Roma, 7 maggio 2020 – Che fine ha fatto Emanuela Orlandi dopo la sua scomparsa il 22 giugno 1983? Questo uno tra vari quesiti politici, peraltro molto interessanti, contenuti nel libro di Emiliano Fittipaldi, “Gli impostori. Inchiesta sul potere”, uscito in prima edizione con Feltrinelli a settembre 2017. Nel caso dell’analisi della scomparsa di Emanuela Orlandi, unico argomento del libro sul quale ci soffermiamo, si va oltre con il tentativo non solo di capire chi e perché c’è dietro questa vicenda ma anche la volontà di scoprire cosa effettivamente sia accaduto e a quale destino sia poi andata incontro questa giovane ragazza.
Più volte si è cercato di ostacolare o di fermare il lavoro di Emiliano Fittipaldi, anche per via giudiziaria. Leggendo i suoi reportage se ne evince con chiarezza il perché. Fittipaldi non sembra lasciarsi influenzare dalla cultura dominante o dai luoghi comuni, né condizionare dal flusso di notizie e/o opinioni in merito all’argomento trattato… egli basa le sue elaborazioni sui fatti, sui dati e sulle fonti certe.
Iniziamo l’esame del libro…
-da pag.17…””La mia ricerca di documenti misteriosi che riguardano Emanuela Orlandi è cominciata a metà febbraio 2017, durante una sera freddissima che avevo deciso di passare in casa a leggere due libri comprati la settimana precedente: il volume firmato da Francesca Chaouqui e quello di Padre Federico Lombardi, ex Capo della comunicazione della Santa Sede. La Chaouqui, un anno prima, era finita insieme a me, a monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e al giornalista Gianlugi Nuzzi sugli scranni del Tribunale vaticano come imputata del processo sulla divulgazione di notizie segrete chiamato “Vatileaks 2”… Cominciai a leggere il volume della Chaouqui. Scorsi l’indice per capire se ci fosse qualche capitolo dedicato alla faccenda. Fermai il dito su quello intitolato “La cassaforte dei misteri”. Dopo lo scasso, si era intuito che, oltre ai documenti della Cosea ( Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa), nell’armadio violato “c’era ben altro. Dossier sul banchiere Sindona, sugli scandali dello Ior, su Emanuela Orlandi”.
Rileggo il nome della ragazzina rapita, lo cerchio con un pennarello blu e vado avanti.Senza tanti giri di parole, la Chaouqui fa poi capire al lettore che, dalla discussione avuta quella mattina con il suo amico (i due, in seguito, diventeranno nemici acerrimi), aveva compreso che era stato lo stesso Balda a compiere l’effrazione, forse con il supporto di manovalanza esterna. Un’accusa pesantissima già ventilata in un’altra occasione… Mons. Balda, che era già stato sentito dalla Gendarmeria insieme ad altri dipendenti dell’ufficio, ha sempre negato ogni addebito. Fosse stato davvero lui, si tratterebbe di un furto simulato, visto che era in possesso, come Segretario della Prefettura, delle chiavi dell’armadio. Gli uomini della Gendarmeria di Giani non hanno mai avanzato accuse formali né al prelato spagnolo né ad altri ma, secondo i ben informati, gli addetti alla sicurezza sanno perfettamente il nome del colpevole (o dei colpevoli): sulla vicenda si è preferito stendere subito un velo di silenzio, per evitare scandali e gravi imbarazzi. Alla Santa Sede e al Pontefice…””
-da pag.24…””Allontanamento domiciliare”…Dopo poco più di tre mesi di lavoro passati a seguire piste false, di tentativi improbabili e di poste sotto palazzi di Cardinali, di nottate sui fascicoli processuali delle inchieste che la Procura di Roma aveva dedicato alla ragazzina scomparsa (tutte archiviate), di abboccamenti che alimentavano speranze ma portavano sistematicamente in vicoli ciechi, un pomeriggio del maggio 2017 sono riuscito ad ottenere gli agognati documenti…Diversi Monsignori con cui avevo tentato timidi approcci, avevano negato la presenza di qualsivoglia dossier sulla Orlandi, la cui esistenza fu ventilata per la prima volta dai bene informati già durante il primo Vatileaks e il processo all’ex maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele. Mentre altri sostenevano l’esistenza di prove che la ragazzina “fosse sopravvissuta per anni dopo il sequestro, protetta anche da una cortina di silenzio e omertà del Vaticano””… La lettera che ho in mano sembra, o vuole sembrare, un documento di accompagnamento a una serie di fatture e materiali allegati di quasi duecento pagine che comproverebbero alla Segreteria di Stato le spese sostenute per Emanuela Orlandi in un arco di tempo che va dal 1983 al 1997. Scorro rapidamente le fredde voci di costo elencate. Delineano scenari nuovi e oscuri su una vicenda di cui si è scritto e ipotizzato molto e su cui il Vaticano ha sempre negato di avere informazioni ulteriori rispetto a quanto raccontato e condiviso con i Giudici italiani che hanno investigato in questi ultimi trentaquattro anni. La somma totale investita nella vicenda Orlandi sarebbe ingente: oltre 483 milioni, quasi mezzo miliardo di lire…””
