Roma, 28 marzo 2022 – Magistrato dal 1977, Carlo Nordio è stato titolare dell’inchiesta sul MOSE di Venezia, nonché protagonista della famosa stagione di Mani pulite, con la celebre inchiesta sulle cosiddette “cooperative rosse”.
Negli anni ottanta condusse le indagini sulle Brigate Rosse venete e sui sequestri di persona e negli anni novanta indagò sui reati di Tangentopoli.
È stato Consulente della Commissione Parlamentare per il terrorismo e Presidente della Commissione ministeriale per la riforma del Codice Penale.
È stato, fino al pensionamento avvenuto nel 2017, Procuratore Aggiunto della Procura di Venezia, occupandosi di reati economici, di corruzione e di responsabilità medica.
Nell’interessante libro “Giustizia Ultimo Atto” pubblicato nel febbraio 2022, ci fa sapere che quindici anni fa l’ottanta per cento degli italiani confidava ancora nei Magistrati.
Oggi, dopo gli ultimi scandali emersi nella Procura di Milano, le faide tra le correnti interne e gli innumerevoli episodi di protagonismo dei Pm, non solo la percentuale è crollata, ma a documentare la sfiducia dei cittadini è anche un mezzo milione di firme raccolte per il referendum «Giustizia giusta».
Indipendentemente dalla formulazione dei quesiti, imperfetta e spesso incomprensibile, il messaggio sottostante è chiarissimo: occorre una rivoluzione copernicana del sistema giudiziario, perché il tempo sta per scadere.
Siamo ormai all’ultimo atto.
A trent’anni da Tangentopoli, siamo ben lontani dal progetto di ripristinare la legalità nelle istituzioni.
I rimedi messi in atto coi processi di Mani Pulite si sono rivelati peggiori del male che dovevano curare: la corruzione non è diminuita, come dimostra il caso del Mose a Venezia, anzi ha aumentato i suoi introiti.
Ma l’effetto collaterale più pernicioso è stato portare la Magistratura al controllo dei partiti e alla tutela del Paese, fino al punto di sovvertire il responso delle urne e modificare gli equilibri parlamentari.
Un’investitura permessa dalla subordinazione codarda della politica, che ha voluto assegnare alle toghe un ruolo salvifico e dirimente.
In questo modo alla divisione dei poteri, invocata dalla Costituzione, è subentrata invece la loro confusione pressoché totale.
Iniziamo a leggere parti del libro
-da pag.11. “”Trent’ anni fa l’ Italia assistette alla più radicale rivoluzione della sua storia repubblicana. Fu una rivoluzione pacifica, anche se colpì molte persone con le armi della carcerazione, dell’ eliminazione politica e della gogna mediatica. Ma fu il prezzo pagato da un Paese nel quale la corruzione e lo strapotere dei partiti avevano indignato l’ opinione pubblica, già afflitta dalla crisi economica. Il compito di incanalare questa ribellione in un percorso legale fu affidato alla Magistratura. E quel periodo che portò alla fine della prima Repubblica, venne chiamato indifferentemente con le espressioni di “Tangentopoli” e di “Mani Pulite”. Se tuttavia vogliamo aderire a questa singolare terminologia, è bene distinguere i due concetti. Il primo (“Tangentopoli”), esprime una realtà economico politica, cioè il generalizzato finanziamento illegale dei partiti accompagnato, e talvolta sostituito, dall’ arricchimento individuale. Il secondo (“Mani pulite”), concerne l’ intervento giudiziario che ha scoperto e sanzionato questa degenerazione. Tangentopoli era la malattia, e Mani Pulite la cura. Da un lato la corruzione è continuata e continua sia pure sotto forme assai diverse, la modifica della prescrizione, un vero e proprio mostro giuridico, è stata giustificata proprio da questo. Non solo la corruzione si è estesa, come ha dimostrato l’ inchiesta del Mose, perfino agli organi di controllo che avrebbero dovuto impedirla. Dall’ altro l’accumulo di prestigio e quindi di potere da parte della Magistratura ha determinato sia la subordinazione della politica, sia la degenerazione della stessa corporazione giudiziaria, culminata nello scandalo Palamara, subito superato da eventi ancor più gravi, che hanno coinvolto la Procura simbolo di Mani Pulite. Di questo triste epilogo il protagonista di allora, Francesco Saverio Borrelli, aveva fatto ammenda nel maggio del 2011, quando affermò che: “Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente, per cascare in quello attuale”. Purtroppo, l’illustre Procuratore si riferiva alla crisi della politica e all’estensione della corruzione. Non avrebbe immaginato che gli effetti perniciosi della “Ubris”(è l’equivalente nell’antica Grecia del nostro peccato originale) della Magistratura si sarebbero un giorno convertiti in una nemesi che ha travolto lo stesso ufficio un tempo da lui diretto con signorile competenza.””
