Roma, 23.01.2022 – A lanciare l’allarme il Procuratore Capo di Catanzaro, Nicola Gratteri e il giornalista Antonio Nicaso attraverso il loro recente libro (nov.2021), edito da Mondadori, “Complici e colpevoli”.
Un viaggio nel “profondo Nord”, attraverso una inquietante inchiesta sull’evoluzione della ‘ndrangheta nel Nord Italia.
Un percorso che inizia tra gli anni Sessanta e Settanta.
Nei collegamenti con la situazione attuale evidenziano gli interessi della ‘ndrangheta in questo ultimo contesto economico: “L’attenzione si sposta ora sul Piano nazionale di ripresa e resilienza e sulla pioggia di miliardi che sono già arrivati nel nostro Paese per l’attuale crisi economica legata alla pandemia”.
Secondo le stime di Europol, si riesce a confiscare meno dell’1 per cento dei beni illegalmente conseguiti, stimati attorno ai 110 miliardi di euro.
Le aree prese in esame, con un capitolo dedicato ad ognuna di queste regioni, sono quelle di Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, ma lo sguardo è già rivolto anche a Toscana e Friuli.
In questo sistema, gli ‘ndranghetisti “vogliono farla da padroni, legittimati da una platea di politici, imprenditori e professionisti che agiscono secondo logiche di convenienza. La linea d’ombra tra politica e corruzione perde sempre più spessore, quasi a diventare invisibile, impercettibile”.
Quello che viene sottolineato con forza, “le mafie sono diventate agenzie di servizi. Niente sangue, niente allarme. I boss si sono fatti furbi. E lo ammettono senza tanti giri di parole”.
Iniziamo a leggere parti del libro, soffermandoci sul Veneto, dove ho prestato servizio per tre anni sia come Comandante Nazionale dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente (2003 /2006) sia per altri tre quale Comandante di Regione delle sette province (2006/09).
– da pag. 116. “”Se la ‘ndrangheta va dove ci sono da gestire denaro e potere, non poteva certo trascurare il Veneto, terra appetibile che, assieme a Emilia-Romagna e Lombardia, rappresenta il 41 per cento del Pil italiano, oltre a disporre di una rete di infrastrutture che favoriscono lo sviluppo imprenditoriale, come il porto di Venezia-Marghera, l’aeroporto Marco Polo e quelli di Padova e Verona. Anche in questa regione, le strategie adottate sono simili a quelle che hanno portato i clan calabresi a radicarsi in altri contesti completamente diversi da quelli d’origine, grazie soprattutto alla capacità di “assediare con discrezione imprese e pubbliche amministrazioni, conquistando cantieri e appoggi politici”. Tra i settori a rischio c’è quello ambientale, essendo il veneto tra le destinazioni principali di rifiuti solidi urbani che dal Centro-Sud giungono al Nord per il compostaggio e il successivo smaltimento. I segnali d’allarme non mancano: dal 2013 al 2018 ci sono stati 27 incendi ai danni di aziende del settore in una regione che, con il 68 per cento di raccolta differenziata nel 2014, almeno sulla carta, è tra quelle più virtuose nella gestione dei rifiuti in Italia. Il Veneto, però, è anche la seconda regione per rifiuti speciali prodotti, con circa 16,4 milioni di tonnellate, e la seconda per rifiuti esportati, circa 461.000 tonnellate solo nel 2018, soprattutto CSS (combustibile solido secondario) e rifiuti da costruzione e demolizione. È questo un settore su cui le mafie hanno messo gli occhi da tempo, in particolare la ‘ndrangheta, che nel 2021 ha dimostrato ancora una volta di trarre parte dei suoi profitti proprio dallo smaltimento illegale dei rifiuti, spesso in combutta con imprenditori collusi. Nell’ultimo rapporto sulle ecomafie, in Italia il numero delle denunce dei reati ambientali nel 2019 è quadruplicato rispetto all’anno precedente. Preoccupano anche le continue infiltrazioni mafiose nel settore edilizio. Secondo una ricerca coordinata nel 2019 da Antonio Parbonetti, Docente di economia aziendale all’Università di Padova, il Veneto è la regione con il più alto numero di aziende connesse con la criminalità organizzata, molte delle quali proprio nel settore edilizio, seguita dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna. “Ma pochi ne prendono atto” spiega Parbonetti. “Tutte le volte che vengo invitato a