Roma, 10 ottobre 2019 – A Penna San Giovanni (Macerata), il 12 ottobre, con una cerimonia, verrà ricordato il centenario del sacrificio della propria vita nell’adempimento del dovere, del Carabiniere Reale M.O.V.M. Giovanni Burocchi.
La celebrazione inizierà con il raduno alle 10,30 nella Piazza Del Municipio di Penna San Giovanni, con a seguire deposizione della corona di alloro al Monumento ai Caduti, quindi la S. Messa officiata nella Chiesa di San Giovanni Battista, dall’Arcivescovo s. Ecc. Rocco Pennacchio, al termine della quale, alle 12,10, ci sarà lo scoprimento del Monumento dedicato all’Eroe.
L’occasione è propizia per coinvolgere la comunità del luogo, con particolare attenzione agli scolari delle scuole di ogni ordine e grado, di Penna San Giovanni e Monte San Martino, sui temi della legalità, dell’ecosistema, della solidarietà e sulla figura di questo illustre cittadino, per fare in modo che le giovani generazioni non dimentichino e si approprino della loro storia per farne motivo di sana e positiva crescita.
a tal fine, sono in programma incontri formativi con gli studenti.
Giovanni Burocchi, viene così ricordato dal Generale (a) Italo Governatori
Carabiniere Giovanni Burocchi . Un Pennese Da Ricordare
IL CONTESTO STORICO
L’undici novembre 1918, dopo la disfatta dell’impero Austro-Ungarico, viene firmato l’armistizio che decretò la fine delle ostilità della prima guerra mondiale.
Da quel momento l’Europa cominciò a pensare alla pace, cioè a come eliminare tutte quelle cause e motivi di contenzioso per approdare ad un clima disteso che garantisse un futuro pacifico. Il primo passo venne dalla Conferenza di Parigi, voluta dagli alleati che, vinta la guerra, decisero di incontrarsi per stabilire, tra le altre cose, un nuovo assetto dell’Europa. La conferenza iniziò nel gennaio del 1919 ed aveva come principali protagonisti Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Giappone e l’Italia, oltre agli alleati minori che vi partecipavano solo per gli argomenti di specifico interesse.
La presenza dell’Italia era garantita da due statisti, Giorgio Sonnino, ministro degli esteri e Vittorio Emanuele Orlando i quali, pur rappresentando una nazione vincitrice e difendendo le rivendicazioni Italiane con grande tenacia, non riuscirono ad ottenere, tra gli altri obiettivi, la riannessione di Fiume. A nulla valsero i tentativi di convincere gli alleati sulla validità delle richieste che, oltre a vedere concretizzate le aspettative del popolo di Fiume, avrebbero ripagato in parte il grande sforzo sostenuto dall’Italia nell’intero conflitto.
Purtroppo alla richiesta si opponevano due fattori, uno di carattere pratico l’altro politico. Infatti il 28 ottobre 1918, quando gli ungheresi lasciarono Fiume, l’esercito Croato approfittò per occuparlo militarmente anche se contro la volontà dei fiumani i quali formarono il Consiglio Nazionale che il trenta ottobre proclamò l’annessione all’Italia. Inoltre la Iugoslavia mise in atto una abile propaganda che fu favorita da Inghilterra e Francia e fortemente condivisa dagli Stati Uniti
Queste scelte non erano ovviamente in armonia con il principio di stabilire la pace e lasciavono aperte molte questioni.
Nel mese di luglio 1919 venne inviata a Fiume una commissione presieduta da un Generale Italiano, de Robilant, ma composta in maggioranza da membri degli altri paesi contrari all’annessione di Fiume all’Italia. Tale scelta non favorì le aspirazioni italiane infatti la conferenza di Parigi, su proposta della commissione stessa, deliberò lo scioglimento del Consiglio Nazionale. L’ordine pubblico venne affidato alla polizia inglese ed americana; tutti i contingenti italiani presenti a Fiume furono ridotti drasticamente per poi essere definitivamente sostituiti; inoltre fu sciolta la Legione Volontari Fiumani.
L’Italia, messa in minoranza, dovette accettare e il 24 Agosto fece partire i soldati ed allontanare le navi da guerra.
Il 12 settembre si attuò un progetto che era in preparazione da tempo. Gabriele D’Annunzio, alla testa dei suoi legionari partì da Ronchi e arrivò a Fiume dove il generale italiano gli consegnò il comando. Il Consiglio Nazionale gli affidò i pieni poteri e le truppe alleate si allontanarono in silenzio. Il nuovo ministro degli esteri, Tittoni, nominato dal gabinetto Nitti insediatosi nel mese di giugno 1919, approfittò di questo fatto per esercitare delle pressioni sulla conferenza di Parigi ma, non essendo appoggiato dal suo primo ministro, non riuscì ad ottenere nessun risultato.