– da pag.42. “Effetto domino della conduzione delle indagini: Pm, Gip, Pg.. Per chi non è esperto di processi penali è difficile comprendere come nell’arco di poche settimane il numero di indagati potesse passare a raddoppiare, poi triplicare e alla fine aumentare in modo quasi esponenziale. Lo stupore deriva piuttosto dal fatto che – come nel caso di Mani Pulite – gli imputati emergevano progressivamente in corso d’opera, mentre fino al giorno prima erano, per gli stessi investigatori, dei perfetti sconosciuti. Le ragioni di questa vera e propria reazione a catena sono sostanzialmente tre, così riassumibili: 1. la severità estrema dei P.M.; 2. L’adesione quasi incondizionata del Gip; 3. L’aiuto della tecnologia informatica. Ma prima di avventurarsi in questo mondo, per molti misterioso e comunque da tenere alla larga, sarà bene spendere due parole sulla cosiddetta “carcerazione preventiva”, cioè sul perché si possa finire ingabbiati prima della sentenza di condanna. La carcerazione preventiva, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, è subordinata ai tre requisiti, ormai noti a tutti, del pericolo di reiterazione del reato o di inquinamento della prova, oppure di fuga. A volte, però, è usata anche per placare l’allarme sociale. La prima e più frequente forma di arresto è quello operato dalla Polizia giudiziaria nella flagranza del reato. La seconda modalità è quella disposta dai due Magistrati con il sistema della cosiddetta “doppia chiave”: quella del Pm, che chiede la custodia cautelare e quella del Gip, che la concede. Questo accade quando, a seguito delle indagini della Pg, o nel corso di quelle fatte dal Pm, emergono gravi indizi di colpevolezza a carico di un soggetto, ed esiste almeno uno dei tre requisiti enunciati prima. Nel caso di Mani Pulite l’unico arresto in flagranza è stato quello di Mario Chiesa, nell’atto di ricevere la famosa mazzetta. Le altre centinaia di persone sono state incarcerate con il secondo sistema, cioè durante le indagini dei Pm e per l’ iniziativa di questi ultimi condivisa dal Gip.””
– da pag.56. Cusani: un processo politico, un evento mediatico (1993). Il secondo evento fulcro e apoteosi del pool di Mani Pulite, fu il processo a Sergio Cusani, braccio destro di Raul Gardini, rampante capitalista e maestro di baratterie finanziarie. In questo ruolo Cusani aveva distribuito ai vari partiti una gigantesca tangente di oltre 150 miliardi di lire per la cosiddetta vicenda “Enimont”, che non staremo qui a ricostruire. Arrestato, aveva mantenuto un dignitoso mutismo. Invece l’uomo chiese il giudizio immediato; cioè andare in aula entro poche settimane, e magari davanti alla televisione. E così infatti avvenne. Il Pm Antonio Di Pietro, ora ironico ora aggressivo, esibiva come Mike Bongiorno una studiata conflittualità con la lingua italiana, accaparrandosi le simpatie istintive di un popolo sempre sospettoso verso gli intellettuali. Quanto ai testimoni, alcuni, come Giuliano Amato, mantennero un’asettica compostezza. Altri, come Craxi, tentarono invano di coinvolgere il PCI e i suoi finanziamenti moscoviti. Altri, infine, come il povero Arnaldo Forlani, sbracarono nel balbettio: ancora oggi si ricordano le bavette sulle labbra del poveruomo, come il simbolo più significativo del messaggio subliminale di colpevolezza e di inaffidabilità. Abbiamo citato questi due episodi come più significativi perché rappresentano i due elementi che portarono alla crisi della prima Repubblica, la condanna di Cusani e successivamente di Craxi e di altri potenti deposti dalle sedi, non avrebbe costituito la fine, ma solo l’inizio di un’offensiva giudiziaria che si sarebbe intensificata con l’avvento inatteso – e sgradito – di Silvio Berlusconi.