parlare di mafie, la gente pensa che in Veneto ci sia stato soltanto Felice Maniero. Parlare di altro è difficile.” I tempi di Maniero sono ormai lontani. Abbracciano un ventennio in cui questa regione è stata tenuta sotto scacco dal figlio di un bettoliere di Campolongo Maggiore, legato alla banda di Adriano Toninato, conosciuto come “il Giuliano della Val Padana”… Un altro dato interessante riguarda le persone condannate per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso in primo grado di giudizio o successivo: sono complessivamente 1567, il 25 per cento della quali sono state azionisti o amministratori di società di capitali. Nel concludere la sua ricerca, Parbonetti mette in risalto “la grande capacità delle organizzazioni criminali di adattarsi rapidamente ai mutati contesti socio-economici”. “Durante questo momento di grande difficoltà determinato dal coronavirus”, si legge nelle conclusioni della ricerca, “la criminalità organizzata ha affinato gli strumenti per penetrare all’interno delle aziende, trasferendo denaro, per esempio attraverso false fatturazioni, per acquisire aziende in difficoltà.” È una sorta di schema circolare: il traffico di droga genera contante che viene utilizzato per impossessarsi di aziende commerciali; le aziende acquistano prodotti da imprese legate alla criminalità organizzata, per poi rivenderli sul mercato. Si assiste così a una rapida crescita di realtà commerciali alimentate dal flusso di denaro prodotto dal traffico di stupefacenti.””
“”C’è anche in Veneto gente disposta a garantire sostegno elettorale in cambio di appalti e subappalti. Nelle conversazioni intercettate, si parla di affari da concludere a Verona in collaborazione con il Comune e in particolare della “sostituzione di tutte le illuminazioni”, della realizzazione di un centro sportivo in località San Michele e di un asilo nella zona di Santa Lucia. Saltano fuori anche viaggi grotteschi di politici che dalla ricca Valle Padana vanno a raccogliere fondi per la loro campagna elettorale a Crotone, in una delle ragioni più povere d’Italia… Nell’operazione che porta alla scoperta del locale di Verona vengono sequestrati 15 milioni di euro, frutto di un’attività volta al riciclaggio e allo spaccio di droga tramite società fittizie che evadono il fisco e creano provviste di denaro… Nel 2020, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, a richiamare l’attenzione sul “radicamento (mafioso) nel territorio che potrebbe coinvolgere le stesse istituzioni democratiche” è il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia, Giancarlo Buonocore. L’alto Magistrato mette in evidenza l’importanza di “una diffusa consapevolezza del carattere pervasivo della criminalità mafiosa, che va contrastata culturalmente negli atteggiamenti e nelle condotte, demolendo dalle fondamenta il muro di omertà che costituisce il primo baluardo dietro il quale essa prospera”. E, nel concludere il suo intervento, auspica”che i risultati giudiziari tangibili, contribuiscano a far sì che l’intera popolazione veneta – a iniziare dal tessuto imprenditoriale – comprenda la peculiarità di queste manifestazioni delinquenziali, rispetto alle quali la mancata denuncia, lungi da evitare rischi e difficoltà, è foriera della crescita esponenziale di pericoli e danni per le stesse vittime e per l’intero ambiente sociale”. A riavvolgere il nastro della memoria è un rapporto della Dia di Padova… Invano la Dia, nelle sue relazioni semestrali, aveva messo in risalto i segnali di operatività di organizzazioni criminali collegate alla ‘ndrangheta, segnalandone gli insediamenti più significativi in alcuni paesi della provincia di Verona (parte bassa e confine con la Lombardia) e nel basso vicentino, dove propaggini criminali di Cutro, Delianova, Filadelfia e Africo avrebbero agito attraverso ditte del settore edile. La Dia aveva anche tracciato due sostanziali tipologie di soggetti contigui alle cosche operanti in Veneto: liberi professionisti attivi nel riciclaggio di denaro e soggetti funzionali al perfezionamento di consistenti traffici di droga… Ma nella testa di molti – come ha ricordato il professor Parbonetti – c’è ancora solo e soltanto Felicetto Maniero.””
