Roma, 02 luglio 2022 – Nel centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, le pubblicazioni che lo riguardano si sono moltiplicate. Tra tutte spicca il bellissimo ricordo di Dacia Maraini, “Caro Pier Paolo”(Neri Pozza, 2022), che gli fu amica intima nella seconda parte della sua vita.
Un dialogo delicato in cui tutto è presente e vivo.
“Caro Pier Paolo” ha 37 lettere che Dacia Maraini pensa di scrivere all’amico Pasolini come se fosse ancora vivo. Nelle lettere Maraini ripercorre alcuni episodi della loro amicizia, che si svolsero anche in viaggi in Africa durante le feste di Natale. Con loro erano presenti Alberto Moravia e Maria Callas, quest’ultima si diceva innamorata di Pasolini. Compagno di viaggi, confidente con cui si discutevano idee, progetti di lavoro ma anche temi etici (l’aborto, la sessualità, la politica). Il dialogo con Pier Paolo consente alla Maraini di riprendere un filo interrotto improvvisamente dalla morte violenta… «La gente aveva di te una idea diversa. I più ti vedevano come un uomo rancoroso, rigido, feroce nelle tue indignazioni e nelle tue ire ideologiche. E in parte era vero. […] Eppure nel rapporto con gli amici, nella tua vita privata, eri l’uomo più paziente, docile, mansueto che io abbia mai conosciuto».
Sullo sfondo del legame che univa Pasolini a Maraini, c’è la Roma degli artisti che si riunivano nelle trattorie e nei bar per stare insieme. Un mondo culturale che vedeva come protagonisti Alberto Moravia, Elsa Morante, Bertolucci, Fellini e tanti altri. «In effetti, a volte era difficile tirarti fuori le parole. Eri per carattere timido, silenzioso e chiuso. Anche se poi, quando meno te lo aspettavi, veniva fuori il ragionatore fiducioso, il confidente allegro.»
Iniziamo a leggere parti del libro.
– da pag.23. “”Caro Pier Paolo. Ma tu veramente presagivi di dover morire giovane? Intuivi che saresti stato ucciso? Sapevi di rischiare il tipo di morte che ti hanno fatto patire? Qualcuno ha sostenuto che non solo sapevi, ma in qualche modo hai cercato e voluto morire ucciso. A parte la volgarità e il pensiero nascosto te la sei voluta, si tratta di una spiegazione superficiale. I rapporti di ogni persona con la morte sono complessi e profondi e misteriosi. Una cosa è intuire, conoscendo la propria capacità di rischiare e sfidare il destino, un futuro pericoloso. Un’altra cosa è volere la propria morte. Ricordo che una volta, credo fossimo in Congo, davanti a un paesaggio grandioso, arcaico, dalle profondità azzurrine, mi hai detto che avevi capito cosa fosse la immortalità… Non vorrei parlarti ancora della tua morte, Pierpaolo, che pure è parte dalla tua vita, ma il fatto che sia ancora avvolta nel mistero mi spinge a farlo. Mi chiedo se tu abbia capito chi ti stava uccidendo. Avevi davanti il ragazzo Pelosi, il Pino dai folti capelli, detto la Rana. Lo avevi invitato al biondo Tevere, dopo cena eravate andati insieme a Ostia, ma da quel momento le cose si confondono. Le parole di Pino si fermano interdette di fronte al tuo silenzio mortale. Pino ha detto che volevi violentarlo per questo si è rivoltato, ha preso un bastone trovato per terra e ha cominciato a picchiarti. Ma quando ti hanno ritrovato, Pier Paolo, eri ricoperto di sangue, una fontana di sangue e ferite. Come era possibile che il ragazzo Pino non portasse su di sé una goccia di sangue? Eppure, non ti aveva ucciso con un colpo di fucile, ma era stata una lotta che dimostrava quanto ti eri difeso. Con il tuo corpo atletico da sportivo che gioca continuamente al pallone, avevi certamente inferto qualche pugno oltre a difenderti e cercare di evitare quella furia solitaria. E qui si apre il buio delle menzogne. Tanto Pino non era solo, c’erano con lui altre persone, con cui si era accordato per chiuderti in una trappola mortale, o era stato raggiunto e sopraffatto da individui il cui nome non hai mai rivelato? La logica ci dice che probabilmente vi era stato un accordo: tu sei minorenne, ti daranno solo qualche anno, prenditi questa responsabilità e noi ti paghiamo profumatamente. Oppure c’è stato un ricatto: se ti prendi la colpa, non ti facciamo fuori. Non si sa. Ma noi amici tuoi abbiamo subito capito che Pino non era solo. C’erano tracce visibili di altre persone nel terreno dove ti hanno ucciso: la traccia di una mano sporca di sangue sul tetto della tua automobile, che non apparteneva né a te né al tuo presunto assassino e una impronta di scarpe sulla sabbia, purtroppo confusa dal fatto che nessuno ha chiuso lo spazio e la gente è intervenuta finendo per confondere le cose. C’è soprattutto il fatto che dopo trent’anni