“Eroi di una Guerra Segreta”

Le scomode verità delle “Missioni di pace” italiane… con ricordi personali …

Roma, 31 agosto 2019 –  Grazie alla sua esperienza di inviato, Meo Ponte racconta, in questo interessante libro “Eroi di una Guerra Segreta” – “Le scomode verità delle “Missioni di pace italiane” edito da Longanesi, attraverso la voce dei protagonisti e il contenuto di documenti mai resi pubblici prima, le vite perse e le battaglie vinte dai Soldati italiani attivi nelle cosiddette missioni di pace.

A partire dagli anni ottanta, con la prima missione in Libano, l’Esercito italiano è stato impegnato in diversi teatri bellici e post bellici. In molti casi i Soldati hanno dovuto affrontare vere e proprie battaglie dove hanno messo in luce la loro preparazione e il loro valore. Il caso più eclatante è la missione Antica Babilonia iniziata nel luglio 2003 in Iraq. Convinti di partecipare a un’operazione di peacekeeping, i Soldati italiani si sono visti affidare il controllo di un’intera provincia, che sarebbe stato il teatro del tragico attentato contro la Base Maestrale a Nassiriya.

Si, Nassiriya… Ora pausa sul libro di Meo Ponte, per ricordare il grande ed eroico Maresciallo  Alfonso Trincone, Comandante della formidabile Sezione Inquinamento Sostanze Radioattive del Comando Tutela Ambiente da me retto (sino a settembre 2006) in quel tragico momento… Si,  quel tragico 12 novembre 2003, a Nassiriya, Trincone era giunto a fine missione. Sarebbe tornato il giorno successivo. Era già stato in Kosovo e in Bosnia. Partiva e ritornava, da quando era stato specializzato nella difficile materia dei Radioattivi. In Irak, infatti, si occupava proprio dei rischi di inquinamento radioattivo… e telefonicamente me ne parlava. L’ultima telefonata a casa soltanto due giorni prima di morire, per dire appunto che  venerdì 15 novembre avrebbe preso l’aereo per l’Italia. Non vedeva l’ ora di riabbracciare la moglie, Anna, e i tre figli, Vincenza di 18 anni, Martina di 13 e il piccolo Lorenzo di appena 6…”il cucciolo di casa..”,.. ora tutti cresciuti e lanciati ottimamente nella vita.. grazie ai nobili insegnamenti di Papà e Mamma.. In Famiglia lo stavano aspettando con pranzo tutto napoletano. Invece, non tornò. È spettato a me, quale Suo Comandante, di portare la tremenda notizia alla cara Famiglia..

Come ricordiamo, alle 08:40 in Italia di quel maledetto 12 novembre, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti alla base MSU (Multinational Specialized Unit) italiana di Nassiriya, provocando l’esplosione del deposito munizioni e la morte di diciannove persone tra Carabinieri, militari e civili.  Il tentativo degli attenti e reattivi Carabinieri di guardia all’ingresso della base “Maestrale” di fermare con le armi in dotazione i due attentatori suicidi riuscì appieno, tant’è che il camion non esplose all’interno della caserma ma sul cancello di entrata, altrimenti la strage sarebbe stata di ben più ampie dimensioni. I primi soccorsi furono prestati dai Carabinieri stessi, dalla nuova Polizia irachena e dai civili del luogo. Ora, quel che voglio in questa sede nuovamente trattare è quanto accordato dallo Stato ai Caduti di Nassiriya, cioè la concessione, invece di una Medaglia al Valore Militare, di quella “Croce d’Onore” che fu istituita ad hoc con  legge n.207 del 14 ottobre 2005 (per chi sia “deceduto ovvero abbia subito una invalidità permanente pari o superiore all’80% della capacità lavorativa, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di atti di terrorismo o di atti comunque ostili commessi in suo danno all’estero durante lo svolgimento di operazioni militari e civili autorizzate dal Parlamento”), vale a dire solo e soltanto una attestazione commemorativa, assimilabile al Cuore Purpureo (PurpleHeart) degli USA, maestri in tante cose…