– da pag.137. “”I primi ‘ndranghetisti in Lombardia hanno messo piede a metà degli anni Cinquanta. Ma quella presenza non è andata oltre l’estorsione, la rapina e lo spaccio di droga. Poi sono arrivati i sequestri e, anche in questo caso, non si è tenuto conto della capacità della ‘ndrangheta di setacciare il territorio, potendo già contare su uomini che avevano forti entrature in regioni come il Piemonte e Lombardia. Sono però l’edilizia, gli appalti, i subappalti, la guardiania, il trasporto di materiale inerte, lo sfruttamento della manodopera a garantire il vero radicamento, erroneamente attribuito al soggiorno obbligato. Questa misura, introdotta per legge nel 1965, è stata certamente una scelta infelice, che ha portato decine di mafiosi a ricostruire, in un contesto differente, quei legami di tipo amicale e parentale che, con il trasferimento in regioni del Centro-Nord, avrebbero dovuto recidere del tutto. Il radicamento vero e proprio è arrivato molto dopo, quando il rapporto tra mafiosi e territorio diventa simbiotico, sinergico. Lo sfruttamento della manodopera, le imprese nel settore edilizio messe su da mafiosi e da loro familiari servono a garantire servizi a basso costo. In cambio ottengono subappalti e riconoscimento sociale. Al Nord, molti imprenditori hanno ragionato in termini di convenienza, come racconta Alessandra Dolci, che coordina la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. Dai verbali di interrogatorio di molti imprenditori emergono considerazioni a sfondo utilitaristico. “Meglio averli come amici che come nemici” si legge. “Dopotutto, il lavoro lo fanno bene e a prezzi che sono la metà rispetto a quello praticato da imprese lombarde. ”Eppure, per decenni, si è pensato che il Nord fosse immune dal virus mafioso in virtù del proprio benessere economico e della ricchezza materiale di cui dispone. Oltre a linea gotica, molti hanno pensato di essere diversi, grazie anche a una discutibile rappresentazione delle mafie come prodotto dell’arretratezza e del ritardo economico. C’è voluto molto tempo per capire che le mafie non sono figlie della povertà, quanto piuttosto della logica clientelare, delle trattative, della legittimazione sociale e politica, della mediazione interessata e della mancanza di etica del lavoro e delle professioni. Sono state le mafie in alcuni contesti a contribuire al mancato sviluppo…
Le mafie – come si è ormai accertato – sono molto più di un fenomeno di criminalità organizzata. Mentre le bande criminali si organizzano esclusivamente per commettere una serie di reati, i gruppi mafiosi tendono anche a instaurare legami con la politica, a condizionare il funzionamento delle istituzioni, a interferire nelle attività economiche. In altre parole, i mafiosi operano sia nel mondo legale si in quello illegale, talvolta svolgendo funzioni di protezione e controllo. Ciò significa, per esempio, che non si limitano a trafficare droga o a estorcere denaro, ma esercitano anche una forma di potere in grado di condizionare, in modo più o meno intenso, porzioni di società in cui si incuneano. Oggi, la presenza della criminalità mafiosa al nord è sempre più legata all’economia, al potere. È più subdola, meno riconoscibile. Una recente decisione della Corte di Cassazione sulla necessità di riscontrare nella condotta mafiosa forme di violenza esplicita e manifesta, non aiuta certo a combatterla. Anzi rende più facile il compito dei mafiosi che oggi sparano di meno e corrompono di più…
In questo libro il nostro sguardo si è concentrato sulle regioni in cui è stata accertatala presenza strutturale della ‘ndrangheta. Ma non è possibile escludere che non abbia messo radici anche in Toscana e in Friuli-Venezia Giulia. In Toscana, recentemente, è emersa una vicenda preoccupante, legata agli scarti industriali della lavorazione delle pelli per le grandi firme nel distretto conciario di Santa Croce sull’Arno. Anche in quell’occasione si è ipotizzata la presenza della ‘ndrangheta e, in particolare, dei clan cutresi, di cui c’è traccia documentata in Lombardia, Emilia e Veneto. Le ramificazioni delle cosche calabresi oggi appaiono rinforzate e rimodellate anche grazie all’apporto delle nuove leve, formate professionalmente fuori dalla terra d’origine. In alcune regioni, come Lombardia e Piemonte, siamo già alla terza generazione, in un Paese che sembra essere diventato sempre più a partecipazione mafiosa.””
