Roma, 29 luglio 2020 – Si continua a parlare della triste vicenda dei Carabinieri di Piacenza. Interviene anche il grande Vittorio Feltri con un editoriale su LiberoQuotidiano. Secondo le accuse della Procura, i Carabinieri in servizio avevano creato una vera e propria banda che commetteva reati gravi. Vittorio Feltri invita però, giustamente, a non generalizzare.“Se certi abusi saranno confermati alla fine dell’inchiesta, ovvio che debbano esserne puniti gli autori in modo esemplare. Tuttavia aspettiamo il giudizio della magistratura per emettere condanne sulla base del sentito dire. Insomma, serve prudenza allorché c’è di mezzo la violazione della legge, le responsabilità vanno verificate perfino nei dettagli prima di sentenziare. Ciò detto, desideriamo fare una puntualizzazione. Quand’anche si confermasse che la storia di Piacenza è stata una triste e drammatica realtà, sarebbe scorretto e altresì devastante “sputtanare” l’intera e gloriosa Arma facendo di ogni erba un fascio. Migliaia di Carabinieri si sacrificano svolgendo un lavoro massacrante per renderci la vita meno agra, e sarebbe ingiusto infilarli nel mazzo di quelli che hanno peccato. Costoro sono tra i pochi elementi di unità nazionale e vanno difesi pure da se stessi nel momento in cui sbagliano. Non è lecito linciare una categoria in quanto alcuni appartenenti ad essa sono mascalzoni. I malviventi si annidano dovunque, tra i geometri, i giornalisti e i salumieri”.
Sul triste argomento nulla aggiungo sposando in toto quanto scritto da Vittorio Feltri.
Restando nel campo del grande giornalismo, Leo Valiani sostenne anni addietro: “Non lottizzate anche l’Arma dei Carabinieri..” L’uomo della strada, infatti, pur non conoscendo la storia dell’Arma nei dettagli, che è sempre quella scritta sulle tavole della storia Patria, però ha ben appreso quanto fatto nella lotta al terrorismo e alle mafie, nei grandi soccorsi pubblici, sa bene che esistono ancora i Marescialli descritti da Mario Soldati…”Ricordo che il grande scrittore Carlo Levi, a Villalba, descrisse in “Mafia e politica” una scena che avvenne nella piazza del paese dove si verificava un preciso rituale simbolico.
”Ero arrivato a Villalba la sera, avevo cenato nella casa di Michele Pantaleone, vi avevo dormito, e ci eravamo levati, per tornare a Palermo.Quando mi affacciai, sul selciato della piazza deserta passeggiavano, come fossero lì prima di tutti e di tutto, da sempre, soli, due uomini. Uno, con la coppola calata sugli occhi, alto, grosso e tarchiato, aveva, in ogni suo movimento, l’aspetto del potere. Il suo compagno era con ogni evidenza un secondo, un compare, un subordinato o un guardiaspalle… Lanciavano di sotto la coppola sguardi obliqui verso la mia finestra, subito rivolgendoli in modo da sembrare di non guardare. Subito, dal corso, entrò in piazza un terzo personaggio. Questo non aveva mistero, era in divisa: era il Maresciallo dei Carabinieri e cominciò a passeggiare in mezzo ad essi. Quei tre potenti andavano così, avanti e indietro sulla piazza vuota. I loro passi risuonavano nel silenzio: la passeggiata era una dimostrazione”.
Bellissima raffigurazione di una realtà tragica e amara, in cui il Comandante della Stazione dei Carabinieri non poteva sottrarsi per affermare la presenza dello Stato e della Legge, quale monito ai rei e messaggio di sicurezza per i cittadini onesti. Questa figura dell’Eroe positivo è sempre esistita nell’immaginario popolare, perché davvero aderente alla realtà della vita in ogni dove, dalle Alpi alla Sicilia.