Proseguendo nella trattazione del libro.. Meo Ponte racconta che le missioni di pace in aree post-conflitto fanno parte della tradizione delle Forze Armate italiane e risalgono ai primi anni dell’Unità d’Italia. Nel 1885,  Ufficiali del Regio Esercito furono inviati ad assicurarsi che il cessate il fuoco tra la Serbia e la Bulgaria nei Balcani fosse stata attuata. Nel 1900 in Cina, per difendere le legazioni occidentali dall’assalto dei Boxer, morirono 19 Marinai italiani. L’esercito dei soldati caduti si apre con i 13 Aviatori trucidati a Kindu nel 1962 e prosegue sino ai giorni nostri. Io in guerra ci sono finito per caso, scrive l’autore. O quasi. Una mattina di fine luglio 2003 il Vice Direttore di Repubblica, Angelo Rinaldi, mi telefonò dicendo: “Te la senti di andare in Iraq?”. Risposi avventatamente sì, perché in fondo sapevo che quella richiesta l’avevo auspicata. Sin qui la premessa dell’autore…

Proseguendo nella lettura del libro, ho avuto un sussulto leggendo il nome di Francesco Papadia… validissimo Capo Servizio Sanitario della Regione Carabinieri Veneto, nel grado di Maggiore, durante la mia permanenza quale Comandante (2006/09). Con lui si parlava in primis delle vicende che riguardavano i militari del Comando allo scopo di migliorarne il quadro di servizio, poi ci si intratteneva a discutere proprio degli argomenti trattati nel libro…

Papadia (da pag 215), dalla missione in Kosovo, è tornato 18 anni fa, ma continua a combattere. La sua è una battaglia che si affronta anche dopo aver lasciato la linea del fronte, una guerra che ti entra dentro e non ti lascia più. Francesco, ex Ufficiale Medico dei Carabinieri Paracadutisti del Tuscania, combatte da 18 anni con un nemico invisibile ma letale: l’U238. È questa la sigla che definisce l’uranio impoverito utilizzato per confezionare, a basso costo, proiettili di artiglieria in grado di perforare le corazze dei carri armati. È materiale di scarto della raffinazione dell’uranio, non contaminante al tocco. I proiettili di U238 al momento dell’impatto, però, sviluppano temperature tanto alte da nebulizzare i metalli, creando particelle che se ingerite o inalate possono causare forme tumorali.

Francesco Papadia è uno dei 4000 Soldati italiani che sono tornati dai Balcani con una ferita mortale: un tumore… Altri 340 sono morti.

La prima vittima di questa guerra silenziosa e dimenticata, è stato un Caporale Maggiore della Brigata Sassari, Salvatore Vacca, morto di leucemia 23 mesi dopo essere rientrato dalla missione in Bosnia. È infatti nei Balcani che è stata maggiormente “combattuta” la guerra dell’uranio impoverito. Il 3 novembre 2012, il Tribunale Civile di Roma, per la prima volta, ha stabilito un nesso causale tra la malattia di Andrea Antonaci, un linfoma di Hodgkin, era stata l’esposizione all’U238 contratta durante una missione in Bosnia… I Giudici hanno quindi condannato il Ministero della Difesa al pagamento di un risarcimento di quasi 1 milione di euro ai familiari del Soldato. Sono poi seguite altre 43 sentenze di risarcimento, 13 delle quali passate in giudicato. Sulle morti da uranio impoverito sono state istituite anche quattro Commissioni di Inchiesta Parlamentare e da più parti politiche è stata invocata una Legge che chiarisca finalmente a chi vanno attribuite le responsabilità delle morti dei soldati e soprattutto come debbano essere definiti i risarcimenti.

