Roma, 05 dicembre 2022 – Lo rivela Raffaella Canovi, studiosa dannunziana che ha pubblicato a maggio 2022 il saggio “L’INIZIATO D’ANNUNZIO E LA MASSONERIA ” (Ianieri Edizioni)
Diversi sono i misteri e i miti che ruotano attorno alla figura di Gabriele d’Annunzio (1863-1938). Il poeta non risulta affiliato ufficialmente alla massoneria. Almeno stando alle carte d’archivio, dove non c’è traccia della sua adesione a nessuna loggia.
Nell’archivio del Grande Oriente non è presente ‘il fratello’ d’Annunzio, così come non ci sono accenni di un’affiliazione massonica al Vittoriale degli Italiani, all’Archivio Centrale dello Stato di Roma.
“Ricercando fra le carte d’archivio, fra documenti e registri non si trovano prove di una vera e propria iniziazione del poeta, pur esistendo certamente legami presenti lungo buona parte della sua vita”, spiega all’Adnkronos Raffaella Canovi, già autrice di “D’Annunzio e il fascismo. Eutanasia di un’icona” (Bibliotheka Edizioni, 2019). Senza un documento di affiliazione non è possibile annoverare con sicurezza d’Annunzio fra i massoni: la sua nomina a fratello onorario con il 33° grado della Gran Loggia d’Italia degli Alam e la presunta consegna della sciarpa bianca a Fiume da parte del Gran Maestro Raul Palermi – sostiene Canovi – “sono da considerarsi onorificenze riconosciute e concesse dalla Gran Loggia d’Italia al famoso Poeta-Soldato e Comandante di Fiume nel tentativo di includere la mitica figura dannunziana”. Fu infatti proprio con l’impresa di Fiume che i rapporti fra il Poeta e la massoneria si concentrarono: nella città furono presenti entrambe le obbedienze, sebbene il Grande Oriente d’Italia (GOI)-Palazzo Giustiniani fosse preminente. Le due comunità massoniche nazionali giunsero a contendersi il presunto iniziato d’Annunzio: poter vantare il Poeta-eroe tra i propri affiliati avrebbe conferito enorme lustro a una delle due famiglie massoniche.
Iniziamo a leggere parti del libro molto interessante.
– Da pag. 105. “”Capitolo 9. La massoneria all’alba dell’impresa fiumana. All’indomani del patto di Londra del 1905 la massoneria si era schierata con il Ministro degli Esteri Sonnino a favore dell’estensione dei confini all’intera Dalmazia; fino ad allora aveva sostenuto la guerra conservando le sue posizioni risorgimentali, ovvero combattere per la democrazia e la libertà; posizioni che si possono far risalire agli anni Ottanta dell’Ottocento quando la libera muratoria si aggirava guardinga fra i circoli irredentisti che portavano il nome dei due eroi Oberdan e Garibaldi, entrambi scomparsi nel 1882, anno in cui l’Italia aderiva alla Triplice Alleanza. L’atteggiamento dopo l’armistizio subì un’evoluzione in senso più radicalmente nazionalista. Il GOI, scegliendo di appoggiare l’impresa dannunziana, non faceva che ampliare la frattura con il Grande Oriente di Francia, divisione nata durante il già menzionato Congresso massonico di Parigi dell’estate 1917, che li aveva visti totalmente distanti in merito alle aspirazioni nazionali e alla sistemazione dell’Europa post-bellica. La massoneria italiana aveva da subito posto particolare attenzione alla vicenda fiumana, sostenendone l’annessione.””
– da pag.165. “”Capitolo 12. Il denaro della massoneria a Fiume. Entrando nello specifico, l’apporto massonico fu sicuramente fondamentale, sia per la presa di Fiume sia per la permanenza di D’Annunzio e dei suoi legionari, un sostegno imprescindibile non solo dal punto di vista propagandistico ma anche per quanto concerne la raccolta di beni di prima necessità e di denaro. Raul Palermi, Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia, aveva domandato a tutte le sue logge di sostenere l’impresa; a Roma aveva istituito un comitato di raccolta fondi, a Milano invece in un’unica seduta, erano state raccolte ben Lire 72.000 (pari a circa 106.000,00 €)consegnate al fratello Tomaso Cartosio in occasione di un suo viaggio alla ricerca di velivoli per la Fiume legionaria. Il vittorioso Comandante di Fiume da subito espresse la propria riconoscenza nei confronti della massoneria, soprattutto verso il GOI come testimonia la lettera datata 21 settembre del capitano e fratello Calavalle indirizzata a Piero Pieri… A conferma dell’appoggio massonico e del fatto che D’Annunzio ne fosse pienamente consapevole, i calorosi ringraziamenti inviati sempre al GOI a pochi giorni dalla marcia di Ronchi: “Al Grande Oriente. Io e miei compagni ringraziamo caldissimamente i sostenitori della giustissima Causa. L’offerta non poteva esserci recata da un più nobile messaggero. La città di Fiume, infelice e beata nel tempo medesimo, ha bisogno di viveri e di danaro, e, sopra tutto, bisogno di essere sostenuta dal puro fervore. I viveri e il danaro cominciano ad affluire, di sopra gli impedimenti. E gli umili soldati danno anche una volta l’esempio. I soldati dell’altra parte ieri ci mandarono una somma raccolta fra loro, con una generosità così candida che mi sembra di veder per loro nella terra sorridere i morti. Confidiamo nell’alto soccorso. Viva l’Italia! Il Comandante. Fiume, 22 settembre 1919.””