-da pag.29…””La nota, nella seconda e nella terza pagina, racconta i costi sostenuti per l’”allontanamento domiciliare” di Emanuela nel periodo “febbraio 1985-febbraio 1988”. Si elencano dispendiosi viaggi a Londra di esponenti vaticani di altissimo livello, soldi investiti per la “attività investigativa relativa al depistaggio”, spese mediche in ospedali e fatture per specialisti in “ginecologia”. Si parla di “un secondo” e di “un terzo trasferimento”, di decine di milioni di lire per “rette omnicomprensive” di vitto e alloggio…Smetto di leggere. Il documento, che esce dal Vaticano, anche se non protocollato e privo di firma del suo estensore, pare verosimile. Ma quasi incredibile nel suo contenuto. Dunque, delle due l’una: o è vero, e allora apre per la prima volta squarci clamorosi su una delle vicende più oscure della Santa Sede. O è un falso, un documento apocrifo che mischia con grande abilità elementi veritieri inducendo il lettore ad arrivare a conclusioni errate…””
-da pag.32…””Fosse veritiero, dunque, il rendiconto datato marzo 1998, pur in assenza delle 197 pagine di fatture, darebbe indicazioni e notizie sbalorditive che potrebbero aiutare a dipanare la matassa di un mistero irrisolto dal 1983. Perché dimostrerebbe, in primis, l’esistenza di un dossier sulla Orlandi mandato alla Segreteria di Stato, mai consegnato né discusso con le autorità italiane che hanno investigato per decenni senza successo sulla scomparsa della ragazzina. Perché evidenzierebbe come la Chiesa di Giovanni Paolo II abbia fatto investimenti economici importanti su un’attività investigativa propria, sia in Italia sia all’esterno, i cui risultati sono a oggi del tutto sconosciuti… Possibile che Emanuela Orlandi sia stata ritrovata viva dal Vaticano e poi nascosta in gran segreto nella capitale inglese? Se non fosse così, e se il documento fosse autentico, a chi la Santa Sede avrebbe pagato per quattordici anni “rette vitto e alloggio” elencate in un report che ha come titolo “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi” e per il suo “allontanamento domiciliare”? Come mai nella nota sulla ragazza viene indicato che il capo della Gendarmeria del tempo, Camillo Cibin, avrebbe sborsato la bellezza di 18 milioni di lire, tra il 1985 e il 1988, per andare avanti e indietro da Londra? Chi sarebbe andato a trovare qualche tempo dopo il medico personale di papa Wojtyla, Renato Buzzonetti, insieme a Cibin, “presso la sede l.21”, una “trasferta” da 7 milioni di lire? Perché e a chi, all’inizio degli anni Novanta, il Vaticano avrebbe pagato spese sanitarie – come segnala ancora l’estensore dello scritto – per i controlli (o addirittura un ricovero) alla clinica St. Mary, sempre di Londra?…””
-da pag.35…””La scomparsa…Decido di partire dall’inizio. Dall’ultimo giorno in cui i familiari avevano visto la ragazzina, il 22 giugno 1983. Mi concentro sui fatti oggettivi contenuti nei tanti libri che hanno raccontato la vicenda e sulle poche carte della Magistratura che contengono qualche punto fermo.Mi procuro l’istruttoria, risalente al lontano 1997, del Giudice Adele Rando, un Magistrato che aveva indagato per anni, insieme ad altri colleghi che lo avevano fatto prima di lei. Aveva scritto la prima sentenza sul caso della ragazzina e sulla scomparsa, avvenuta poche settimane prima, di un’altra adolescente, mai ritrovata, Mirella Gregori. (Le due giovani, quasi coetanee, sono state spesso associate a un destino comune da media e PM; le sentenze sostengono invece con forza che gli accostamenti tra le due vicende furono orientati da una tentativo di depistaggio)…””
-da pag.39…””La pista turca…Il primo mese dopo la scomparsa avvengono gli unici fatti che il giudice Rando definisce “riconducibili a connotati di autenticità”. Innanzitutto, le telefonate anonime al numero di casa Orlandi da parte di due soggetti. Prima di un tal Pierluigi che, durante tre brevi colloqui, sosterrà che la sua fidanzata aveva visto poche ore prima a Campo de’ Fiori una ragazza di nome Barbara…Il 28 giugno, arrivarono le telefonate di un misterioso Mario che, “appare preoccupato”, sintetizza la Rando, “di sollevare da ogni responsabilità un suo amico che lavora per l’Avon: in proposito riferisce che con quest’ultimo lavorano anche due ragazze delle quali una rispondente al nome di “Barbara”, che sarebbe rientrata a casa nel mese di settembre (tre mesi dopo, dunque, N.d.A.) per il matrimonio di una parente”…