Pelosi ha confessato di non essere stato lui a compiere quell’orribile gesto. Ma allora chi? Ce lo siamo chiesti, ma non abbiamo avuto risposta, tutto è stata una confessione a metà. Il presunto assassino ha ammesso quello che noi abbiamo sempre pensato: che non fosse solo, e che non sia stato lui a colpirti a morte. Ma perché, visto che dopo tanti anni ha trovato il coraggio o la libertà di sconfessare le sue parole iniziali, perché non ha detto tutta la verità, ma solo una parte? Ci sono state infinite ipotesi, tu lo sai, alcune fantascientifiche, ma rimane il fatto che nessuno sia voluto andare veramente a fondo nei dettagli del delitto di chi e di chi l’ha deciso. Molti dicono che sono fantasie. Che la colpevolezza di Pelosi è stata sancita da tre gradi di giudizio. Ma non è strano che un ragazzo si dichiari colpevole, accetti di essere condannato, si faccia vari anni di carcere e solo dopo trent’anni decida di confessare che non è stato lui ad ammazzarti? Che cosa ne ricava a contraddirsi così palesemente? Non era un pentito di mafia, non stava accusando nessuno con il pericolo di essere ammazzato a sua volta, insomma non aveva niente da guadagnare. Non sono tutte ragioni logiche per credere a quello che ha detto, prima di morire giovane, mantenendo un segreto annoso? Di chi aveva paura Pino detto la Rana? Chi lo aveva minacciato o ricattato? E quanto ci può essere di vero nella teoria che tu sapessi qualcosa di troppo sul mistero della morte di Enrico Mattei di cui ti eri occupato nello scrivere il tuo libro Petrolio? Perché un libro che parla soprattutto di sessualità, di morte, di madri amate al di là del lecito, l’hai intitolato Petrolio?… Il ricordo della notizia della tua morte mi assale doloroso come allora. Da due giorni ero a Rimini per un convegno femminista, te ne avevo parlato e tu avevi storto la bocca, non ti piacevano le associazioni, gruppi di giovani che si battevano per idiritti civili. Il tuo individualismo anarchico si ribellava di fronte a quelle che tu chiamavi ammucchiate inutili… A me non faceva paura la povertà, sono stata indigente per tanti anni e so adeguarmi alle difficoltà. Ma eravamo tutti più affamati in quegli anni e non ci pesava dividere i pasti, le camere, i biglietti del treno. Anche tu, Pierpaolo, sapevi bene cosa era la povertà. La racconti nelle tue poesie, nei tuoi diari. Quando sei arrivato a Roma negli anni 50 hai preso casa al ghetto, poi a Ponte Mammolo, e insegnavi a Ciampino. Quando non avevi ancora la macchina per spostarti giravi con la bicicletta o in autobus, sapevi cosa vuol dire dormire in un lettuccio dalle coperte sfilacciate, aspettare ore e ore l’autobus che non arriva, spingersi nella ressa di una folla frettolosa.””
– da pag.30. “”Era il due di novembre, la mattina stavamo discutendo sul senso della maternità… E proprio mentre eravamo nel pieno della discussione, qualcuno mi ha fatto cenno di andare nell’androne dove c’era un telefono perché qualcuno mi stava cercando urgentemente. Ho lasciato la discussione che mi interessava molto, dando dello scocciatore a chi voleva interrompere quel bellissimo scambio di idee. Ho afferrato il telefono e ho sentito una voce maschile che diceva: “Torna subito a Roma, Pier Paolo è stato ucciso”. La cornetta mi è caduta dalla mano. Non avevo neanche capito chi fosse al telefono. Ho pensato ad Alberto ma se fosse stato lui mi avrebbe detto qualche altra cosa. Eppure mi sembrava la sua voce. E se invece fosse stato uno stupido scherzo? Come e quando eri morto, il mio dolce Pierpaolo? Tremavo per l’angoscia e non sapevo che fare. La notizia era intanto volata, attraverso la radio, le amiche mi hanno convinta che era vero e mi hanno aiutato a riempire la valigia e prendere un treno al volo. Quando sono arrivata tu eri già composto nella bara ed esposto nella Casa della Cultura dietro piazza Argentina. Non mi veniva neanche una lacrima tanto avevo un bisogno febbrile di capire come eri morto, cosa era successo. Ma in quel momento nessuno aveva voglia di parlare. Così mi aggiravo nella camera ardente cercando testimonianze che non trovavo. Questo ricordo si accavalla con quello del tuo funerale, affollatissimo, a Campo de’ Fiori – segno che nonostante i tanti insulti e le tante prese di posizione eri amato – e rammento la voce addolorata e indignata di Alberto che gridava: “è morto un grande poeta. Di poeti come Pasolini ne nasce uno ogni secolo”. La sua voce accorata ha commosso tutti. E credo che in quel momento drammatico anche i tuoi nemici, i poeti del Gruppo 63 che ti avevano attaccato tante volte, fossero sgomenti.””