La debacle politica. Dopo Tangentopoli abbiamo assistito non solo alla dissoluzione dei 5 Partiti storici protagonisti del dopoguerra, ma altresì alla ritirata precipitosa e codarda della politica davanti alle indagini della Magistratura e a quest’ultima si è spesso rimproverato un’ invadenza spregiudicata e aggressiva. Talvolta ideologicamente orientata, che avrebbe abusivamente condizionato le alte funzioni della politica. Qualcuno ha parlato persino di colpo di Stato giudiziario. Questo significa confondere l’ effetto con la causa. È infatti indubbio che l’ esito delle inchieste sia stato quello di sovvertire radicalmente il quadro politico consolidato in quarant’ anni di democrazia – eliminando il pentapartito che a fasi alterne aveva garantito il Governo – creando così i presupposti per una seconda Repubblica che peraltro non si è mai realizzata in modo netto e compiuto.””
– da pag.85. “”Scandali al sole. Corruzione permanente. Mazzette, sprechi, regalie: la marea dell’illegalità. Il primo fallimento della cosiddetta rivoluzione del 1992/94 è stato il ripetersi di crimini che alcuni speravano tramontati, o comunque diminuiti. Si pensava, infatti,che corrotti e corruttori avrebbero messo la testa a posto, dopo che le inchieste di Tangentopoli avevano dimostrato che la Magistratura era in grado di perseguire i livelli più alti della politica, dell’amministrazione, dell’imprenditoria e che non vi erano più zone franche per ricchi e potenti. Invece non è andata così. I recenti eventi di corruzione continuano a riflettere, senza mutamenti sostanziali, gli stessi incorreggibili vizi del nostro infelice Paese. I processi e le sentenze sui vari episodi hanno dolorosamente dimostrato l’estensione e l’ intensità di questo fenomeno pernicioso, che offende la legalità, umilia la concorrenza, aumenta i costi e gli sprechi, e si insinua in modo tentacolare persino tra gli organi di controllo che dovrebbero impedirlo e combatterlo. Tuttavia ci riconosciamo due meriti. Il primo, che la quasi totalità degli inquisiti è stata condannata o ha patteggiato la pena. Il secondo, che di tutte le intercettazioni eseguite durante l’indagine nulla è trapelato, e la privacy di chi è incappato è stata scrupolosamente salvaguardata. Quando tuttavia, all’inizio di questo secolo, si profilò la realizzazione del Mose, un gigantesco complesso di dighe mobili idonee ad arginare le alte maree, gli appetiti si risvegliarono. Si trattava di impiegare almeno quattro miliardi di euro, pari a 8000 miliardi di vecchie lire: una cifra colossale spiegabile solo con la necessità di salvare dalla progressiva distruzione Venezia, la città più bella del mondo, nel contempo di esaltare l’originalità e l’ efficienza della nostra tecnologia. Era un’ occasione troppo ghiotta per la grande voracità di alcune forze locali e dei loro referenti romani, anche se trovava un limite nella frammentazione di competenze e nella molteplicità degli organi deputati alle autorizzazioni e alla vigilanza. Non solo. A mano a mano che la disponibilità di denaro elargito da Roma aumentava, crescevano anche le richieste di enti paralleli, che attingevano finanziamenti per scopi più o meno encomiabili. Così la gigantesca marea di corruzione fu accompagnata da un’ondata di sprechi. Per i corrispondenti reati furono arrestati il Presidente della Regione (Forza Italia e centro-destra), il Sindaco di Venezia (del Pd e di centro-sinistra), oltre ad altri politici locali e imprenditori di ditte private e di solite cooperative. Solo la Lega ne era rimasta estranea. In compenso furono coinvolti alti esponenti degli organi di controllo: Magistrato alle Acque, Corte dei Conti, Guardia di
Finanza (in casa di un Generale delle Fiamme Gialle furono trovati 400.000 € sepolti in giardino). Se lo scandalo del Mose fu il più oneroso, non fu certo l’unico. Per carità di patria, e per ragioni di spazio, non citeremo le altre inchieste più o meno allarmanti, come quella dell’ expo di Milano.””