E ciò si è verificato anche in televisione; ed è così tra i vari telefilm mi piace in particolare ricordare che il Maresciallo Rocca lo abbiamo visto operare in una Stazione Carabinieri di Viterbo, vedovo da anni, con tre figli, con una relazione con la bella farmacista. Le sue brillanti indagini coinvolsero spesso la sua famiglia, ma grazie al suo intuito, il Maresciallo imboccò sempre la pista giusta, tutelando da buon Padre di Famiglia i suoi cari e assicurando i criminali alla giustizia.
Certo, l’Arma, nella sua essenza, è quella di sempre, e le sue 5000 Stazioni garantiscono la presenza dello Stato e danno ancora il senso di un’Italia consapevole delle sue tradizioni e delle sue libere Istituzioni. Sappiamo però che la società mutata in peggio che fa ritenere giusto il superfluo colpisce oggi anche i Carabinieri, con tentennamenti, sbandamenti ed anche suicidi. I Carabinieri ieri erano “Usi obbedir tacendo e tacendo morir”; oggi si interrogano e chiedono solo di essere ascoltati. ”Potrebbe scapparci fuori un’ammirazione delusa, un’autorità senza valore..” scrisse un 7 febbraio di anni addietro il “Corriere della Sera”; “I superiori sono molto spesso attenti solo a far carriera. Viene così meno il dialogo necessario tra la base e le gerarchie..” scrisse La Repubblica di un 11 febbraio. Perché tutto questo? Forse oggi c’è fretta di fare carriera; fretta di buttarsi alle spalle il periodo di comando perché le responsabilità sono maggiori; fretta nel fare le visite periodiche, scarsi i controlli, l’azione di addestramento di guida superficiale come la conoscenza dei problemi del personale e dei loro problemi familiari. È probabile che sia così, oggi. In tutta la Pubblica Amministrazione è un gran danno l’esasperazione delle carriere, le collocazioni significative di status symbol, gli orpelli del dopo che contino…
Resta inteso che dove c’è un Carabiniere, un Agente di Polizia, comunque una divisa, c’è lo Stato.Quindi, il monito per tutti deve essere unicamente quello che chi commette un gesto di violenza contro le Forze dell’Ordine, abbia una pena raddoppiata da scontare, solo perché colpisce lo Stato e quindi l’intera comunità. Nel senso, la Politica non si sta muovendo. Piaccia o no!
Ora una mia vecchia riflessione personale: vorrei dire qualcosa proprio riguardo al ruolo di quel modesto ma grande Soldato della Legge che è l’appartenente alle Forze di Sicurezza dello Stato, giornalmente esposto a situazioni stressanti, che possono a lungo comprometterne il benessere sia psicosociale che fisico. In questa sede faccio riferimento al Carabiniere delle Stazioni, da me ben conosciute in passato nei 10 anni di Compagnie territoriali, negli 8 quale comandante di tre Comandi Provinciali, nei tre quale Comandante della Legione Veneto con 273 Stazioni ispezionate una al giorno con successiva lettera di valutazione, in verità quasi sempre positiva…
Bene, ma qual’è la vita dei bravi Carabinieri di Stazione?
Si, il Carabiniere della più piccola unità operativa dello Stato, entità autonoma e per questo speciale, quale è appunto la Stazione, un tempo definita a ragione la vera “antenna dello Stato”, giornalmente esposto a situazioni stressanti, che possono a lungo comprometterne il benessere sia psicosociale che fisico.
Gli eventi con i quali quotidianamente si confronta inerenti alle sue mansioni sono molteplici e delicati, vanno dalla gestione della normalità della vita civile, nel proprio contesto di lavoro, alla partecipazione ai servizi esterni di pattuglia, o al servizio in Caserma, per prendere le denunce e fornire consigli alla gente sovente di un piccolo sperduto paese; è anche soggetto ai doveri di Carabiniere nella piccola comunità militare di appartenenza, doveri costituiti dalla gerarchia, dalla disciplina, dall’iter organizzativo, dal rispetto delle norme e delle regole. Deve poi, all’occorrenza, essere in grado di confrontarsi con la violenza della strada, le rapine, gli omicidi e le sparatorie, dovrà vedere morti e feriti, trovarsi davanti a donne e bambini abusati, partecipare a scontri violenti con delinquenti da arrestare, spesso ubriachi e drogati, sia di giorno che di notte, in zone isolate e lontane, Lui solo con il Collega, entrambi consapevoli della difficoltà di poter ottenere manforte. In caso di incidenti stradali anche gravi, Lui prosegue la sua attività soccorrendo i feriti ed effettuando i rilievi planimetrici con la stessa professionalità tecnica dei colleghi della Polizia Stradale e sarà, ovviamente, proprio Lui il primo a soccorrere la sua gente in occasione di disastri naturali, sempre più frequenti.
