E’ quanto rischia di accadere dal 1° gennaio nel Lazio, una Regione nella quale ben 90 Comuni hanno percentuali di arsenico fuori dalla norma negli acquedotti (la deroga Ue sui massimi quantitativi scade il 31 dicembre) e dove non ci sarà più un’Autorità responsabile per l’adeguamento e il rispetto della normativa europea che decida controlli, sanzioni e divieti. La Regione Lazio, quindi, è in gran ritardo, come spiega Salvatore Doddi, Vice Presidente Acea-Ato 2: “Nella Regione Lazio, dove il Consiglio non è in grado di funzionare, la situazione è grave. La continuità dei rapporti contrattuali siglati dalla vecchia Autorità dovrebbe essere garantita con un provvedimento regionale datato non oltre il 31 dicembre 2012. Ma la Regione non ha il tempo di adeguarsi al passaggio normativo nazionale, così come hanno già fatto gli altri enti locali. Il Consiglio è fermo e l’Assessorato competente dovrebbe intervenire entro 15 giorni. Sarà difficile riorganizzare la gestione e il controllo dell’acqua pubblica in tempo utile”. In Italia, tra l’altro, il costo medio dell’acqua è fra i più bassi d’Europa, denuncia l’ AEEG (Autorità Energia Elettrica e Gas) che, a seguito della serie di inchieste di “Corriere.it” sulla presenza di arsenico nell’acqua di Roma, Latina e Viterbo, pubblica un report inquietante sullo stato di salute del servizio idrico italiano che mette in luce una situazione paradossale, e questo perché da un lato il livello dei consumi del settore civile è fra i più elevati d’Europa, con circa 44 miliardi di metri cubi all’anno, l’88 per cento della disponibilità complessiva, mentre dall’altro siamo al penultimo posto in Europa quanto a spesa sostenuta per garantire qualità e sicurezza a questo bene. Anche secondo ACEA spa ci posizioniamo subito prima della Grecia, cioè all’ultimo posto in Europa, quanto a efficienza della rete infrastrutturale. “Il gap da colmare è enorme”, spiega Andrea Bossola, Direttore Area Idrica Acea spa, (perché) “il sistema di depurazione è fermo al 30 per cento del fabbisogno nazionale, mentre le fognature appena al 20 per cento, e gli acquedotti al 4,5. Ad ostacolare lo sviluppo della rete c’è la paura di inasprire le bollette”, conclude. Per rimanere sul tema acqua, tutti ricordiamo che il 12 e 13 giugno dello scorso anno, oltre che sul nucleare e sul legittimo impedimento, si è votato anche il referendum per abrogare il Decreto Ronchi che liberalizzava la gestione dell’acqua pubblica; lo scontro su questo tema aveva assunto toni precisi e decisi in quanto da un lato i sostenitori del “NO” accettavano l’idea che l’amministrazione delle reti idriche, ferma restando la proprietà pubblica, potesse essere liberalizzata; dall’altro, il comitato promotore schierato per il “SI” sosteneva che quella dell’ex Ministro delle Politiche Comunitarie, Andrea Ronchi, fosse una privatizzazione vera e propria del bene acqua. Ricordiamo che il referendum acqua pubblica in questione, nei risultati definitivi, ha portato i sì al 96%! Sul regime giuridico delle acque, quale bene pubblico, si potrebbe per sola curiosità risalire fino alla legge 20 marzo 1865 n.2248 sull’ “Unificazione amministrativa del Regno d’Italia”; da allora, le categorie di acque considerate appartenenti al demanio pubblico si sono dilatate sempre di più, passando dal Regio Decreto 1775/1933, che indicava come pubbliche “tutte le acque sorgenti” che “abbiano e acquistino attitudine a usi di pubblico generale interesse”, sino ad arrivare alla legge 36/1994, la citata legge Galli, che ha previsto che “tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà”, pur prevedendo casi di gestione privata. La legge Galli, in vigore sino ai nostri giorni, ha accorpato sotto un’unica autorità i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione, istituendo gli Ato (Ambito Territoriale Ottimale), autorità costituite da Sindaci e competenti dell’affidamento e del controllo del servizio integrato, che stabiliscono anche le tariffe a cui le società di gestione devono sottostare. Fino al decreto Ronchi, l’assegnazione è avvenuta per affidamento diretto del Comune o del consorzio di Comuni a società statali, municipalizzate, miste o, come nei casi di Latina e Arezzo, anche private. Il Codice dell’Ambiente del 2006 ha abrogato la Legge Galli, mentre gli Ato sono stati aboliti dalla legge 42/2010 per cui avrebbero dovuto cessare di esistere entro dicembre 2011, dando carico alle Regioni di sostituirle. Tutto qui.
Attendiamo ora che la Regione Lazio, dopo le clamorose beghe sul tira e molla delle dimissioni della Giunta Polverini, faccia qualcosa di utile per i cittadini che proprio non ne possono più di essere trattati come sono trattati!
Che vergogna!