– da pag.176. “”Era il 19 settembre 1919 quando un uomo – che appariva quasi come un mendicante – si presentava inaspettatamente sotto il portico del comando: si trattava proprio di un trasandato Rizzo, abbigliato così malamente da non potervi riconoscere al primo sguardo l’eroe di Premuda, la Medaglia d’Oro, il protagonista della famosissima Beffa di Buccari. Accolto con celebrazioni e grandi onori, Rizzo avrebbe lavorato nella stanza accanto a quella del poeta che lo aveva accolto declamando ai suoi Legionari: “Comando dell’Esercito Italiano in Fiume d’Italia. Soldati di terra e di mare, agitate i colori di Fiume…” annunciando ai volontari fiumani come anche l’eroe di guerra Luigi Rizzo si fosse unito alla loro causa. L’esempio da imitare al quale i soldati erano invitati a tributare la giusta accoglienza. L’affiliazione dell’Ammiraglio pluridecorato di guerra alla massoneria è certa e abbastanza risaputa (era iscritto alla R.L. “XX luglio 1960” di Milazzo), e altrettanto la sua importanza all’interno dell’Ordine. Si cita in merito l’evento del Marzo 1919 quando la famiglia massonica nella Valle del Tevere ricevette con grande solennità, nel Tempio Massimo del GOI, il nostro glorioso F. Luigi Rizzo 30: (…) Le acclamazioni altissime e commosse parole, presentò al F. Luigi Rizzo la Medaglia d’ Oro a lui decretata dal Governo dell’Ordine a perpetua memoria della audacissima impresa da lui compiuta contro la flotta austriaca nell’Adriatico.
Se D’Annunzio fosse stato un massone attivo certamente anch’egli avrebbe ricevuto il medesimo onore, ma non ve ne è traccia alcuna. Stesso mese e stessa accoglienza presso la famiglia massonica di Milano, dove aveva luogo un ulteriore ricevimento in onore di Rizzo.””
– da pag.185. “”cap. 13. Le due obbedienze massoniche e l’impresa fiumana. La libera muratoria sostenne d’Annunzio in maniera articolata; non poteva essere altrimenti data la compresenza di due diverse obbedienze: il Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani – e la Gran Loggia d’Italia – Piazza del Gesù. Per quanto riguarda quest’ultima, nel novembre 1918 era stata convocata un’assemblea a Roma dalla quale era emerso un chiarissimo sostegno all’annessione di Fiume secondo una linea nazionalista, abbastanza distante dalla posizione moderata del GOI – da sempre profondamente leale nei confronti del re Vittorio Emanuele III. Mentre il GOI,collocato nell’ambito democratico, preferiva attendere il risultato delle trattative diplomatiche in corso a Parigi, la loggia fiumana di Rito Scozzese “XXX Ottobre” del venerabile Attilio Prodam aveva da sempre incoraggiato i suoi componenti più giovani a iscriversi alle liste dei volontari fiumani e a partecipare direttamente all’impresa.””
13.1 La gran loggia d’Italia e la consegna della sciarpa al Comandante. D’ Annunzio fu legato certamente al martinismo (è una Via Iniziatica il cui scopo è il “perfezionamento interiore dell’essere umano”, attraverso la reintegrazione dell’uomo nell’uomo e dell’uomo nel divino), seppur non si conosca ancora oggi realmente fino a che punto, ma fu anche un massone? E se sì, a quale obbedienza apparteneva? Un uomo positivamente e logicamente libero, antiborghese, a suo modo anarchico, certamente egotista e individualista, non poteva annullarsi all’interno di una fazione seppure antica e potente come quella massonica. Per tale motivo non scelse né l’una né l’altra obbedienza bensì entrambe – e pertanto nessuna.””