Sin qui il libro.
Ora, sempre riguardo al Veneto, integrazioni, valutazioni e conclusione, facendo riferimento non solo alla ‘Ndrangheta ma anche ad altre mafie nostrane e straniere. A Mestre, nel 2012, iniziò il processo contro ventisette Casalesi venetizzati, il cui capo era di Castelvolturno, che operava sotto l’ egida della società ”Aspide” con sedi a Milano e Padova, con giri di usura colossali attuati con metodi mafiosi nei confronti degli imprenditori in difficoltà.
Le indagini furono svolte dai bravissimi Carabinieri del Reparto Operativo di Vicenza. Sui giornali di marzo 2015 ricordiamo che ci furono ampi servizi su Graziano Stacchio, sui tormenti del benzinaio che uccise il rapinatore.
Così leggemmo sul “Corriere del Veneto”: “Abbiamo preso i fucili e abbiamo sparato. Sembrava un Far West. Ma bisogna fare così, farsi la legge da soli, fare come il benzinaio Stacchio”. Ad armarsi e sparare contro i ladri (nomadi) che avevano preso di mira la frazione di Faè di Oderzo, in provincia di Treviso, erano stati i residenti.
Tanta paura in quell’area della Marca trevigiana non è certamente recente; diremmo che è stata più che giustificata proprio perché a pochi chilometri da Oderzo, a Gorgo al Monticano, furono barbaramente trucidati i coniugi Pelliciardi nella notte del 21 agosto del 2007, quando due anziani coniugi, custodi (non proprietari) di una grande villa, furono sorpresi nel sonno da banditi che li uccisero brutalmente dopo averli vilmente torturati per costringerli ad aprire la cassaforte. Un delitto orrido, di violenza inaudita. Il paese restò sconvolto, ma fu l’intero Veneto e tutto il Nordest a ritrovarsi profondamente turbato. Mentre le polemiche furono furiose, con la Lega-Nord che rilanciava le ronde padane a presidio del territorio, si giunse presto all’arresto di tre sospettati grazie alle serrate indagini condotte dai bravissimi Carabinieri del Provinciale di Treviso al Comando del Colonnello Nardone, coadiuvato dal Ten. Col. Baldini, responsabile del Reparto Operativo, con uno staff di grande efficienza; il tutto sotto la magistrale direzione del Procuratore Capo della Repubblica di Treviso, Fojadelli. Gli assassini: un ragazzo romeno di vent’anni e due albanesi, entrambi irregolari, pregiudicati.
Trattando di mafie straniere, il ricordo va ad un caso di rapimento, di alcuni anni addietro, anch’esso brillantemente risolto dai Carabinieri di Treviso, che liberarono una ragazzina cinese di 14 anni, rapita sei giorni prima a Vedelago, in provincia di Padova, mentre andava a scuola, trasferita, tenuta legata e imbavagliata in un appartamento di Milano, proprio nei pressi della ben nota via Mac Mahon. L’irruzione scattò all’alba; furono arrestati tre giovani cinesi, legati a organizzazioni criminali, che avevano chiesto alla famiglia un riscatto di 500 mila euro. A dare un impulso decisivo alle indagini fu il controllo, avvenuto qualche giorno prima a Vedelago di un’auto con a bordo alcuni cinesi da parte dei Carabinieri del Luogotenente Donato Calasanzio, storico Comandante della locale Stazione, purtroppo deceduto, che consentì di scoprire che i tre passeggeri della macchina erano proprio i sequestratori della ragazzina.
