Roma, 14 Maggio 2017 – Le nostre strade cominciarono ad incrociarsi quando il Coni varò la Scuola Centrale dello Sport, un lungimirante college universitario che ha fornito i tecnici e dirigenti che per due generazioni hanno fatto grande lo sport italiano. Si accedeva agli esami di ammissione per titoli di studio e sportivi. Tre anni di corsi e poi una carriera assicurata nelle Federazione sportive o dove c’era necessità di sportivi preparati. Fra le domande, c’era anche quella di Oliviero Beha, diciassettenne ma già con diploma di maturità classica presso il Liceo Orazio di Roma. In quanto a sport era fra i migliori atleti junior italiani sugli 800 e, quale calciatore in erba, era nel giro interista.
Tutto perfetto per l’ammissione? Non fu così: i testi psicotecnici rivelarono che Oliviero aveva un Quoziente di intelligenza da genio, ma anche che era insofferente alle gerarchie ed un perfezionista insoddisfatto e pronto a contestare. Un genio difficile da gestire.
Io, che ero stato assunto dal Coni per organizzare e gestire la Scuola, a malincuore dovetti accettare questa imposizione che privava la Scuola di un grande talento , destinato , invece, ad una grandezza in solitudine di poeta, autore, scrittore, comunicatore e contestatore al più alto livello.
Le strade si incrociarono ancora qualche anno dopo quando ci ritrovammo entrambi in lizza per l’assunzione giornalistica alla redazione romana del quotidiano sportivo di Torino, “Tuttosport”.
Entrambi ci muovevamo con collaborazioni nell’ambito del giornalismo sportivo in attesa di una occasione. Il neo direttore di “Tutto Sport”, Gianpaolo Ormezzano, decise salomonicamente di assumere me subito a Roma, perché avevo famiglia , ma non volle perdersi il talento di Oliviero, assorbendolo alla redazione milanese qualche mese dopo.
Oliviero era reduce da una seconda laurea presa in Spagna. Continuò a frequentare la redazione romana di “Tuttosport”, a collaborare ed a fare insieme tanti progetti per il futuro. Nel frattempo ancora sport praticato: insieme il calcio, individualmente lui il mezzofondo (personale sui 1500 m. 3’55”4) io il Rugby (Serie A con il Cus Roma vicecampione d’Italia , azzurro contro la Polonia).
Era il tempo delle prime Tv private. Insieme entrammo nella squadra che l’ex Direttore del Corriere dello Sport, Mario Gismondi, aveva messo su per l’emittente SPQR. Oliviero parlava in video con la facilità con cui scriveva. Si prendeva tutta la scena nella trasmissione e non rinunziava ad ironizzare i teoremi di Gismondi sentenziati in italo-barese.
Non che non stimasse Gismondi solo non poteva fare a meno di criticare e prendere le distanze. Gli voleva bene. Lo ringraziava per l’opportunità che gli era stata concessa. Voleva bene a chi gli offriva una chance importante ma, se ne vedeva l’opportunità non sapeva rinunciare all’ironia od alla battuta. Non importa se il suo interlocutore rimanesse danneggiato o male.
Anche a me ha mai risparmiato nulla. Abbiamo vissuto tante pagine insieme. Allenati assieme, giocato al calcio con la Nazionale giornalisti anche all’estero; condiviso le partite del Caravella Tricolore. Quando si infortunò ad un ginocchio durante una partita a Labaro lo portammo all’Ospedale Villa San Pietro sulla Via Cassia dove ortopedica era Rosalia che divenne presto sua moglie. I miei figli sono cresciuti con lui che spesso, con i suoi, erano ospiti a casa mia. Siamo stati assieme con le nostre famiglie a Salina nell’Eolie. Ci siamo consultati per le nostre avventure letterarie e poetiche (le sue) ma se trovava lo spunto per mettermi in berlina non ci rinunziava. Ho passato ore ed ore a consolarlo per le mille incomprensioni che ha incontrato nella sua vita professionale. Non riusciva ad accettare il principio che nella vita è difficile se non impossibile ricevere sulla base dei propri meriti. A spiegargli che le persone di qualità fanno paura al prossimo e vengono osteggiate. Non riusciva ad accettare che se uno è migliore di un altro perché il secondo deve ottenere di più a scapito del primo.. Questa non era una sua convinzione maniacale. Era una sacra verità che lo ha accompagnato tutta la vita.
Il suo talento era sempre immediatamente percepito. Era affascinante. All’approccio aveva tutte le qualità del mondo: bello, elegante, colto, fiorentino senza accento. Immediatamente ogni interlocutore pensava di portarlo dalla sua parte ( anche per utilità collettiva), ma la gestione si faceva presto complicata fino alla rottura. Di qui i molti cambi di testata e le carriere monche.
Ma il valore dei suoi prodotti – dai numerosi libri (scritti a perfezione in pochissimo tempo), alla poetica , alle conduzioni radio-tv, ai numerosi programmi da lui ideati e realizzati – tutto era oro.
Lui, non si aspettava di ritorno moneta, ma qualche riconoscimento sì. Che non è mai arrivato. Perché oltre ad un certo livello i geni non possono salire chè altrimenti fanno oscurità a tutti.
In realtà forse non ha giovato a Oliviero il fatto di venire dallo sport. Uno sportivo puro autentico come lui non può essere un intellettuale. Od avere un pensiero politico indipendente. Non può avere dei valori veri da difendere e propagare come quello della giustizia potendo trovare posto, seppure importante, nell’industria del calcio, ma non di più. Non può essere un intellettuale autentico, come invece , lui era.
Tutto ciò Oliviero – che era davvero un genio – lo aveva capito subito, prima ancora che ne discutessimo.
Infatti, per compensare il suo bisogno di giustizia prestissimo capì che solo la famiglia era qualcosa di vero, autentico in cui isolarsi. Di qui Rosalia quindi Saveria, Germana, Manfredi.
E nelle loro calde braccia piene di affetto e di lui, ieri serenamente se ne è andato felice della sua vita, ma sempre convinto che Nemo profeta in patria…
I funerali si svolgeranno domani a Roma, ore 11.00, nella Chiesa degli Angeli Custodi in Piazza Sempione