– da pag.301. “”cap. 16. La Reggenza e la Carta del Carnaro. La proclamazione della Reggenza (30 agosto 1920) e la promulgazione della Carta del Carnaro (8 settembre 1920) possono essere inquadrate fra i tentativi di risposta al disagio esistenziale e sociale che seguì l’immane carneficina della Grande Guerra. Con la Carta del Carnaro siamo dinnanzi a un documento giuridico-letterario ancora oggi, a più di 100 anni di distanza, rivoluzionario e antesignano, con elementi estremamente moderni per l’epoca in cui erano stati promulgati elementi che sono di una sconvolgente attualità. La costituzione fiumana fu redatta da De Ambris fra gennaio e marzo 1920 sulla base di lunghi colloqui avuti con il Comandante, che la revisionò stilisticamente e la arricchì di contenuti senza stravolgerla. La Carta si fonda sull’autonomia, il decentramento, la libertà di stampa e di parola, di pensiero e di religione, sancisce la parità fra i sessi, la partecipazione di tutti al mondo del lavoro. L’ordinamento fiumano si basava sostanzialmente sul diritto al lavoro, sulla libertà, sull’autonomia dei comuni e degli organi rappresentativi delle minoranze (art.3) e prevedeva un sistema corporativistico, il tutto a sostegno di una nuova figura di cittadino: il produttore. Al produttore erano assicurate le principali libertà e i diritti oggi riconosciuti nelle democrazie moderne, libertà che dovevano comunque rispondere alle norme altamente protettive e presenti nell’ordinamento. La Carta del Carnaro deve essere considerata quale eredità lasciata da D’Annunzio al Novecento. Le masse erano entrate in guerra con la promessa, al loro ritorno, di una riforma agraria: così non era stato; nella Carta si metteva al centro del sistema socioeconomico la proprietà aprendo una diversa strada che avrebbe dovuto condurre aduna nuova società e lanciando continuamente un chiaro messaggio alla monarchia: la proprietà e i mezzi economici devono essere posti al servizio del popolo. La pacificazione – che sarebbe divenuta lo scopo di D’Annunzio al termine dell’avventura fiumana – sarebbe stata possibile solo attraverso una valenza sociale della proprietà. Attraverso lo statuto, De Ambris e il Comandante desideravano ribadire l’italianità di Fiume e stabilire uno Stato rivoluzionario corporativo, rompendo con la tradizione liberal-democratica ma senza accettare la nuova prospettiva sovietica. Le norme della Carta miravano a risolvere i problemi sociali più urgenti, proprio nel momento in cui le masse lavoratrici premevano con sempre maggiore insistenza per veder riconosciuti i propri diritti. Per questo motivo la Costituzione fiumana non può essere collocata in una precisa parte politica: sia di fronte a una nuova forma di Stato il cui fine era instaurare una sorta di sovranità democratica del lavoro, una sintesi tra i valori sociali, nazionali e morali. Ci si allontanava sia dal regime parlamentare, considerato debole e incapace, sia dalla Repubblica presidenziale, dove mancava la mediazione tra il capo dello Stato e l’opinione pubblica; la Reggenza guardava piuttosto all’esperienza cantonale elvetica,esempio di modello di convivenza interetnica. Lo statuto, infatti, affermava il decentramento e le autonomie, oltre alla garanzia del rispetto della lingua dei diversi comuni che avrebbe dovuto governare. Alla base vi era quindi il superamento della lotta fra le classi, per giungere alla concezione di un nuovo Stato sociale, ma non socialista in antitesi quindi con quello bolscevico appena sorto in Russia… Innanzi tutto è rintracciabile il tentativo di recupero della tradizione del municipalismo italiano richiamandosi al pensiero sociale di Giuseppe Mazzini, tanto caro alla massoneria italiana. Come già accennato, centrale all’interno della Carta era il lavoro, unito al netto richiamo ai principi di uguaglianza e solidarietà, valori specifici della libera muratoria. Le influenze massoniche si ritrovano inoltre nel tema dei diritti, come ad esempio il divorzio, istituto giuridico discusso nelle Logge fin dall’unità d’Italia e giunto fino all’aula del Parlamento con le proposte dei fratelli Raffaele Morelli, Giuseppe Zanardelli e Agostino Berenini. In discussione fra le pareti di palazzo Giustiniani v’era anche il ruolo delle donne e la loro uguaglianza giuridica: Alessandro Tedeschi, futuro Gran Maestro della comunione italiana, si era schierato a favore del suffragio universale e dell’ammissione nelle Logge delle donne.””