A Fiume si continuò a resistere contro le decisioni della Conferenza e l’Adriatico divenne un mare dal quale Fiume riceveva rifornimenti di ogni tipo. Molte navi partirono dall’Italia cariche di viveri per sostenere la lotta di Gabriele D’Annunzio, dei suoi legionari e del popolo fiumano.
IL FATTO
Non tutte le navi erano dirette a Fiume e una di queste, il piroscafo mercantile Presidente Becker, doveva partire da Ancona il primo ottobre in direzione di Sebenico. La nave era stata requisita dall’Italia durante la guerra e, in una delle tante serate autunnali del porto marchigiano, si preparava a salpare dalla banchina Nazario Sauro. Tutto era quasi pronto, si caricavano le ultime casse di viveri per poi dirigersi alla volta di Sebenico, città marinara della Dalmazia settentrionale occupata dalle truppe Italiane. Di scorta alla nave furono comandati i carabinieri Giovanni Burocchi e Aldobrando De Luca i quali avevano come ordine tassativo di farla arrivare a destino ad ogni costo. Burocchi aveva quasi quarant’anni ed era noto per la sua fermezza e per la sua fede, aveva una lunga esperienza maturata nei vent’anni di silenzioso ed apprezzato servizio che comprendeva anche esperienze al fronte, come combattente di prima linea sul Carso, e l ’arresto di un pericoloso pregiudicato a Cupramontana, durante il quale riportò delle lievi ferite. Era un autentico figlio di questa generosa Terra che palpitava, come tutta l’Italia, per le sorti di Fiume ed esultava alle notizie delle azioni di D’Annunzio. De Luca trentenne era originario del vicino Abruzzo.
Saliti a bordo il comandante li informò che si erano già imbarcati, nella stessa nave, cinque Ufficiali dell’esercito di stanza ad Ancona con il compito di affiancarli nella scorta fino a Sebenico. Era mezzanotte quando la nave salpò per doppiare, dopo quasi un’ora, capo Conero dove mise la prua ad est, verso la Dalmazia. Poco dopo, verso l’una e trenta, gli Ufficiali, rivelatisi legionari fiumani, salirono sulla plancia di comando, costrinsero il comandante a seguirli verso il salone e gli intimarono, minacciandolo, di fare rotta verso Fiume dove volevano sbarcare i viveri. Nonostante i tentativi di reazione i cinque erano decisi: il capitano fu costretto a cedere ed informò l’equipaggio del cambiamento di programma I due carabinieri erano sul ponte in sommessa conversazione, ignari di ciò che stava succedendo. Un marinaio li invitò nel salone a nome del comandante. Entrati si resero subito conto della grave situazione in cui erano, da un lato del tavolo erano seduti il capitano e due suoi subalterni, dall’altro i cinque Ufficiali con le armi in pugno. Uno degli ufficiali informò i due carabinieri del cambiamento di programma e li invitò ad accettare come fatto compiuto la nuova situazione. Burocchi si oppose con decisione e, pur minacciato, non cedette. Gli Ufficiali salirono sulla tolda ed imposero al nocchiere di dirigere verso Fiume, alternandosi per controllare la rotta a mano armata.
I carabinieri non rinunciarono al loro scopo e mentre il tempo passava vigilavano e parlottavano tra loro per individuare una soluzione per fare arrivare la nave a Sebenico.
Burocchi, più anziano, aveva la responsabilità del servizio e nel cercare una strada per uscire da quella situazione trovò anche l’animo e le parole per incoraggiare il suo compagno.
Era quasi l’alba quando uno scroscio di pioggia e vento fece interrompere il controllo della rotta da parte dei “legionari”. Burocchi non perse tempo e si portò con il compagno presso il comandante e lo invitò a riprendere la via per Sebenico.
Uno degli Ufficiali li raggiunse ed oltraggiò aspramente il Burocchi minacciandolo con la pistola. Il carabiniere replicò «Siamo italiani come lei, ma la consegna ricevuta è sacra e noi dobbiamo farla rispettare ad ogni costo».
Giunsero gli altri legionari che tentarono di convincerlo, ora con allettamenti, ora con minacce, ma inutilmente. Verso sera la nave entrò nelle acque del golfo del Quarnaro ed erano le venti e trenta circa quando venne avvistata Fiume ma mentre ci si apprestava ad entrare nel porto un contrordine della capitaneria respinse la nave nella rada dove, gettata l’ancora, restò fino al mattino Verso le nove del mattino, dopo una notte interminabile, venne concessa l’autorizzazione per entrare in porto dove, appena giunti, salirono a bordo due arditi del 22° Reggimento d’assalto di Fiume che intimarono al Burocchi di arrendersi e di consentire lo sbarco delle merci.