-da pag.41…””Il terzo telefonista anonimo, un uomo dal forte accento anglosassone, chiama la sala stampa del Vaticano due giorni dopo l’appello del Papa, il 5 luglio 1983. Giornalisti e magistratura lo definiranno “l’Americano”. È lui che introduce per la prima volta una delle piste e dei moventi più battuti per risolvere l’enigma di Emanuela. “È stata rapita,” dice in varie telefonate, “per ottenere la liberazione di Mehmet Ali Ağca”. Ali Ağca è il killer turco appartenente all’organizzazione terroristica di ultradestra dei Lupi grigi che, il 13 maggio 1981, aveva sparato due colpi di pistola a Giovanni Paolo II durante l’udienza generale in Piazza San Pietro. Era stato condannato all’ergastolo per direttissima. L’Americano, attraverso una serie di telefonate in Vaticano, alla famiglia Orlandi, alle amiche di Emanuela e agli organi di stampa, rivela che Pierluigi e Mario fanno parte dello stesso gruppo di rapitori, chiede l’intervento diretto del Pontefice per la liberazione della ragazza in cambio di Ali Ağca e fissa un ultimatum con scadenza il 20 luglio. Per provare che Emanuela è nelle loro mani, l’anonimo fa prima sentire al telefono un nastro con la voce registrata della ragazza, poi fa ritrovare in un cestino di Piazza del Parlamento una fotocopia della tessera d’iscrizione alla scuola di musica con una frase scritta a mano (“Con tanto affetto, la vostra Emanuela”) e, successivamente, un foglio presso la cappella dell’aeroporto di Fiumicino con “una scrittura autografa attribuita ad Emanuela in cui si legge,” scrive la Rando, “Per Ercole e Maria Orlandi. Cari mamma e papà, non state in pensiero per me, io sto bene””….
-da pag.72…””Ottanta milioni per il Cardinal Poletti… L’ultima voce della quarta pagina del resoconto, probabilmente riferita a un periodo intorno al marzo 1993, evidenzia un esborso, molto oneroso, di 9 milioni per un “terzo trasferimento”. È difficile stavolta ipotizzare la destinazione. Subito dopo le voci di spesa inerenti al primo “spostamento” e al secondo “trasferimento”, infatti, la lettera riporta indirizzi di due ostelli cattolici di Londra esclusivamente per ragazze. Ma, dopo il “terzo trasferimento”, scorrendo l’intero elenco non trovo (se non alla fine della nota, come vedremo) altre coordinate geografiche. Nella pagina relativa al periodo 1988-1993 c’è invece un’ultima voce che merita un approfondimento. Il Vaticano avrebbe versato la cifra ‘monstre’ di 80 milioni di lire per “l’attività di Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Ugo Poletti”, anche lui incaricato di occuparsi della vicenda Orlandi... Poletti era un pezzo grosso della chiesa di Wojtyla, aveva retto il Vicariato di Roma dal 1976 al 1991 e, nel 1985, era stato nominato Presidente della Conferenza episcopale italiana. Il porporato, però, era diventato celebre in Italia soprattutto dal 1997, quando, pochi mesi dopo la sua morte, “Il Messaggero” aveva raccontato (grazie ad un rapporto della Dia di due anni prima) che era stato proprio lui, il Vicario del Papa, ad autorizzare la sepoltura del boss della Banda della Magliana Enrico “Renatino” De Pedis nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare, a Roma… Il criminale era stato ammazzato il 2 febbraio 1990, a trentasei anni, vicino a Campo de’ Fiori, mentre era in sella al suo motorino Honda. Dopo la sparatoria e i funerali, era stato inumato al Verano. Grazie a Poletti, però, il 24 aprile il suo corpo era stato trasferito nella Basilica. In terra “extraterritoriale” vaticana, a due passi da piazza Navona e dalla scuola di musica frequentata dalla Orlandi.. Poletti l’aveva autorizzata in deroga al diritto canonico. Lo scandalo di questa sorprendente decisione, però, non deflagrò in seguito all’articolo de “Il Messaggero” del 1997 ma otto anni dopo, nel luglio del 2005, quando una telefonata anonima al programma di Raitre “Chi l’ha visto?” mise in collegamento la sepoltura di De Pedis con la scomparsa della ragazzina vaticana. Le parole dello sconosciuto spinsero alcuni cronisti a ricostruire nei dettagli la vicenda dell’inumazione del boss… Nel 2006 Antonio Mancini, un componente del gruppo criminale, disse in tv che la voce del secondo telefonista, quello che aveva chiamato subito dopo la scomparsa di Emanuela a casa Orlandi definendosi “Mario”, gli ricordava molto quella di un suo vecchio sodale. Sentito subito dalla Procura di Roma, Mancini aveva confermato tutto, aggiungendo che, pur non avendo contezza diretta del sequestro (nel giugno 1983 era in carcere), aveva saputo della partecipazione della Banda da alcuni suoi membri in galera con lui.
