Roma, 26 gennaio 2019 – Domenica 27 gennaio, il COMITATO NIKOLAJEWKA “..per non dimenticare..”, in Roma, nel Giardino dei Caduti sul Fronte russo, in via Cassia 737, tiene la commemorazione del 76° anniversario della epica battaglia sul Fronte russo.
Tra gli organizzatori, lo storico Veterano Bersagliere Massimo Flumeri…La Messa al campo sarà celebrata da Mons. Giacomino Feminò, (Cappellano della Fondazione “Policlinico Gemelli” Presidio Columbus) già Segretario dell’ indimenticato Arcivescovo Castrense, Monsignor Arrigo Pintonello (che celebrò a metà anni ’60 il matrimonio delle mie due Sorelle nda). Guarda caso, proprio in questi giorni mi è pervenuto da un caro Amico, il Luogotenente dei CC. Mario Benedetto Tabacchi, autentico “Carabiniere della Montagna”, della nativa Carnia, ma operante a Padova, l’ articolo del giornale locale: “”Lutto nel Gruppo Alpini di Forni di Sopra: il Maggiore Fioravante Bucco è “andato avanti”. Con i suoi 97 anni compiuti appena due giorni prima di lasciarci, Fioravante Bucco era l’abitante più anziano di Forni di Sopra nelle Dolomiti Friulane. Alle esequie svoltesi a Udine presso l’Oratorio della Purità erano presenti varie rappresentanze e associazioni d’Arma che non citiamo per non dimenticare nessuno, ma alle quali va il ringraziamento da parte del gruppo Fornese, in particolare alla Sezione Carnica, partecipante con il direttivo, e vari gruppi accompagnati dalle rispettive insegne””.
Torniamo ai tragici giorni della campagna di Russia..“Ho ancora nel naso l’ odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia, per la prima volta, ci scaraventò addosso le sue settantadue bombarde…”
Così Mario Rigoni Stern (1921-2008) iniziava “IL SERGENTE NELLA NEVE” (dove le sue esperienze sono confluite in un romanzo che è entrato di diritto nella più grande letteratura italiana) che vede come protagonista il narratore, Sergente Maggiore dei mitraglieri nel Battaglione del Vestone, all’interno della Divisione Tridentina, la prima sezione dell’ Armata Italiana in Russia (ARMIR) a raggiungere il fronte nell’ estate del 1942. Tanti e tanti nel tempo i racconti scritti da Reduci che hanno voluto onorare quanti non sono tornati.. i loro scritti sono più vivi che mai! Ed è così per il Maggiore degli Alpini Fioravante Bucco.. Molto avvincente la lettura del suo libretto ” RUSSIA 1943: LA RITIRATA”, pervenutomi dal citato Luogotenente Mario Tabacchi, che racconta che venne assegnato al comando del 1° Plotone della 62^ Compagnia del Btg. Alpini “Tolmezzo” della Divisione Alpina Julia – 8° Reggimento, partendo per la Russia nell’estate del 1942 assieme alle tre Divisioni consorelle: Julia, Tridentina e Cuneense. Queste alcune parti del libro.
“Ha inizio la grande tragedia..Non vorrei peccare di presunzione nel descrivere quei lontani eventi, dato che della campagna di Russia ci sono molti scritti e testimonianze. La memoria di quei tristi momenti non mi si è affievolita anche se a distanza di oltre cinquant’anni. Le immagini, le visioni, le tragedie tormentano ancora la memoria per cui vorrei tentare di scaricare il cervello con queste semplici righe. Spero che non mi assalga l’auto-incensamento per cui cercherò di esprimermi ricordando semplicemente gli eventi come mi scorrono nella memoria. Il giorno sedici gennaio la 12^ Compagnia del “Tolmezzo” schierata a ridosso di Nowo Kalitwa riceveva l’ordine di arretrare di qualche chilometro per schierarsi su terreno nudo….Dal comando di Compagnia ricevetti l’ordine di restare, con il plotone, di retroguardia e di procedere a sera inoltrata attraverso la palude del Kalitwa verso Losina sede della nostra sussistenza…In piena notte attraverso con il plotone l’affluente del Don completamente gelato ed anche se appesantiti “come muli” da zaini ed armamento proseguo di buona lena verso Losina….Nel frattempo arriva un plotone della 72^ del “Tolmezzo” comandato dal Tenente Grandi anche lui di retroguardia…..Terzo giorno, senza mangiare e, soprattutto, senza dormire: mi trascino verso Annowka avendo la sensazione del dramma che stava per cominciare…..La strada era segnata dalle tracce dei reparti che mi avevano preceduto ed anche, di quando in quando, da cadaveri di Alpini che adagiatisi per sfinimento non si erano più rialzati…trenta gradi e oltre sotto zero…Ero ossessionato di dover fare una simile fine perché le forze andavano scemando…La volontà era di andare avanti…Tanta però è stata la solidarietà alpina…Due robuste braccia mi sollevarono di peso e mi adagiarono sul carro dove immediatamente mi immersi in un sonno profondo.