Gli Alti Comandi Militari hanno però sempre respinto l’accusa di aver consapevolmente inviato i nostri Soldati in aree contaminate… Meo Ponte lumeggia la figura di Papadia… Si arruola come Ufficiale medico dei  Paracadutisti della Folgore subito dopo la Laurea in Medicina. “Credo di essere stato Medico ancor prima di nascere” ironizza, “è colpa del DNA, dato che non solo i miei Genitori ma gran parte dei miei parenti sono Medici. Io però amavo le sfide. Per questo sin da giovane ero salito sul ring per combattere come thai boxer professionista… Mi stavo preparando per il test d’ingresso alla specialità di Dermatologia quando mi arriva la cartolina verde della leva. Appartengo alla generazione per cui il servizio militare era ancora obbligatorio, ma arruolarmi come Ufficiale medico è per me un impegno che mi attrae..”  Il giovane Tenente parte per il Kosovo nel 2000. A 29 anni. “A fine maggio mi arriva inaspettata una telefonata direttamente dalla Direzione Sanità del Comando Generale dell’Arma” ricorda, “è un Generale a dirmi che c’è bisogno di me come Medico nei Balcani dove abbiamo una missione di pace. Sarò il Direttore dell’infermeria della MSU la Multinational Socialized Unit. Dovrò occuparmi della salute di un Reggimento misto di Carabinieri e di Militari Estoni.” Mentre il Tenente Papadia si prepara eccitatissimo alla partenza, in Caserma cominciano a circolare voci preoccupanti. Molti dei Carabinieri paracadutisti che sono stati nei Balcani, sono tornati con strani malesseri, che si è poi scoperto essere causati in gran parte da tumori alla tiroide. “Erano sempre più diffuse le voci che indicavano il Kosovo, in particolare Pristina, come zone completamente contaminate dall’uranio impoverito sprigionato dalle migliaia di proiettili usati dagli americani per bombardare le strutture militari”, spiega Francesco Papadia. “Preoccupato da queste indiscrezioni, chiamai il Comando Generale dell’Arma per saperne di più. Mi fu assicurato che si trattava esclusivamente di voci, anzi di leggende metropolitane senza alcun fondamento scientifico”.

In Kosovo però accanto alla miseria e alla distruzione c’è anche il pericolo di calpestare la morte. Lo sa bene Saverio Cucinotta (da pag. 220),  Tenente dell’Esercito, che ha combattuto alla CPA in Iraq e che nel 1999 è in Kosovo con il grado di Capitano del Genio. Alle mine nascoste sul terreno dalle diverse fazioni protagoniste del conflitto si sono aggiunti anche circa 1300 “container” di “cluster bombs” (bombe a grappolo), lanciati dai caccia della Nato, ciascuno dei quali capace di contenere al suo interno ben 208 ordigni. In totale 270.000 dispositivi esplosivi estremamente distruttivi, il 5% dei quali non è esploso al momento dell’impatto con il terreno, ma può essere “risvegliato” se semplicemente urtato. Cucinotta è uno dei Militari che devono disinnescare con le bombe inesplose. La prima preoccupazione del giovane Ufficiale Medico è quindi quella di capire quale tra le strutture ambulatoriali dei tanti Eserciti internazionali schierati nella zona, sia in grado di fornirgli assistenza nel caso si trovi di fronte a un’emergenza. Grazie alla padronanza della lingua riesce a intrecciare ottimi rapporti con i Medici dell’Ospedale Militare britannico che sorge a poca distanza dall’Ambulatorio italiano. L’Ospedale, però, ha regole ferree: I suoi Medici possono occuparsi solo dei Soldati britannici. Ma Papadia è un ufficiale intraprendente. Con qualche cassa di Tavernello, il vino in cartone, presa dalla mensa italiana, cementa l’amicizia con i colleghi britannici, stabilendo un rapporto che nelle settimane successive sarà fondamentale per salvare la vita a un Carabiniere. “Quel giorno un militare accusò un dolorosissimo mal di pancia” ricorda Papadia: “Un Vice Comandante, incurante dei lamenti del poveretto, insisteva che era probabilmente una banale indigestione e che il Carabiniere ne stava approfittando, perché era sostanzialmente un lavativo che sperava così di sottrarsi al turno di servizio. A me, invece, quei dolori erano sintomi di qualcosa di ben più grave di un semplice mal di pancia da indigestione. Il Tenente Papadia, però, non si spaventa. Infischiandosene delle minacce, accompagna il Carabiniere all’Ospedale britannico lasciandosi alle spalle le urla del Vicecomandante. “Appena arrivammo i colleghi britannici si resero conto immediatamente delle gravi condizioni del Carabiniere e confermarono la mia diagnosi: appendicite acuta con perforazione! Pochi minuti dopo era sul tavolo operatorio per un intervento della massima urgenza. Grazie ai Medici dell’Ospedale britannico ebbe salva la vita. Da 18 anni aspetto una parola di scuse dall’Ufficiale che voleva impedire quel ricovero, ma per ora ho avuto solo silenzio.. (more solito – nda). “I miei colleghi britannici mi accompagnarono poi a vedere un gigantesco container che, con malcelato orgoglio, mi descrissero come un impianto di filtraggio dell’acqua che usavano. Ero stupito che avessero portato un tale impianto sin dall’Inghilterra quando noi Italiani ci approvvigionavano per il nostro bisogno di acqua dalla rete idrica locale. Glielo dissi e loro, inorriditi, mi spiegarono che l’acqua la depuravano tramite il gigantesco filtro che mi avevano appena fatto vedere. Ammisero però di non poter competere con gli Americani. Come al solito i loro ricchi “cugini” potevano contare su una grande dovizia di mezzi. Al punto da far giungere direttamente dagli Stati Uniti con aerei cargo l’acqua utilizzata nelle loro basi non solo per bere e cucinare, ma anche per le docce e gli scarichi dei gabinetti. “Una mattina del 2008, però, il Kosovo mi ha presentato il conto” ricorda l’ex Ufficiale Medico. “Sto facendo la doccia. Mi tocco un testicolo e scopro una tumefazione di 3 cm che lo fa apparire come se fosse pietrificato. Capisco immediatamente di cosa si tratta, ma ho tanta paura che relego in fondo alla mente quel pensiero. Voglio illudermi che sia qualcosa di diverso. Qualcosa di meno terribile. Quando vado a farmi visitare, però, i miei sospetti sono confermati. Quella tumefazione è un tumore testicolare tra i più rari. L’operazione però è solo il primo passo di un lungo calvario. Nel 2010 scopre una tumefazione analoga nel testicolo che gli è rimasto. “Il Collega radiologo girandosi verso di me, con un tono grave, dopo aver alzato lo sguardo dal monitor dell’ecografo, mi dice: “mi dispiace Francesco, il tumore dopo due anni è tornato fuori”. “Voglio combattere la morte con la vita, voglio un altro figlio, voglio dare un fratellino a Matilde” dice ricordando quel momento.. “Voglio vivere la vita fino all’ultimo momento. E ci provo.. Ho due mesi di tempo prima che il secondo intervento mi renda definitivamente sterile. Ce la faccio. Due giorni prima dell’operazione per asportare il secondo tumore mia moglie mi mostra il test di gravidanza: è positivo! Sento che questa nuova vita che ho generato mi dà forza, aumenta la mia volontà di oppormi a un male che insiste nell’invadere il mio corpo e nel tentare di uccidermi..”.