Altro caso interessante, sulle dinamiche della mafia cinese, verificatosi a Padova, nel 2009, è quello della “spedizione punitiva” organizzata dai “milanesi”, nei confronti della comunità cinese veneto-patavina. Da Milano, appunto, partirono i giustizieri del “Sol Levante”, armati di tutto punto per punire i “defezionisti” per uno “sgarro” su mancati pagamenti. L’irruzione avvenne durante una festa serale, alla presenza di molte decine di cinesi, quasi a voler dimostrare la superiorità “militare” dei milanesi. Numerosi furono i feriti da fendenti da pugnale senza alcun morto.
Le indagini, svolte molto bene dal Reparto Operativo Provinciale della Città del Santo, d’intesa con il Reparto Operativo di Milano, evidenziarono una realtà molto articolata e complessa.
A questo punto ci inseriamo nel tema tutela dell’Ambiente. Viene subito il ricordo dell’ operazione “HOUDINI” condotta dai Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente.
L’attività investigativa trasse origine da complesse e articolate indagini condotte dal N.O.E. di Venezia, comandato dall’ottimo e preparatissimo Luogotenente C. S. Liborio Fabio Lagattolla (purtroppo deceduto ad appena 56 anni a settembre scorso) che consentirono di far luce su di un’organizzazione criminale dedita al sistematico illecito smaltimento in discariche non idonee, cave in ricomposizione ambientale, laghetti naturali e spandimento/tombamento in Veneto, Lazio, Campania, ed in altre zone del territorio nazionale, di rifiuti speciali pericolosi e non. Risultarono complessivamente indagate, a vario titolo, n. 70 persone. Il modus operandi utilizzato dai soggetti indagati per trasportare, intermediare e smaltire illecitamente i rifiuti consisteva nella declassificazione fittizia dei rifiuti stessi, mediante il classico sistema del “giro bolla” presso i due principali impianti di rifiuti del veneto, la «Nuova Esa s.r.l.», corrente in Marcon (VE) e la «Servizi Costieri S.r.l.», corrente in Venezia-Porto Marghera, che si concludeva con lo sversamento in siti non autorizzati, con conseguente grave danno per l’ambiente. L’ 8 marzo 2004 furono eseguite 11 ordinanze di custodia e si procedette al sequestro preventivo degli impianti. Il valore dei beni sequestrati fu stimato in circa 25.000.000,00 (venticinque milioni) di euro. Nel traffico di rifiuti, ad esempio, si videro le capacità di “ingaggio” degli imprenditori veneti da parte delle cosche. Sandro Rossato, veneto doc ma chiamato da molti “il calabrese” aveva iniziato a lavorare rifiuti con la Rossato s.n.c. nel 1970 a Pianiga (Venezia) collezionando le prime condanne per un falso smaltimento di traversine inquinate. Il consorzio Airone riuscì, infatti, a fare man bassa di ogni possibile servizio nel ciclo dei rifiuti. L’unico argine furono come al solito i Carabinieri che il primo marzo 2006 arrestano Rossato e i suoi soci con l’accusa di “associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e turbativa d’asta”. Il tutto in accordo con la camorra per spartirsi la fornitura di servizi pubblici di smaltimento rifiuti e gestione delle discariche.
Di capannoni pieni di rifiuti ne furono trovati a centinaia. Nel Vicentino, nella Bassa Padana, nel Veneziano, in Polesine l’allarme fu altissimo, ma nessuna zona fu fatta salva da questa “terra dei fuochi” triveneta””.
Dopo le discariche abusive, il Nord-Est ha anche tessuto rapporti con il “Re della terra dei fuochi”, il ben noto avvocato Cipriano Chianese, che era di casa nell’ Alta Padovana ( chi avesse interesse ad avere informazioni su questo grande personaggio, legga il mio articolo su questa testata di cui è Direttore Salvatore Veltri: (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/ancora-sulla-micidiale-terra-dei-fuochi-loperato-dei-carabinieri-del-noe-con-la-magistratura-valido-presidio-di-legalita-nel-difficile-settore-38287/)
Concludendo, non è un caso se in una delle sue ultime relazione, l’ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, disse che le mafie, ormai, parlavano il dialetto veneto “perché si avvalgono della complicità di persone che vivono lì e che non necessariamente appartengono alla malavita”.
Possibile? Vero!!!!