A notte inoltrata le stesse voci mi svegliarono:”Tenente siamo ad Annowka..La “Julia”, sia pure ridotta nella sua forza di combattimento, si presentava ben decisa a tentare lo sfondamento del caposaldo russo… Il 20 gennaio, all’alba, il Battaglione “Tolmezzo” prende posizione superando di qualche chilometro l’agglomerato di isbe più volte citato. L’intervento dei carri russi rende impossibile la manovra del “Tolmezzo” che però riesce a contenere l’impeto delle truppe appiedate che seguivano. Gli Alpini, sublimi per coraggio, nulla potevano contro le corazze dei carri e poco giovarono anche i pezzi di artiglieria in appoggio…..Dall’aiutante del Reggimento, Capitano Magnani, ricevetti l’ordine di contenere con gli Alpini della 12^ i russi…Verso sera, quando gli attacchi russi stavano diminuendo, un colpo di artiglieria fece il vuoto tra gli Apini e una scheggia mi trapassò la mano sinistra. Sanguinante ricorsi al pacchetto di medicazione e con il resto del mio plotone mi aggregai agli ultimi reparti che stavano per abbandonare il villaggio…Colpito da infezione, persi conoscenza e mi ritrovai inerme sulla neve.
Non si sia mai pensato e detto che un Ufficiale venga abbandonato dai suoi Alpini e non so come abbiano fatto i miei a reperire una slitta, attaccarvi un mulo e proseguire così la marcia di ripiegamento. In piena notte si raggiunse un fienile dove gli Alpini mi infilarono in un mucchio di fieno. La cura del fieno sortì il suo effetto e la mattina mi trovai sfebbrato e completamente rinfrancato. Assunsi il comando del mio plotone..Pertanto, i superstiti della 12^ e della 6^ formarono un unico reparto….All’alba del 22 un attacco di carri russi scompaginò la colonna, i carri infierirono sulle slitte dei feriti, sparando su tutto ciò che potesse ostacolare la loro marcia…Passata “la buriana” intravidi la figura del Capitano Bricco….(quando) si avvicina un Ufficiale superiore notificando che era stato dato ai reparti l’ordine di resa; a tale intimazione Bricco stizzito rispose:”…sappia che io mi arrendo solo quando un russo mi metterà una mano sulla spalla…” Questa frase denota che anche nel pieno della disfatta il morale degli Alpini non cede….E (così) prosegue il cammino della salvezza e della speranza…Si giunge così nell’infernale bolgia di Nikolajewka..
Con questa (nuova) colonna raggiungemmo tutti i superstiti in ripiegamento a ridosso della “Tridentina”….L’artiglieria russa aveva buon gioco sparando su quella massa e creando notevoli vuoti. Era il 26 gennaio: restare in quella posizione significava la morte certa per assideramento. Nel tardo pomeriggio i reparti della “Tridentina”, ancora bene organizzati, con l’appoggio degli ultimi semoventi tedeschi irruppero nel terrapieno ed ebbero ragione della nutrita resistenza russa ed occuparono saldamente il villaggio…..La mattina, consci di aver superato l’ultimo anello che chiudeva la sacca, si riprese il cammino verso l’Italia e verso la salvezza…”
Fin qui il racconto di Fioravante Bucco.
Questa invece una nota storica. Giunto l’ordine di deviare in direzione di Nikolajevka, il 26 gennaio 1943 si riversò alle porte della città un’enorme massa di sbandati, ma solo la “Tridentina”, l’unica Divisione che aveva ricevuto via radio informazioni sulle posizioni russe, riuscì ad aprirsi un varco. Quanto restava delle Divisioni “Vicenza”, “Julia” e “Cuneense”, a cui gli ordini non erano mai arrivati, finì circondato dalla cavalleria cosacca. Le cifre parlano chiaro: si calcola che durante la campagna di Russia i morti siano stati circa 85 mila e i feriti o congelati 27 mila. Ma a chi attribuire la responsabilità della disfatta? Fin da subito i Tedeschi addossarono la colpa agli italiani per imperizia e lassismo.
“Gli studi italiani sulla campagna di Russia sono sempre stati di tipo memorialistico: si è sopperito alla scarsità di documentazione disponibile con la testimonianza dei reduci, per lo più Alpini sopravvissuti alla ritirata”, precisa autorevolmente lo storico Giorgio Scotoni (Docente di Storia russa nelle Università di Mosca e di Voronezh’), a seguito dell’apertura in tempi recenti degli archivi russi. “Si è così consolidata in Italia una visione asimmetrica, che ha lasciato in secondo piano il tracollo delle fanterie dell’Asse sotto l’offensiva russa del dicembre 1942, vero punto di svolta della campagna, mentre ha valorizzato l’annientamento del Corpo d’Armata Alpino nel gennaio 1943, che ne ha rappresentato solo il tragico epilogo… Emerge anche un giudizio positivo sui Generali e sulla difesa disperata delle fanterie dell’Armir, tanto coraggiose da costringere i comandi sovietici ad anticipare l’ingresso delle truppe corazzate in battaglia. Queste valutazioni, se non cambiano il carattere di débacle complessiva, ribaltano le tradizionali accuse mosse dagli allora alleati tedeschi e l’immagine critica tratteggiata dai comandanti della Wehrmacht nelle loro memorie”, conclude Scotoni.
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