– da pag.67. “”Caro Pier Paolo, tu leggevi poco i romanzi. Preferivi il teatro e la poesia e per questo ti sono stata grata quando hai messo il naso nel mio romanzo: Memoria di una ladra. L’ hai giudicato un “romanzo picaresco”. Ed eri preso dalla preparazione delle avventure rocambolesche della trilogia della vita, per cui mi hai chiesto di collaborare alla sceneggiatura delle Mille e una notte. Come sempre con te, le cose avvenivano rapidamente. Mi hai proposto di lavorare insieme, ma avevi fretta. Mi hai detto che dovevamo vivere nella stessa casa, perché avremmo lavorato dalla mattina alla sera, e “forse anche di notte”, hai aggiunto scherzoso. Credevo fosse una battuta, invece è stato proprio così. Abbiamo affittato una casa, villa Antonelli, sul mare di Sabaudia. Tu dormivi in una stanza che dava sul mare, io in una che dava su un giardinetto sabbioso dove sbucavano come per miracolo dei meravigliosi fiori rosa dalle foglie carnose. Ci trovavamo la mattina fra le 7 e le 8, ci organizzavamo per la giornata. Poi ciascuno tornava nella propria stanza a scrivere… Il mare stava a pochi passi, ricordi, ma noi non siamo mai scesi in spiaggia. Siamo stati chiusi in quella villa protesa sulle acque, lavorando come due formiche laboriose, dalla mattina alla sera per ben 15 giorni. Il tempo di terminare una sceneggiatura fiabesca che doveva mostrare, come in un sogno, la perduta felicità di un paradiso contadino, allegro, ingenuo, esuberante, astuto, malizioso e genuino… Una notte, ti ricordi, mi hai svegliato alle due perché ti era venuta un’idea a proposito di ZUMURRUD e io ti sono stata a sentire mezza intontita dal sonno, ma disponibile come sempre nei riguardi della tua dolcissima e ferrea disciplina creativa. Ti ricordi quanto abbiamo lavorato a quella sceneggiatura in cui ancora raccontavi la gioia di vivere? Mi viene difficile capire come tu sia potuto passare nel giro di un anno dalla esaltazione del piacere di stare al mondo alla contemplazione morbosa e cupa della morte. Quella che hai raccontato con dolore tenebroso e senso apocalittico in Salò. Sembravi un altro. Ma pure eri tu.””
– da pag.187. “Caro Pier Paolo, improvvisamente mi è venuta in mente una giornata fiammante in cui ci siamo trovati insieme ma questa volta non eravamo in Africa bensì a Roma. Fervevano le proteste degli universitari. Tu eri in bilico sul filo del rasoio della tua inquieta maestria. La tua mente mandava scintille: eri dalla parte della rivolta ma nello stesso tempo ti sentivi di esaltare e proteggere quella parte della istituzione poliziesca che in quel momento se la prendeva con gli studenti in subbuglio. Da una parte la odiata borghesia coi suoi figli agiati e privilegiati e dall’altra l’amatissimo sottoproletariato che identificavi con i poliziotti perché come hai scritto nella poesia uscita sull’Espresso che ha suscitato tante polemiche: “Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di essere stati bambini e ragazzi, le preziose 1000 lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità”. Guardavi quei corpi che si facevano la guerra e ti intenerivi, ma la tua simpatia non andava verso quei ragazzi simili a te che avevano studiato e sognavano un mondo migliore, ma verso quegli altri. Ma avevi ragione nel tuo modo provocatorio: gli studenti erano arroganti e sicuri come angeli giustizieri, mentre i poliziotti, molto più modestamente, difendevano la loro paga e il loro stato di corpo sociale dipendente e malpagato. Ma è stato come gettare un sasso in mezzo alla mischia. Te ne hanno dette di tutti i colori. Io ero perplessa, lo sai, e ti avevo avvertito che ti mettevi dalla parte del torto. È difficile dividere il capello in quattro nei momenti di scontro. Ma non c’è dubbio che avevi ragione sulla bella tua osservazione dal sapore sociologico. Sono i poveri a subire i ricatti sociali, a doversi integrare in istituzioni collegiali e repressive: la Polizia, l’Esercito. Mentre gli studenti hanno avuto il privilegio di scegliere il proprio futuro e studiare per diventare poi classe dirigente… Come quella volta che hai scritto sul Corriere della Sera, con un coraggio leonino: “Io so appunto ma non ho le prove”. E hai insistito: “Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei mesi del 1974. Io so i nomi del vertice che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpe, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti”. Era come buttarsi nudo in mezzo ad una folla armata. E difatti con quelle parole hai suscitato odio e rancori che hanno continuato a crescere e maturare. ““Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. Che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica laddove sembra segnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero””. Concludi dicendo che la conoscenza dei fatti fa parte del tuo mestiere. E anche se non avevi le prove, dovevi denunciare quello che l’istinto e la capacità profetica del poeta ti sapevano suggerire.””