Nel frattempo Papadia deve anche ricostruire la sua vita. Dopo il secondo intervento viene congedato dall’Arma dei Carabinieri perché, secondo le tabelle di infermità, non è più “idoneo”. Papadia affronta la vita da civile. È un bravo dermatologo, la malattia lo ha spinto ad approfondire gli studi specializzandolo nella prevenzione dei tumori cutanei. Cerca di vivere una vita normale mentre continua a combattere il suo nemico invisibile. “Ho dovuto affrontare non solo il calvario degli interventi ma anche le costosissime spese delle cure mentre contemporaneamente venivo privato del mio grado, della mia carriera militare…ho dovuto, per far valere i miei diritti, inoltrarmi in una giungla di leggi e regolamenti che paiono studiati appositamente per insabbiare ogni richiesta di risarcimento. Ho potuto però capire che ero e sono davvero un combattente che non si dà mai per vinto…” No,Papadia non si è dato e non si da per vinto…

Tornando ai nostri rapporti, leggendo il libro, l’ho subito chiamato telefonicamente, complimentandomi.. e preannunciandogli, ricevendo il placet, un articolo su questa testata che si ispira ai valori storici e di alta Democrazia del grande Gaetano Salvemini… Gli incontri oltre dieci anni fa, avvenuti a Padova, oltre che in ufficio ma anche in piacevoli cene cui a volte partecipava anche la mia.. cara Moglie Tullia Mariani.., peraltro Medico Anatomo Patologo, già Assistente dell’Istituto Ricerche sul Cancro dell’Università di Perugia, ma anche specializzata in  Medicina Legale… Si conversava, tra l’altro,  sia dei problemi personali del valoroso Collega, sia del tema delle responsabilità delle alte sfere sia mediche, con convinte argomentazioni scientificamente provate  da mia moglie, sia ministeriali e gerarchiche, cui univo il mio pensiero, come noto ai miei 25 lettori, sempre libero e non asservito..!!

Carabiniere Raffaele Vacca, Generale di Divisione (ris.)

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