La “Rivista dei Carabinieri Reali”

Fucina di proposte e di idee

 

Roma, 11 marzo – Nell’articolo “Il servizio dell’Arma nei grandi centri urbani”, apparso sulla ‘Rivista dei Carabinieri Reali’ (anno 4 n. 6, pagg 232-238) del nov. – dic.1937, constatiamo una vivacità di idee, oggi inimmaginabili per le nostre Riviste istituzionali, di cui è stato autore il Tenente Colonnello Dino Tabellini.

In premessa, il Direttore del periodico, T. Col. Casimiro Delfini (diverrà anch’egli come Tabellini Capo di Stato Maggiore del Comando Generale) così scriveva: “Accogliamo di buon grado questo lavoro che prospetta un piano di riforma per una più razionale organizzazione dei Comandi dell’Arma nei grandi centri urbani e facciamo voti perché i nostri collaboratori …vogliano concorrere sempre più attivamente allo studio di questioni e di problemi tecnici del nostro istituto che comportino soluzioni sempre più adeguate alle crescenti esigenze odierne”.

Tabellini si presenta con affermazioni del tipo “Tutti noi, Ufficiali dell’Arma, sappiamo in che consiste il servizio nei grandi centri urbani … (dove) l’Arma è suddivisa ancora in tante Stazioni dislocate un po’ dappertutto. Di massima si segue per la loro dislocazione la circoscrizione sezionale della P.S. Un duplicato dunque o quasi. Ognuna di queste Stazioni provvede a tutti gli incombenti del servizio: dalla polizia giudiziaria alle informazioni, dall’ordine pubblico alla vigilanza fissa di determinate località … la dispersione degli uomini è sensibilissima: ogni Stazione ha il suo piantone, il militare di spesa, quello di posta, spesso anche il telefonista e il dattilografo e così via; l’accasermamento è molto dispendioso e sovente anche irrazionale.”

Quindi la proposta: ogni città di una certa estensione potrebbe essere suddivisa in due, tre o quattro settori ben definiti, con a capo un Comando di Compagnia, previa: soppressione delle attuali Tenenze e Stazioni; concentramento di tutto il personale in unica caserma; assegnazione a ciascuna Compagnia dei due o tre subalterni provenienti dalle soppresse Tenenze; riorganizzazione dei sottufficiali e truppa in funzione di congrue finalità funzionali. Porre infine le predette Compagnie alle dipendenze di un Comando di Gruppo, organo dirigente e coordinatore di tutto il servizio, suddividendo nettamente il territorio interno da quello esterno, a partire dalla fascia suburbana da affidarsi a un secondo Gruppo (esterno)”.

La proposta è a dir poco sorprendente, sia per l’organo su cui venne pubblicata, sia per il coraggio delle idee avanzate, e si chiude con un “Speriamo che la tenacia, la genialità e la competenza di chi vive la nostra stessa passione e di chi è convinto della nostra fede, possano trionfare di tutti gli ostacoli che, per inevitabile e quasi fatale legge di natura, si oppongono sempre ad ogni innovazione”.

In pieno condivido il pensiero dell’autore, che ha una visione ultramoderna del tema, in verità mai attuato, salvo una sperimentazione della stessa tipologia a metà anni settanta nella Legione Roma condotto dalla Compagnia Trionfale (per decisione del grande CSM Generale Arnaldo Ferrara). Certo, la prevenzione allora come oggi è compito primario delle Forze di Polizia, da esercitarsi attraverso una presenza visibile e costante, supportata da attento esame sull’adeguatezza della dislocazione delle forze. Quel che andrebbe tempestivamente adottato, per contenere le spese e reperire risorse umane a costo zero, è solo una centrale unica di spesa per le varie Polizie, con un sistema che: a) abolisca modelli di dirigenza ridondanti ed orientati a privilegiare inveterate abitudini burocratiche a danno dei compiti operativi; b) adegui gli organici abnormi, decisi in tempi in cui l’informatizzazione era lontana a venire, con strutture arcaiche che non di rado raggiungono sei livelli di comando gerarchici; c) riveda la dislocazione dei presidi di Polizia/Carabinieri sul territorio, ferma agli anni ’50. Quel che dovrebbe in primis impegnare la Politica è l’aumento di gravissimi reati che provoca paura e allarme.

Per il sovraffollamento delle carceri non si è ritenuto di adeguare quelle esistenti o di costruirne di nuove; né si è pensato di stipulare convenzioni perché gli stranieri condannati potessero scontare la pena nei paesi di provenienza.

La soluzione è stata sempre di altro tipo, cioè depenalizzazioni e sconti, arrivando con gli ultimi provvedimenti “svuota carceri” alla quasi certezza dell’impunità. A queste riflessioni bisogna aggiungere quanto consegue dalla gravissima situazione del terrorismo globale che non permette nel modo più assoluto incertezze e incompetenze da parte dell’Autorità politica nella gestione dell’ Intelligence e delle Forze di Polizia.

L’ovvio auspicio è che finalmente trionfino le previste salutari riforme.

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