BREVE STORIA DEL GRAN TEMA AMBIENTALE IN ITALIA

Anticamente, il tasso di popolazione era molto basso. Le prime criticità cominciano con la stanzialità e con l’inizio dell’inurbarsi della popolazione. Ma non esistevano ancora grandi agglomerati urbani.

(cloaca massima Tevere)

In questo contesto si erge la Roma imperiale, una città che con Augusto arrivò a contare un milione di abitanti e che, date le sue dimensioni, cominciò ad avere problemi per lo smaltimento dei rifiuti; problemi che si tentò di risolvere, da un lato con la costruzione della grande rete fognaria cittadina collegata alla Cloaca Massima, e dall’altro con lo sviluppo degli approvvigionamenti idrici di acqua potabile (11 acquedotti; il “Claudio” era del 312 a.C.) che servivano, oltre che le Terme, le 1352 fontane disseminate per i 14 quartieri cittadini.
All’epoca, a Roma confluivano un milione di metri cubi d’acqua al giorno, circa 1000 litri procapite (il consumo odierno del cittadino italiano è di circa 400 litri al giorno).
Tutto questo sparì con la caduta dell’Impero.
Ci fu progressivamente, nei secoli a venire, una sostanziale crescita della popolazione, caotica, senza presidi igienici e l’inizio di quella che si definisce la “Città pestilenziale”, che dominò per moltissimi secoli.
Gli esempi di Londra e Parigi sono emblematici.
A Londra sorsero interi quartieri fatti di baracche, privi di fogne, di acqua corrente, di un sistema di smaltimento dei rifiuti che venivano interrati in pozzi neri o lasciati marcire nelle strade sterrate (il ben noto principio dell’”Allontana e Dimentica!”) originando quel pestilenziale fango, fonte, insieme alle infiltrazioni in falda dai pozzi neri, di quelle epidemie di peste, di tifo, di colera che si abbatterono sulla popolazione con una regolarità impressionante (la teoria “miasmatica”, secondo cui l’origine delle epidemie andava cercata appunto nel cattivo odore onnipresente).
Ma il cambiamento, nella lotta alla città pestilenziale, si ebbe con la rivoluzione industriale che provocò da un lato una impensabile crescita della dimensione delle città e dei suoi problemi igienici, dall’altra tutta una serie d’innovazioni che portarono da un lato ad un aumento esponenziale dei rifiuti, dall’altro ad un approccio moderno teso a risolvere il problema.
È a questo punto- come ben descritto nel pregevole libro di Lorenzo Pinna “Autoritratto dell’Immondizia”; Bollati Boringhieri, 2011- che si affermano due personaggi, ai più sconosciuti, che portano il nome di Joseph Bazalgette, ingegnere capo del Metropolitan Board of Works e George Eugène Hausmann, Prefetto della Senna. Il primo costruì il sistema fognario di Londra, il secondo quello di Parigi, intorno al 1850. 
Entrambi dotarono le proprie capitali di quella che ancora oggi è l’ossatura del loro impianto fognario. L’invenzione della fogna (in senso moderno) contribuì a migliorare la salubrità urbana e, isolando le acque luride e impedendo la contaminazione di quelle che oggi definiremmo potabili, generò infinite situazioni positive sulla salute pubblica. Gli enormi progetti che eseguirono, trasformarono le due città, che da allora in poi non furono oggetto più di epidemie e nelle quali scomparvero i rifiuti per le strade e di conseguenza il puzzo mortifero che le dominava.
Per contro, viene da citare il caso di Napoli e di come alla fine dell’Ottocento un approccio moderno, però già compromesso con la camorra, con le tangenti, con i condizionamenti dei potentati locali, portò un ambizioso progetto al più clamoroso fallimento. A Napoli, città pestilenziale oltre misura, il colera giunse nel 1884. Anche se all’epoca non c’era molta chiarezza sull’origine della malattia ( il “vibrione” fu scoperto da Robert Koch soltanto un anno prima, nel 1883, e finalmente collegato al colera), l’esperienza delle tante epidemie che dal 1830 avevano afflitto l’Europa avevano insegnato che bisognava migliorare l’igiene urbana e dotarsi di adeguata situazione ospedaliera.
Re Umberto e il Primo Ministro Depretis fecero approfondita visita alla città. L’attacco alla città pestilenziale era stato deciso. In tempi rapidissimi, il Parlamento, il 15 gennaio 1885, approvò la Legge per il risanamento di Napoli, ad appena due mesi dalla fine dell’epidemia. Lo sventramento di Napoli era un progetto di dimensione analoga a quelli che avevano segnato la trasformazione di Parigi e Londra.
Ma nella capitale del nostro sud non ci saranno figure all’altezza di Hausmann o Balzagette. 