Egli, quindi, in virtù di tutto questo, deve tenersi pronto ad intervenire in ogni momento, pur percependo attorno a sé un continuo senso di pericolo proveniente da un nemico invisibile e sconosciuto, offrendo comunque garanzie alla richiesta di sacrificio da parte della società sempre più esigente e intollerante, ma avvertendo però nel suo animo che la minaccia, il danno o addirittura la morte sono realtà possibili per Lui; e Lui, il Carabiniere di Stazione, questo lo sa bene, come sa anche di non essere un impiegato qualsiasi, al quale la routine può concedergli minori responsabilità, orari di lavoro favorevoli e tempo libero, come sa che, diversamente dall’impiegato qualsiasi, dovrà essere sempre presente, dovrà correre rischi, soggiacere ad orari pesanti, indossare una divisa che lo obbliga ad obbedire ad un superiore a volte burbero ed intransigente e, magari, nel fare tutto questo, non vuole far trapelare, per pudore, il peso enorme di una vicenda familiare negativa, o di una situazione di servizio forse erroneamente ritenuta ingiusta, comunque patita, sofferta e amaramente vissuta.
Lui sa anche che deve continuare a vivere in un ambito ristretto, piccolo come la Caserma che lo ospita e nella quale spesso abita, anche da sposato con la famiglia, se ha la fortuna di ottenere l’alloggio di servizio che gli consente di non pagare l’affitto a tutto vantaggio dell’ormai magro bilancio familiare; un ambito che può diventare una gabbia che lo chiude e, sebbene affievolite ma non scomparse del tutto le grandi motivazioni di un tempo, lo opprime fortemente. Ecco, allora, il malessere, il risentimento o il gesto sconsiderato di rifiuto estremo alla vita sua e, ancor peggio, a quella di altri. Ora, quando una o più vite sono state spezzate in tal modo, siamo chiamati a riflettere sull’odierno modo di vivere, sul minore spirito di appartenenza e sul minore senso di solidarietà che un tempo, antipatie e contrapposizioni fisiologiche a parte, facevano considerare, tra colleghi e appartenenti allo stesso Corpo, tutti fratelli nel comune ideale.
Ma, l’avanzare del tempo ha velocemente imbarbarito la vita sociale in tutti i settori umani e tali sono anche le conseguenze per chi ha la Fiamma nel Cuore e sul Berretto come gli Alamari cuciti sulla pelle. Ciò, ovviamente, merita una riflessione approfondita e non di facciata, cui dovrà seguire l’adozione di provvedimenti. Su questo i Vertici ai vari livelli oggi devono meditare…
Concludo questa ondata di ricordi considerando che la triste vicenda di Piacenza oggi impera…si impera…ma sappiamo bene che i Carabinieri d’ Italia vivono nel motto: “Sempre Avanti!!”
CARABINIERE Raffaele Vacca, Generale di Divisione ©
DEL DIRETTORE
Il Generale Raffaele Vacca ha, con la sua solita eccezionale chiarezza, spiegato, accusato, giustificato.
Sento però il dovere di integrare, per aver comandato per ben 28 anni la stazione Capoluogo di Roma-Talenti.
Non per esaltare, ma solo per motivare ciò che scriverò, in ben due circostanze mi sono offerto in ostaggio, nel 1984 alla scuola “Ignazio Silone” dove un uomo aveva ucciso il bidello Ernesto Chiovini e sequestrato 19 studenti e nel 2005, in Piazzale Hegel, dove un uomo con cintura esplosiva e pistola, aveva minacciato la comunità dei Testimoni di Geova. In ambedue le circostanze, riuscii a concludere le vicende senza spargimento di sangue… senza alcun mediatore televisivo ma con la convinzione di credere in ciò che facevo, rischiando la mia vita, per la comunità che avevo giurato di proteggere.
