Avvocato bersagliere Antonio De Vita, coraggioso combattente della legalità!

Venerdì 19 giugno 1981, a Roma, intorno alle 18,00, l’ attentato contro l’Avvocato Antonio De Vita, 40 anni, difensore d’ufficio di Patrizio Peci (il primo pentito delle BR catturato dall’ Antiterrorismo del grande Generale dalla Chiesa), in viale Mazzini 146, nell’edificio dove il legale aveva il suo studio.

De Vita, che aveva uno spiccato senso dello Stato con ammirevoli qualità di senso civico e amor di Patria, provenienti da formazione di alta italianità impartitagli dal Padre, già Medico Militare  e dalla Madre, Crocerossina in guerra, accettò l’ incarico propostogli dai Giudici Sica e Priore con consapevole coscienza e quell’ intemerato coraggio di Chi aveva servito la Patria in armi come Tenente dei Bersaglieri.

Lo attendevano nel vano scale un uomo e una donna; mentre De Vita entrava in ascensore sentì sparare, si voltò e fu colpito di striscio ad un orecchio e a una spalla. Uscito dall’ascensore revolver in mano (su consiglio di un amico Ufficiale dei Carabinieri, aveva il porto d’armi solo da pochi giorni), fece fuoco, colpendo la donna, la nota Natalia Ligas detta “Angela”; i terroristi fuggirono, attesi all’esterno da un complice la cui auto fu ritrovata dopo pochi minuti nella vicina via Lepanto. I brigatisti spararono ben 45 proiettili contro i 5 del Legale. La coraggiosa reazione di Antonio De Vita portò al recupero delle armi, che poi si rivelarono le stesse che avevano ucciso l’indimenticato Generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi, nel pomeriggio del 31 dicembre 1980, dando impulso alle indagini per la disarticolazione della colonna brigatista.

Come qualcuno ricorderà, la Ligas fu operata segretamente nella Clinica di Lagonegro del medico Domenico Pittella, importante esponente del Partito Socialista Italiano, Senatore della Repubblica per tre legislature.

Quello stesso tragico 19 giugno, sempre a Roma, poche ore prima, nel quartiere Primavalle, all’epoca al centro di forti tensioni politiche e sociali (ricordiamo l’uccisione a seguito dell’incendio dell’appartamento dei fratelli Mattei, di 8 e 22 anni, nell’aprile 1973, da parte di elementi di Potere Operaio), le BR avevano ucciso il Vice Questore Sebastiano Vinci, validissimo Dirigente di quel Commissariato di PS. Il valoroso Funzionario, attinto da numerosi colpi d’arma da fuoco, morì poco dopo al vicino Policlinico Gemelli, mentre l’ Agente, sebbene gravemente ferito, reagendo con ammirevole sangue freddo con l’arma in dotazione, mise in fuga i terroristi.

Tornando all’avvocato De Vita, facendo riferimento alle sue attività professionali, sappiamo che tra le tante cause in cui ha evidenziato brillantemente sia le sue alte qualità dottrinarie di illustre giurista, sia oratorie in memorabili arringhe, ricordiamo  la difesa del portiere di via Poma, a Roma, Pietrino Vanacore, a seguito dell’ uccisione nel 1990 della giovane Simonetta Cesaroni, sino alla completa sua assoluzione. Fu un caso, come si ricorderà, clamoroso che per anni appassionò la pubblica opinione divisa tra innocentisti e colpevolisti. Tra l’altro, proprio ieri, 26 febbraio, in questa storia giudiziaria infinita, la Cassazione ha assolto in via definitiva il fidanzato della ragazza a seguito di ulteriore processo. Quattro anni fa, il cadavere dell’ex portiere di via Poma, fu trovato nello specchio di mare di “Torre Ovo”, vicino a Taranto, con una caviglia legata a una fune che aveva l’altra estremità assicurata a un albero. Nell’auto, Vanacore lasciò un messaggio di addio: “Venti anni di martirio senza colpa e di sofferenza portano al suicidio”. “A questo punto è certo, il suicidio è stato scatenato da un certo tipo di veleno che una persona come Pietrino Vanacore aveva dentro di sè e che non aveva necessità di ingerire…..e le modalità sono quelle che appartengono a una persona che non voleva creare problemi a nessuno, neanche alla Polizia e a chi avesse trovato il suo corpo. Un atto di gentilezza verso gli altri; lui aveva questa gentilezza e tutti lo sapevano e lo sanno”.