Il miglior resoconto del fallimento del risanamento lo troviamo nel bel libro della grande scrittrice e giornalista Matilde Serao, “Il ventre di Napoli”. La Commissione d’inchiesta, istituita l’8 novembre 1900 e presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato, l’integerrimo giurista Giuseppe Saredo, arrivò a conclusioni pesantissime, in particolare sul Deputato on. Casale, in odore di lambire la camorra, sul Sindaco Celestino Summonte e vari Assessori e politici locali supportati, more solito, da faccendieri, ma anche sul Direttore de “Il Mattino”, Edoardo Scarfoglio (non sfuggiva anche allora l’importanza di influenzare l’opinione pubblica!). 
Nel 1910 torna il colera a Napoli, ad appena 25 anni dalla tragica epidemia del 1884 ( circa settemila morti nella sola città e quasi ottomila nella provincia). . Per l’anno successivo, tra l’altro, erano previsti i festeggiamenti del primo cinquantenario dell’Unità nazionale, quindi niente di più imbarazzante.
Giunsero nuovi finanziamenti nel 1902 e 1908 per concludere l’ultradecennale opera di risanamento di Napoli. Sul colera, fronteggiato con lazzaretti e cordoni sanitari, con prelievo forzato dei contagiati e il loro internamento, fu quindi operata un’”azione silenziatrice” che ben riuscì. Si denunciò un’epidemia di meningite (anche se ci furono ben 17 mila morti), il che consentì di intraprendere tutte le misure necessarie, evitando la vergogna del colera, figlio non nobile di degrado e sporcizia cronica.
Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio, al riguardo, liquidò la faccenda come un incidente sanitario di proporzioni insignificanti.
In Italia, la prima Legge sulla Sanità è del 1888, in cui venivano affermati i fondamenti dell’igiene urbana: ogni casa doveva disporre di acqua corrente e di gabinetti collegati a fogne, gli edifici andavano costruiti secondo precisi criteri, le strade allargate per favorire aria e luce, i rifiuti dovevano essere allontanati dai centri urbani. Ma circa cento anni dopo, nel 1975, in Italia, su 8000 Comuni, 6000 erano dotati di fognature, senza ovviamente depuratori¸ tranne rari casi come Roma e alcuni comuni dell’Emilia e Romagna; solo il 55% della popolazione era dotato di acqua corrente potabile. E gli Italiani, allora, producevano quasi 13 milioni di tonnellate di rifiuti solidi ogni anno (oggi 32milioni). La Legge 319 del 10 maggio 1976, conosciuta come Legge Merli, pose fine allo scarico indiscriminato dei reflui industriali e successivamente dei liquami fognari urbani.
Nel 1989, il Ministro dell’Ambiente Ruffolo presentò la prima Relazione sullo Stato dell’Ambiente, il primo check-up approfondito e sistematico fatto all’ambiente naturale del nostro Paese. Il quadro non era confortevole. Dei 1581 impianti di depurazione urbani costruiti con la Merli, solo il 50% funzionava, mentre la situazione dei reflui industriali era ignota. Sono dovuti passare altri anni per arrivare alla Legge Galli del 1994, sulla tematica dell’ acqua, che ha posto le basi per una gestione industriale dell’acqua in Italia. Ma le cose non sono andate nel modo sperato.
Fino al 2001, le tariffe dell’acqua si sono adeguate ai costi arrivando a coprire solo la gestione quotidiana, non i costi per nuovi investimenti. Poi, tutto si è bloccato, e le tariffe non sono state più aggiornate, nemmeno tenendo conto dell’inflazione. Per la politica, aumentare le tariffe è impresa di alto rischio. Quindi, con tariffe basse rispetto alla media europea e con la drastica diminuzione dell’intervento finanziario dello Stato, gli investimenti per la manutenzione e l’ammodernamento delle reti sono stati fatti in modo sporadico.
Per i rifiuti solidi urbani, le cose sono andate molto peggio rispetto al sistema delle reti idriche, con l’incapacità di costruire un sistema industriale efficiente e adeguato.
La fine ufficiale dell’”Allontana e Dimentica”, arriva nel 1982, cioè quando l’Italia recepisce le direttive comunitarie emesse negli anni ’70. Fino ad allora, tutta la materia era regolata dalla legge del 1941 ( Legge dello Stato 20/03/1941 n. 366 “Raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”, secondo cui i comuni, con municipalizzate o privati, raccoglievano i rifiuti che venivano scaricati e dimenticati nelle buche per terra, di solito di privati, senza precauzioni tecniche: appunto, l’“Allontana e Dimentica”!).
Con il Decreto del 1982, si arriva ad una svolta, ed il perno principale sarebbero state le Regioni cui veniva affidato il compito di preparare i piani, il tipo e il numero delle discariche, gli inceneritori, le stazioni di separazione e di deposito temporaneo e trasferimento.
Ma tutto questo si realizzerà in modo non omogeneo ed efficace, come ben sappiamo. Emblematico, al riguardo, il tragico caso Napoli!
 
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