Molti anni fa, presi dalla stessa smania di razionalizzazione, i vertici dell’Arma spostarono il Comando della Divisione territoriale da Padova a Treviso. Grandi elogi e feste a cotanta lungimiranza, perché nella città del Santo il posto era veramente esiguo e molto malandato. Ma, dicono i maligni, lo spessore politico e culturale di Treviso non sarebbe stato all’altezza dei comandanti, soprattutto delle mogli, che avrebbero perduto molte occasioni di mondanità e di alte relazioni. Ergo, detto fatto: si torna a Padova, dove nel frattempo si erano fatti belli e costosi lavori, per adeguare la sede di prestigio in Prato della Valle. Poteva Treviso rimanere in silenzio? Dal cilindro della politica, con la acquiescenza dei vertici militari, ed in un periodo storico in cui era di moda la parola “devolution”, compare il risarcimento: la DUM, con sede in Roma, viene trasferita in poco tempo a Villa Margherita. Con grandi paroloni di autoreferenzialismo, un sorridente Comandante Generale inaugurava la nuova struttura, parlando di primo passo verso una maggiore attenzione al territorio, tanto caro all’Arma, addirittura di elevazione del comando, da divisionario a vertice. Poco, per chi non conosce a fondo i meccanismi, ma tantissimo per gli addetti ai lavori e, soprattutto per il Comune di Treviso che vedeva risolto, ed anche al meglio, sia il problema della struttura vuota, sia quello degli appetiti speculatori che mai hanno cessato di mirare alla prestigiosa struttura per interessi, legittimi, ma contrari a quelli della collettività. Dopo anni di silenzio, dopo aver speso molti soldi per restaurare quanto era in degrado, dopo aver, personalmente proposto, quando altre risorse furono impiegate solo per cancellare un orrido campetto da tennis, ad uso solo di supervip, di realizzare a costo quasi zero una piscina coperta da adibire, in accordo con le associazioni umanitarie, con personale militare volontario (gratuito e trovato) anche ad idroterapia per disabili e minori con particolari patologie, dopo tutto questo, dicevo, ecco che l’anno scorso, come un fulmine a ciel sereno, si sparge il panico: Villa Margherita chiude! Subito, con lodevole determinazione, il Comune di Treviso, il suo Prosindaco Gentilini, ma anche le opposizioni, si scatenarono in lettere, dichiarazioni, trasmissioni televisive; insomma ci fu un tale putiferio che l’improvvido rottamatore romano, dovette fare rapida marcia indietro. Mai stare tranquilli quando un burocrate di mezza tacca vuole qualcosa: riuscirà a convincere anche chi ha la responsabilità di comando che è doveroso, salutare ed opportuno seguire i suoi consigli, pena, altrimenti, chissà quali guai amministrativi e di immagine. E quindi siamo ai giorni nostri: con curiale tradizione i vertici, dopo aver garantito, più volte, a voce, dinanzi al personale, (5/2/2013) che non era nemmeno allo studio la possibilità di far ripiegare la Divisione a Roma, dopo che la stessa Rappresentanza era stata in merito rassicurata, poche ore dopo, ecco il messaggio: la Divisione tornerà a Roma. Non si sa quando, ma il fatto è deciso. In coda a questa situazione che, se mi è permesso, vedo paradigmatica, simile a quella della politica nazionale, in cui tutto è in stallo, tutti attendono un “Messia”, ma i soliti burocrati continuano la propria “simpatica” esistenza, anzi la migliorano, perché non c’è nessuno che urli loro qualcosa di simile a quanto ascoltò un confuso Schettino la notte del naufragio della Concordia. Ci vogliono dieci saggi per capire che nella villa in questione e nella pertinenza di fronte, di cui nessuno parla perché è di proprietà del Demanio e vi è la mensa unificata per tutti i carabinieri di Treviso, più alloggi ed uffici, ci potrebbero stare anche altri reparti, vedi il NAS, che paga fior fiore di affitto? O altro personale, così, tanto per disingolfare sedi storiche, e rendere miglior servizio ai cittadini? Dove sei, caro Gesuita che hai scritto il nostro Regolamento? Dove sei, spirito di Salvo D’Aquisto, che hai reso immortale l’Arma? Forse anche tu ti sei arreso a quattro ragionieri che stanno distruggendo, come altri, un capolavoro, alla stregua dei Talebani che cannoneggiarono le statue del Buddha, perché non era opportuno vederle. O perché i loro occhi non le capivano. A loro, sempre incolpevoli di tutto, l’urlo di Gentilini a caratteri cubitali sulla stampa locale: SI VERGOGNINO!