L’avvocato De Vita parlò di gentilezza del suo cliente, quella stessa gentilezza che Lui ha manifestato e continua a irradiare ovunque svolga la sua professione al servizio dei semplici e di chi sbaglia per errore non già per scelta meditata; Lui, il patrocinante a titolo gratuito di rappresentanti delle Forze dell’Ordine sotto processo per motivi di servizio; Lui, Antonio De Vita, l’ Avvocato che onora l’Ordine Forense con quella nobile passione di servire il Magistero di Giustizia e quindi lo Stato in modo consapevole e ragionante, quale riconoscimento ha ricevuto per il suo atto di Valore reagendo alla protervia omicida del terrorismo?

Proprio nulla!

Ci associamo coralmente, quindi, dalle pagine di questo Giornale, che si ispira ai valori di Democrazia e Civiltà giuridica di Gaetano Salvemini, a 33 anni dai tragici fatti di quell’ infausta giornata del 19 giugno 1981, a quanto richiesto dall’Associazione Nazionale Bersaglieri per il suo benemerito socio, Tenente Antonio De Vita, con vibrante lettera del dinamico Presidente della Sezione di Roma Capitale, dott. Massimo Flumeri, ai Bersaglieri d’Italia dal titolo: “Antonio De Vita un eroe dimenticato dallo Stato” per un riconoscimento necessario, anche se tardivo, quale la Medaglia d’Oro al Valore Civile, invitando” gli aderenti a mobilitarsi perchè venga riconosciuto l’eroismo dell’ azione e Antonio, che sopravvisse alla ferita e rimase sordo da un orecchio, ottenga oggi, a tanti anni  di distanza, l’apprezzamento per il suo gesto. Bersaglieri, attivatevi, diffondete la notizia, mandate e-mail di adesione perchè Antonio abbia il giusto riconoscimento!”

Concludiamo, volendo ricordare ai nostri lettori il contesto in cui Antonio De Vita fu protagonista quale vero audace Combattente della Legalità, leggere almeno i titoli delle pagine tragiche scritte con l’inchiostro del sangue e dell’odio dalle BR in quell’anno, il 1981: -il Magistrato Giovanni D’Urso liberato dopo oltre un mese di prigionia; -l’ uccisione di Luigi Marangoni, Medico del Policlinico Milano; -la Polizia arresta a Milano Mario Moretti, al vertice della direzione strategica delle Br, latitante da nove anni, e l’ideologo Enrico Fenzi; -a Torre del Greco (Na), il sequestro, con liberazione dopo 88 giorni, di Ciro Cirillo, Assessore regionale all’Urbanistica, e uccisione del Brigadiere della Digos Luigi Carbone di scorta, e dell’autista Mario Canciello; -rapimento di Giuseppe Taliercio, direttore dello stabilimento Montedison di Porto Marghera, dopo alcuni giorni ucciso;-rapimento dell’ ingegnere Renzo Sandrucci, responsabile dell’Alfa Romeo di Arese, liberato dopo 50 giorni;- il rapimento, a Verona, del Generale USA Dozier, Sottocapo di Stato Maggiore del Comando delle Forze Alleate del Sud Europa, in seguito liberato dalla Polizia; -rapimento di Roberto Peci, fratello 25enne del pentito, Patrizio, che  collaborò con la Giustizia, difeso d’ufficio, come noto, dall’Avv. De Vita, e sua uccisione all’alba del 10 agosto con una vera e propria esecuzione ripresa da una telecamera con l’ “Internazionale” come musica di sottofondo; una tragica liturgia di orgiastici assassini, coloriti di esaltata politica autoreferenziale.

Ed è proprio per questa logica di morte che l’Avvocato De Vita doveva morire!

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