Chi mi conosce, sa che potrei citare altre centinaia di episodi. Il tutto “né per timor di pena o speranza di ricompensa”, come recita il Regolamento Generale.
Ultimo mio episodio, a 10 giorni dal congedo, arresto di un extracomunitario che aveva minacciato altro cittadino, armato di un lungo coltello. Lui 20enne ed io 64enne…
Alla richiesta, di un giornalista, perché non è stato fatto uso delle armi, risposi che l’Arma dei Carabinieri ci insegna a Morire, non uccidere!
Mio figlio, ora Carabiniere, da ragazzo, mi contestò giustamente, che non eravamo mai andati al cinema insieme, o fatto una passeggiata insieme. Ciò perchè l’Arma dei Carabinieri e le genti del territorio affidatomi dallo Stato, avevano precedenza sulla mia vita privata.
Ciò che si è verificato a Piacenza, è gravissimo ed inaudito. Personalmente, se si accertano responsabilità penali, nemmeno l’ergastolo sarebbe sufficiente, avendo sporcato la Nostra Uniforme, infrangendo il nobile gesto compiuto nel 1834 dal Carabiniere Reale Giovanni Battista Scapaccino il quale, avendo giurato fedeltà al Re, si fece uccidere piuttosto che unirsi agli insorti, tenendo così fede al giuramento prestato, Carabiniere Reale a cui ci siamo sempre ispirati, riempendo le pagine di storia. Forse il più noto e Salvo d’Acquisto o i Martiri di Fiesole (che la politica ha sempre cercato di ignorare, trattandosi di Carabinieri Reali ma partigiani)…
Gli aspiranti Carabinieri, venivano selezionati, arrivando alla settima generazione, per valutarne l’incorruttibilità, onestà mentale ed attaccamento alle Istituzioni. Certamente con meno cultura ma pronti a sacrificarsi per fare il proprio dovere, perché la morte non chiede il titolo di studio…
Poi il grande salto voluto dalla politica, modificando i bandi di arruolamento.
Ed è sempre la politica, penetrata nell’Arma dei Carabinieri, che ha vanificato sempre più, esaltando la parola diritti – sacrosanti – e sminuendo i doveri così sapientemente descritti dal Generale Vacca che invece per i Carabinieri venivano dopo avendo prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica perché i Carabinieri prestano “SERVIZIO” non attività lavorativa!
All’epoca, gli arruolamenti venivano fatti direttamente, ogni giorno, esaminando i giovani ragazzi del territorio che amavano la legalità, valore che veniva incrementato e forgiato nei nostri Istituti di Istruzione.
Oggi, gli arruolamenti passano attraverso forme diverse…
Fatto salvo il principio del carcere a vita per gli accertati responsabili di Piacenza, con la spettacolare chiusura di una Caserma (non applicata al CSM, per fatti molto più gravi!) al lettore pongo una domanda: gli arruolati, da dove provengono? Perché sono chiamate ‘mele marce?’ Ci si pone la domanda che stiamo facendo sparire la parola dovere per sostenere a gran cassa, quella di “diritto”, di domandarsi sempre quando si chiede di fare qualcosa, del “perché”?
L’Arma, quando arruola, cerca di prendersi soggetti sani, ma quei soggetti non sono altro che il frutto di questa società! E se in mezzo c’è qualche maledetto virus, è un disgraziato incidente di percorso e, chi ha un poco di cervello e non è in malafede, deve parlare di “quel delinquente” senza per questo provare a sporcare l’Istituzione che è sana e certamente, le altre esistenti in Italia, non possono permettersi di criticarla perché negli occhi non hanno pagliuzze ma intere foreste!
CARABINIERE Salvatore Veltri, con orgoglio Maresciallo in congedo