Roma, 30 ottobre 2016 – Concludemmo l’articolo su questa testata: “Ancora su criminalità e arte” del 5 ottobre scorso (riferendo degli interessi delle mafie nostrane a quel lucroso settore) con l’auspicio che sarebbe opportuno anche da parte dell’Intelligence degli Stati un controllo sui traffici dei reperti archeologici del vicino oriente trafugati a seguito delle recenti devastazioni dei terroristi islamici e molto probabilmente immessi nei mercati europei e americani, al fine di accertare i collegamenti con quelle pericolose organizzazioni di morte. Pochi giorni dopo, il 13 ottobre, in edicola con il quotidiano “Il Giornale”, “L’arte del terrore” a soli € 2.50 di Luca Nannipieri, che approfondisce il tema. Questa la sintesi.
Basta un acquisto sul web e anche tu puoi aiutare l’Isis. È l’inquietante conseguenza del sempre più fiorente traffico d’arte internazionale. Un libro-inchiesta che documenta un giro d’affari mostruoso (6-7 miliardi di dollari l’anno) e difficile da estirpare: così monili e reperti saccheggiati dai siti archeologici mediorientali sconvolti dalle primavere arabe arrivano nei porti del Libano e sui camion che attraversano i Balcani. Dritti dritti fino alle case degli utenti di Ebay, oppure fino alle gallerie dei più grandi musei del mondo. Così l’Occidente assetato di arte e bellezza finisce per finanziare i jihadisti assetati di sangue. La stima è dell’Unesco, con analoga valutazione dei servizi segreti britannici. Lo Stato Islamico non si limita a cancellare il patrimonio storico, lo usa anche per finanziare la sua guerra. Il mercato nero di opere d’arte e reperti archeologici ha visto negli ultimi anni una crescita esponenziale: solo i reperti trafugati ad Al Nabuk hanno fruttato 36 milioni di dollari agli jihadisti. Il traffico mondiale di antichità vale tra i 6 e gli 8 miliardi.
Interessante anche l’inchiesta di Mauro Pompili per Il Fatto Quotidiano. “Da quando è iniziata la guerra in Siria – dice Khalil, importante commerciante di antichità in Libano – sono continuamente contattato da gruppi di scavatori clandestini assoldati dai jihadisti per recuperare e vendere oggetti antichi. Le cose sono un po’ cambiate negli ultimi mesi, credo che ora per loro sia più semplice far passare le opere dalla Turchia….Ci hanno mostrato la distruzione delle statue più grandi e delle antiche mura – dice Khalil – ma dove sono le tavolette cuneiformi, le monete e i sigilli? Oggetti di valore inestimabile, facilmente trasportabili e piazzabili sul mercato. Da qualche parte c’è un mondo di facoltosi collezionisti che guarda queste immagini come a un depliant, in vista dei prossimi acquisti deputati ad ampliare la loro collezione.” Un mercato che nel bilancio delle entrate del Califfato è preceduta solo dalla vendita del petrolio.
Una conferma indiretta della crescita del mercato nero di reperti antichi arriva dagli Stati Uniti. Le importazioni americane di antichità provenienti dal Medio Oriente sono aumentate vertiginosamente tra il 2011 e il 2013. Secondo i dati forniti dalla US International Trade Commission in soli tre anni le importazioni da Egitto, Iraq, Libano, Siria e Turchia sono aumentate dell’86%, passando da un valore di 51,1 milioni di dollari a 95,1 milioni di dollari.
Qais Hussain Rashid, direttore generale dei musei iracheni, ha raccontato: “Non si limitano a rubare, fanno dei danni incalcolabili alle nostre opere d’arte. Prendono solo le parti più preziose e facili da trasportare, dalle decorazioni staccano i rilievi e alle statue prendono solo la testa. Alcune tavolette in lingua assira, rubate dal Palazzo al-Kalhu del re assiro Ashurnasirpal II, di valore inestimabile sono state già ritrovate in Europa, purtroppo tagliate e vendute a pezzi”. Oltre al saccheggio l’Isis favorisce l’esportazione clandestina dei reperti archeologici, soprattutto attraverso il valico di confine tra Siria e Turchia di Tel Abyad, roccaforte dello Stato Islamico. Il giro d’affari complessivo è, per ora, valutato dall’Unesco (con analoga valutazione dei servizi segreti britannici) 250 milioni di dollari, i mediatori ottengono ricompense tra il 2% e il 5% di quanto contrabbandato.
Per quantificare quanto sia approssimativamente la redditività del commercio, basti sapere che in base alle affermazioni di un intermediario intervistato dalla Bbc, la cui identità non è stata resa nota, un pezzo risalente a 8.500 anni prima di Cristo è stato venduto a 1,1 milioni di dollari. Un mercato finito per gran parte sotto il controllo dello Stato Islamico.
In una Intervista al giornalista Fabio Isman, esperto di inchieste sulla ricettazione di opere d’arte, Ilaria M. P. Barzaghi, il 30 gennaio 2016, per la “Voce di New York”, ha messo in luce che c’è profonda preoccupazione per la sistematica devastazione di opere d’arte e siti archeologici nei territori controllati dall’ISIS. Ma c’è anche altro, di cui si parla meno: la distruzione di copie di opere d’arte a scopo propagandistico e soprattutto le finte distruzioni o distruzioni parziali che servono a coprire il commercio illegale delle opere d’arte trafugate, fonte di sovvenzionamento per l’ISIS insieme al petrolio. Così Isman: “Il mercato è sempre pronto a prendere nuova ‘roba’. Non più i vecchi, grandi musei, che ormai si sono dati qualche regola (tranne che in Italia…), ma le case d’asta internazionali, che nascondono la provenienza degli oggetti (o nel migliore dei casi sono reticenti) e di fatto sono in grado in questo modo di ‘ripulire’ gli oggetti ricettandoli (come in altri contesti si lavano i soldi sporchi nda.). Poi ci sono le nuove frontiere del mercato, ‘nuovi’ Stati interessati: in Oriente, nell’Europa dell’Est, tra i paesi balcanici. Soprattutto, è un mercato a cui non è affatto difficile far assorbire i pezzi che danno meno nell’occhio. Soprattutto all’estero c’è senz’altro un forte allarme per la situazione di grave minaccia al patrimonio culturale nei territori controllati dal Daesh (preferisco chiamarlo così anziché ISIS, perché non è un vero stato islamico). Per quanto riguarda l’Italia, da noi non c’è assolutamente percezione della gravità di quanto è avvenuto e avviene nel nostro paese”.
A proposito del legame tra terrorismo e traffico clandestino di opere d’arte, c’è un precedente inquietante: sembra che Mohamed Atta, uno degli attentatori dell’11 settembre, stesse cercando di vendere reperti afghani per finanziare l’acquisto di un aereo. Questa vicenda è stata chiarita? Si è saputo se è stato poi comprato un aereo che però non è stato usato nell’attentato? Si sa che Atta stava cercando di capire come piazzare dei reperti archeologici afghani in Germania, circostanza che è stata testimoniata da una docente di Gottinga. Ma non è stato dimostrato altro. Gli aerei usati l’11 settembre, come sappiamo, erano di linea.
Bene, che fare? Diciamo subito che vanno cambiate le leggi e vanno, come auspicato in premessa, mobilitati soprattutto i Servizi di Intelligence come intensificato il controllo del territorio, anche satellitare. Anche le norme internazionali devono essere rivisitate subito. È necessaria una maggiore collaborazione tra Stati per una omogeneità giuridica che tuttora non c’è.