Tematiche etico-sociali

La cuffia assassina

cuffiia Lisa Di GrisoloRoma, 24 aprile – Lisa Di Grisolo, aveva diciotto anni, studiava Fashion Design e faceva la modella. È stata investita dal Frecciarossa alla Certosa di Milano.

È completo il quadro di questa ragazza? No. Manca l’elemento più importante, quello che ha definito la sua vita; una cuffietta, una cuffietta sempre appiccicata alle orecchie e un soprannome, “Riri”, derivato da Rihanna, che caratterizzava la sua vita.

Adorava Rihanna al punto da non staccarsi dalla sua voce, dai suoi ritmi.

Le necrologie, poi, si sa, celebrano le lodi, e le stravaganze le fanno diventare virtù. Adesso è completo il “quadro”? No; fatalmente non lo è ancora. C’è qualcosa che non quadra in questa situazione.

Dove sta la “squadratura”? In tutta una sfera di vita che nasce da uno studio di “Fashion Design”, volgarmente detto “Disegno del fascino” o, più “professionalmente”, “Disegno di moda”, e approda alla professione di “modella”. È la moda, ed è una sfera di vita ben precisa e significa molte cose. Significa, innanzitutto, che non sei un numero, come in tutte le professioni ordinarie, ma un nome, perché ci si chiama tutti per nome e questo dovrebbe darle una parvenza di umanità che, poi, a tutti gli effetti, non c’è affatto perché non esiste proprio. Quel mondo ti stritola nei suoi tentacoli e non te ne fa accorgere. Ti ipnotizza con gli abiti da donne miliardarie, da donne da jet-set, con le luci delle passerelle e con gli obiettivi delle macchine da presa che ti catapultano in un universo rutilante, in cui albergano rotocalchi e cinema che “sparano” la tua immagine alle quattro dimensioni einsteiniane. Poi basta!  Quando sei satura di tutto questo successo che ti “maciulla” il cervello, senti, improvvisamente, che manca qualcosa, “qualcosa” di molto importante alla vita e che tutto quel mondo non ti ha dato.

Molti anni or sono, un servizio di attualità alla televisione, definì questa dimensione di vita, “paradiso e inferno di una stessa medaglia”.

Carlo Vanzina descrisse, con sapiente e significativa maestria, le distorsioni di questo mondo, con il film “Sotto il vestito, niente”.

Bene; la povera Lisa non era ancora arrivata a quei “vertici” fantasmagorici di una gloria d’argilla o di cartapesta, in cui oggi sei Dio ma domani non sei nessuno o non esisti proprio, ma la strada che aveva cominciato a “calcare” era quella. In quella dimensione, forse solo intuitivamente, aveva cominciato a rendersene conto, perché il “niente” che stava sotto il suo vestito forse si era fatto sentire e, forse, lei tentava di colmarlo con la voce di Rihanna perennemente alle sue orecchie. Senza  voler essere cattivi, forse potremmo anche supporre che ci si addormentasse anche con quelle cuffiette alle orecchie. In tutto questo carosello rutilante, meraviglioso e orrendo al tempo stesso, non aveva considerato una cosa, però, il significato e la funzione della musica, qualunque essa fosse, che ascoltava.

La musica non è un oggetto di trastullo, gradevole all’udito, fino alla saturazione delle sensazioni, ma è una linea estetica il cui scopo è la stimolazione di emozioni nel fruitore. Il fruitore, poi, deve “proiettare” queste emozioni nell’ambito delle relazioni che costituiscono la sfera della sua vita, altrimenti non serve a niente.

La povera Lisa, se viveva con i ritmi di Rihanna perennemente nelle sue orecchie, è evidente che non aveva maturato questa consapevolezza perché questa funzione non era contemplata dalla scuola che frequentava. È anche evidente che cercasse in quelli, “qualcosa” che la sua vita e il suo lavoro, nonostante i bei disegni di modelli sui suoi quaderni e i riflettori che illuminavano le “sue” passerelle, non le davano.

Per seguire le emozioni che mancavano alla sua vita e che riceveva da Rihanna, con le cuffie alle orecchie, non ha sentito il veloce e inesorabile Frecciarossa che passava e questo ha portato con se la sua giovane vita…

Oggi, a tragedia consumata, al di là della facile retorica delle necrologie, bisogna riconoscere che qualcuno ha ucciso la povera Lisa Di Grisolo.

Chi è stato, una cuffia a “giusta” ragione “assassina”, o la ricerca spasmodica  di un mondo che promette un paradiso che poi è un inferno?

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