Sin qui parti del libro.
Ora integrazioni e valutazioni. Pier Paolo Pasolini, nato il 5 marzo del 1922, è stato innanzi tutto un grande protagonista della comunicazione. In occasione dei 100 anni dalla nascita, la Rai ha previsto una programmazione che abbraccia tutte le sfaccettature di un indimenticabile uomo di cultura. Incurante dello scandalo che suscitava in una società italiana profondamente retriva, ha sperimentato tutti i linguaggi. Fulvio Abbate, con le armi di una scrittura perfino poetica, restituisce la vita, le ragioni, l’eredità, i luoghi, la sostanza umana, familiare e storica, affidandosi anche alle parole di chi ne ha condiviso la breve vita, fra questi: Laura Betti, Carlo Lizzani, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci, Franco Citti, Dario Bellezza, Marco Pannella, Adele Cambria, Mario Schifano. Attraverso poesia, cinema, riflessioni, corsivi, le invettive affidate a giornali, periodici, convegni e le apparizioni televisive, Pasolini ha passato al setaccio tutti gli aspetti più contraddittori della realtà del suo tempo.
Chi volesse leggere il mio articolo sul libro di Fulvio Abate: “Quando c’era Pasolini” ed. Baldini-Castoldi su Attualita’.it (Direttore Salvatore Veltri) può digitare qui (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/fulvio-abate-quando-cera-pasolini-54005/)
Al riguardo, sul caso Pasolini, come già riferito, la grande giornalista d’inchiesta Simona Zecchi ha fatto un eccezionale lavoro di ricerca. Due i libri: “Pasolini, massacro di un poeta” (Ponte alle Grazie editore, settembre 2015), da leggere con interesse, nel quale sono state pubblicate foto e altri documenti inediti (https://www.attualita.it/notizie/cronaca/cronaca-roma/pasolini-3-7438/ )
e “L’Inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini” (Ponte alle Graziedel 2020)
(https://www.attualita.it/wp-admin/post.php?post=48201&action=edit&classic-editor).
In queste pagine, come si può approfondire nei miei articoli, l’autrice ci riporta nel clima della strategia della tensione.“ Pier Paolo Pasolini muore ammazzato in quel modo da giornalista, non da scrittore scomodo”.
Sugli autori del delitto afferma: “Tre di loro sono ancora vivi”. Una ricerca di anni, raffrontando le carte del primo processo e quelle delle quattro nuove indagini. “I Magistrati non hanno voluto ascoltare. Avevano già deciso di chiudere le indagini. Riaperte nel 2010 e chiuse dopo cinque anni, gli inquirenti hanno fatto indagini per certi aspetti approfondite. Ma non si sono volute vedere tante cose. Rispetto i Magistrati, ma ci sono aspetti che la Magistratura non vuole, non riesce o ha timore di affrontare. Se si vanno a toccare certi tasselli, cadono giù tante condanne”.
Pier Paolo Pasolini è stato uno dei più lucidi, importanti e influenti intellettuali dagli anni cinquanta. Certamente la presenza di cui oggi si sente la mancanza. Certamente controcorrente, le sue opere ancora oggi emergono per la conoscenza della società umana. Ben convinto dell’importanza dell’intellettuale e del fatto che la cultura può influire sulla realtà umana si è imposto per la sua eccezionale critica nei riguardi della società borghese e del consumismo. Pur essendo di orientamento marxista, è sempre stato libero e indipendente.
Un vero faro di luce!!!