Il carabiniere, mentre proteggeva con il corpo il suo compagno, rispose che non sarebbero scesi a terra ne avrebbero consentito di scaricare la merce perchè la consegna era tassativa ed aggiunse che, poteva essere sbarcato soltanto cadavere.
Venne nuovamente offeso ed oltraggiato, lo chiamarono «carabiniere di Nitti».
Improvvisamente l’ardito, istigato da un tenente, sparò a bruciapelo un colpo di moschetto ed il Burocchi stramazzò sulla tolda della nave in una pozza di sangue. L’ardito si allontanò e più tardi venne tratto in arresto
RIFLESSIONI
Siamo abituati a vedere nell’Arma figure esaltanti come quelle di chi rischia la vita per trarre in salvo uomini donne e bambini nelle alluvioni, terremoti ed incendi, è ormai quotidiano leggere di Carabinieri che partecipano con coraggio e sprezzo del pericolo alla cattura di pericolosi criminali rischiando spesso la vita, è noto a tutti il recente impiego dell’Arma nelle missioni di pace dove, in ambienti ad altissimo rischio, si distingue sempre per professionalità ed instancabile vigilanza tesa a conservare equilibri molto spesso precari.
In tutte queste attività chi opera ha le facoltà psichiche sostenute e stimolate dalla richiesta di aiuto di chi sta per essere sopraffatto, dal dovere di isolare mali sociali, dall’incoraggiamento dei compagni, dalla cultura della pace.
Il nostro carabiniere era solo, solo con se stesso, solo con le scelte di vita che aveva fatto, solo con la sua passione di italiano ed è questa solitudine che da un tono unico al suo comportamento ed esalta il suo coraggio, la sua forza e lo vede primeggiare tra gli eroi di tutti i tempi.
Carabiniere Giovanni Burocchi, la tesi che prende forza é che il tuo destino si sia perfezionato nel momento stesso in cui dentro di te si sono addensati in un groviglio inestricabile due sentimenti, due volontà in contrapposizione tra loro: da una parte il rispetto di una consegna e dall’altra la convinzione che la causa che si contrappone alla consegna é giusta. Ciò fa percepire una sofferenza spirituale, un gemito interiore così forti che risuonano senza limiti di tempo e spazio portatori di un messaggio d’amore puro e sferzante che fa risaltare ancora di più la incapacità degli uomini, i quali, invece di confrontarsi favoriscono o, peggio ancora, alimentano le discordie.
Nonostante le disperate parole «siamo italiani come lei ma la consegna è sacra….» rivolte ad un ufficiale che ti puntava contro minaccioso un’arma, pronunciate con molta compostezza, nel rispetto del grado, ma in cuor tuo sicuramente gridate non hai potuto entrare in comunione con nessuno ma nel momento in cui il tuo spirito è sublimato avrai sicuramente potuto urlare a squarciagola l’entusiasmo patriottico e l’amore per i fratelli di Fiume in armonia con la tua granitica ed incrollabile fede per i valori che avevi scelto di servire.
É di fronte alla contrapposizione terrena di questi valori che si configura l’atto eroico ed emerge in tutta la sua possenza l’animo del vero carabiniere. È in questo scontro violento di sentimenti che si realizza e prende corpo l’essenza vera dell’essere uomo e cioé quella di restituire senza riserve il dono della vita che ci é stato fatto per un valore che é al di sopra della vita stessa. fedeltà; questa parola, ben nota a tutti ed in particolare, nei suoi significati più profondi, ai Carabinieri che ne hanno fatto un modello di vita, necessita oggi di una riaffermazione e Giovanni ce la suggerisce attraverso un gesto di grande coraggio e d’amore verso l’Arma e verso tutti gli uomini Alle soglie del duemila, tutto sembra ruotare inesorabilmente intorno all’egoismo; la grandezza di un uomo é spesso misurata in termini di quantità piuttosto che di qualità, viene esaltata la capacità di mediazione “attraverso ogni mezzo”, compreso quello della rinuncia a valori di vita che appaiono a molti sbiaditi. È quindi lecito pensare che chiunque oggi al suo posto avrebbe rinunciato alla “fedeltà” così come hanno fatto, in quella squallida giornata autunnale, tutti i suoi compagni di cordata.
Queste riflessioni provocano un terribile quanto inconfessabile desiderio di condanna del gesto. Ma quali sono i motivi di questa insana riflessione e qual è la ragione di questo desiderio che porterebbe inevitabilmente alla convinzione che quel gesto fosse sbagliato?
Se ci si sforza di immergersi nel regno degli eroi, si può percepire che questo irriverente pensiero deriva dal fatto che non tutti sono eroi e che pochi sono capaci di avere la fede che ha avuto Giovanni Burocchi.