– da pag.311. “”La massoneria di palazzo Giustiniani espresse da subito la propria ammirazione nei confronti della nuova Costituzione fiumana. Dalla lettera della Loggia di Trieste: “Immutabilmente fedele ai principi che ne guidarono l’azione prima e durante la guerra e la guideranno fino al vittorioso compimento della pace, la massoneria italiana partecipa con fraterno cuore alla esultanza della Città onorante i Liberatori e rinnova i suoi voti più fervidi per il trionfo delle legittime aspirazioni dell’eroico popolo fiumano.””
– da pag.333. “”Conclusioni. Gabriele D’Annunzio, la sua opera, la sua scrittura sono intrisi di mistero e di fascino, come misteriosi e affascinanti sono la magia e i suoi rituali che da sempre ammaliano gli uomini, appartenenti a ogni ceto sociale. Il Poeta era attratto dal mistero e dalla magia, dall’esoterismo; un interesse più che naturale data la continua immersione – fin dall’infanzia- nelle tradizioni e nella scaramanzia abruzzesi. Il fedele amico e segretario tuttofare Tom Antongini così lo descriveva: “Superstizioso per natura, per origini – al suo Paese tutti lo sono – e perché tutto ciò che sapeva di ermetico e di occulto l’aveva sempre interessato, egli, in realtà, durante il venerdì tredici non avrebbe intrapreso nulla, considerandolo un giorno ultra- nefasto.” Non si deve dimenticare inoltre la personalità complessa del vate, la difficoltà di attribuire o meno un peso e una certezza alle sue parole: l’arte era vita e la vita arte; a volte quasi impossibile conoscere il suo reale pensiero, tutto veniva dilatato dalla sua infinita immaginazione, tutto sublimato e ricreato dal magico artifex. Un uomo capace di affermare un concetto e poco dopo l’esatto contrario, si potrebbe credere volutamente per creare un alone d’ambiguità attorno a sé. Era affascinato dal mondo ancestrale esoterico, dall’occulto, dai riti; era attratto dal mistero, dall’indefinito, si autodefiniva un mistero.””
Sin qui il libro.
Ora integrazione e commenti. Un recente romanzo in cui recentemente il grande e ben noto storico Alessandro Barbero ha descritto un D’Annunzio nei suoi piccoli atti, non ultimi quelli legati alla seduzione che mostrano la sua umanità più fragile, è intitolato: “Tutto questo nell’ impresa di Gabriele D’Annunzio a Fiume”. (Mio articolo su www.attualita.it, Direttore Salvatore Veltri (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/poeta-al-comando-54378/). Fatta questa premessa al libro dello storico Barbero, non posso non ricordare un altro libro interessante che ho commentato, concludendo con i rapporti che il Vate aveva con la Regia Arma dei Carabinieri:“LA SOLA RAGIONE DI VIVERE”, opera di F. Carlesi, E. Greco, Marino Micich, M. Runco, curato da Emanuele Merlino.(https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/la-sola-ragione-di-vivere-limpresa-di-fiume-e-la-carta-del-carnaro-50044/).
D’Annunzio, inutile e davvero irrispettoso per la storia negarlo, piaccia o no, come abbiamo più volte scritto, influenzò enormemente la cultura italiana e non solo; Egli fu certamente lo scrittore ed il Poeta che ebbe fra i due secoli la più vasta risonanza in Italia ed anche in Europa dominando sulla letteratura e sul costume del tempo. Sono assai rilevanti le tracce lasciate da Lui nella letteratura, in particolare nella poesia italiana del Novecento, come testimonia Eugenio Montale, ricordando che “Tutti sono passati attraverso il d’Annunzio, foss’anche solo per negarlo!”.
La durevole influenza di D’Annunzio sulla gente fu dovuta alle sue doti di scrittore e alla sua capacità di seguire l’evoluzione del tempo, prima in un pubblico ristretto poi, sempre di più, in larghi strati di un ceto medio allora molto ampio e presente.
D’Annunzio, tra l’altro, ha anche il merito di aver avvicinato una parte del mondo operaio propugnando una sorta di alleanza fra capitale e aristocrazia operaia, rivolgendosi alla “folla” anche se con modi estetizzanti.
Concludo da Liberale, libero Cittadino, libero pensatore non massone, dichiarando che la massoneria antica era di alti ideali con nobili iniziative anche politiche. Da molti decenni, come accertato dalla Magistratura, tutto è cambiato perché ci sono state da parte di alcune logge, che si sono inserite nel polo dei grandi affari anche con le mafie, coinvolgendo ovviamente poli statuali e affaristici.
Lo sappiamo.
Lo vediamo.
Ho finito.