Anche il boss Massimo “Crispino” Abbatino, nel 2009, parlò di un coinvolgimento dei criminali di cui era stato leader insieme a De Pedis e Franco “Er Negro” Giuseppucci. Come quelle di Mancini, però, anche queste erano dichiarazioni in relata refero: ”All’epoca della scomparsa mi dissero che il sequestro era un avvertimento che il De Pedis rivolgeva al Vaticano relativamente all’affidamento di ingenti capitali effettuato anche per conto della mafia siciliana di Pippo Calò…Ma la supertestimone che in pratica fece aprire un nuovo fascicolo giudiziario nel 2008 sul caso di Emanuela fu Sabrina Minardi. Dal 1982 al 1984 era stata l’amante di De Pedis. La donna, ascoltata nel marzo e nel giugno del 2008 dai carabinieri che volevano capire se le affermazioni di Mancini sulla Orlandi fossero veritiere e verificabili, affermò che il boss aveva ragione e che Emanuela era stata rapita proprio da “Renatino”. I giudici scrissero nel 2015, a proposito della sua deposizione, che era stata “lunga e spesso confusa”, aggiungendo che al momento era “tossicodipendente e ricoverata in una casa di cura per disintossicarsi”.
La Minardi iniziò la deposizione dichiarando di aver visto con i suoi occhi Emanuela in cima al colle Gianicolo e che il boss aveva chiesto proprio al lei, a circa una settimana dal rapimento, di portare la fanciulla(che lei aveva subito riconosciuto, nonostante i “capelli tagliati pari, mozzati, come fosse un taglio casareccio” grazie ai cartelli con la sua foto che tappezzavano Roma) a un appuntamento con un prete a cui “bisognava consegnare la ragazza”…Quando Sabrina chiese al suo amante se si trattasse davvero di Emanuela, De Pedis le avrebbe risposto secco: “Se l’hai riconosciuta, è meglio che non l’hai riconosciuta”… Ai carabinieri che gli domandavano se conoscesse i reali motivi del rapimento della Orlandi, la Minardi disse di no, ma che aveva ipotizzato un coinvolgimento di Paul Marcinkus, all’epoca oscuro timoniere dello Ior, che con “Renatino” aveva “rapporti stretti, prevalentemente di affari””.
Sin qui l’interessante libro.
La triste vicenda comunque continua ad impegnare le cronache… Sembrava chiaro già da un anno che fosse una falsa pista, come le tante che hanno accompagnato questa oscura vicenda, la presenza nel Cimitero Teutonico dei resti di Emanuela Orlandi. Nei mesi scorsi, giunge la conferma: le ossa più recenti tra quelle rinvenute nell’operazione del luglio 2019 risalgono ad almeno cent’anni prima della scomparsa della giovane. Per questo il Giudice Unico dello Stato della Città del Vaticano, su richiesta del Promotore di Giustizia, ha archiviato definitivamente il procedimento relativo alla presunta sepoltura della giovane Emanuela nel Teutonico, piccolo lembo di terra all’interno della Città del Vaticano, dove sono sepolte persone di origine austriaca, sudtirolese, svizzero-tedesca, lussemburghese, a pochi passi dall’Aula Paolo VI. A pochi passi, peraltro, dell’abitazione della famiglia Orlandi.
Per Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, sembra tutto «assurdo»: «Il Professore Arcudi ci disse (alla presenza di legali e periti di fiducia della famiglia Orlandi) che quelle ossa non potevano essere datate a vista, che occorrevano ulteriori approfondimenti e ora archiviano tutto così. È molto strano. Si è trattato di esami puramente visivi, che a detta dei migliori consulenti in materia non sono sufficienti a datare con precisione le ossa. Dunque, mi chiedo, come si fa a dire che si tratta di ossa centenarie se queste non sono state esaminate?».
Passando ad altro, per chi volesse approfondire la materia, suggerisco la lettura di altro mio articolo su questo giornale, di cui è Direttore Salvatore Veltri, dal titolo: “Emanuela nelle braccia dell’islam? Sufismo e jihad della donna dai mille volti” Edizioni Segno… con esame del bel libro di Anna Maria Turi, giornalista e scrittrice,articolo in cui ho inserito anche miei ricordi professionali…
Per chi ha curiosità, buona lettura…