– da pag.149. “”Corruzione, malattia congenita del Bel Paese. Come abbiamo visto è una dolorosa realtà che la corruzione sia una malattia congenita apparentemente inguaribile del nostro paese. Se l’intimidazione, dunque, non può agire sui motivi della corruzione, occorre intervenire sugli strumenti che la rendono possibile. E questi strumenti sono, appunto, le leggi esistenti: numerose, ingarbugliate, contraddittorie, incomprensibili. Rallentando l’ iter amministrativo, sarà lo stesso imprenditore a capire che, prima o dopo, dovrà ungere le ruote e da vittima diventerà istigatore, anche se sarà stato il sistema a costringerlo ad attivarsi in modo illegale. Bisogna dunque ridurre – e soprattutto semplificare – le leggi esistenti, perché il corrotto, prima ancora che essere punito e intimidito, va disarmato: questo è il concetto fondamentale dell’ unica strategia vincente. Colpire i corrotti non serve a nulla: ci sarà subito chi occuperà quelle scrivanie vuote dei titolari, ma piena di pulsanti, e nemmeno servirà intimidire i nuovi arrivati, che pensano sempre di farla franca. Cosa fare allora? Occorre togliere tutti quei pulsanti che consentono di aprire, o chiudere a piacimento le porte cui bussa il cittadino. Se il cittadino deve bussare a 100 porte e invocare 1000 norme per ottenere una licenza, è inevitabile che il meccanismo si inceppi e qualcuno gli dica che deve ungere le ruote. Se deve bussarea una porta sola, invocando una legge chiara, saprà immediatamente chi e perché gli nega un provvedimento dovuto. E non ci sarà bisogno della prebenda.
Il Decreto spazza-corrotti. Il primo errore è stato il nuovo reato di concussione per induzione. Il tradizionale reato di concussione prevede che il pubblico ufficiale, abusando del suo potere, costringa qualcuno a dargli denaro o un’ altra utilità. Si tratta di un’estorsione qualificata, in cui, per fare un esempio, un Sindaco, un Ministro, un Magistrato – battendo il pugno sul tavolo – avverte l’ interlocutore che se vuole quella concessione, quell’ appalto o quella sentenza deve pagargli una tangente. Da un punto di vista penale e processuale, la conseguenza è intuibile: il concussore (cioè quello che pretende i soldi) è quello che commette il reato; il disgraziato costretto a pagare, la vittima. E mentre il primo, l’ imputato, rischia la galera, ma può anche trincerarsi nel silenzio (o addirittura mentire), il secondo, testimone e parte offesa, non rischia nulla, non deve andare dall’ avvocato, e soprattutto, quando viene interrogato dal giudice deve dire la verità. E cosa ha fatto il legislatore nel 2012? Nell’ ennesimo elan vital orientato alla purificazione del mondo, ha deciso che anche il poveretto indotto a pagare si meritasse di essere punito, e quindi lo ha reso incriminabile come concorrente nel reato. Questa strabiliante novità, iniqua perché colpisce una vittima e inutile perché non dissuade nessuno, ha in realtà eliminato quelle già scarse possibilità di individuare il concussore: perché, interrogando l’indotto non più come vittima ma come indagato, l’ investigatore si vede ora opporre un giustificato e lecito silenzio. Altra aberrazione è quella della figura dell’ agente sotto copertura. Questa bella pensata, oltre a essere ignobile sotto il profilo giuridico e morale, è anche assurda, perché questa “corruzione” sarebbe stata solo simulata e avrebbe costituito un “reato impossibile”. Abbandonata questa via, si è ripiegato sull’ Agente infiltrato: una figura che in effetti per certi reati funziona, ma si tratta di reati che coinvolgono parecchi individui, come l’ associazione mafiosa e quella terroristica, dove l’ infiltrato può confondersi tra i malviventi e smascherarli. Mentre la corruzione, come si è detto, è tutt’altra cosa: è un rapporto tra due persone, sole e circospette. E che farà l’ infiltrato? Si proporrà come portaborse di uno dei due? Evidentemente girerà a vuoto. Ancora tempo perduto. Concludiamo. Un sistema così obsoleto e imperfetto, costruito su un codice penale autoritario e su un codice di procedura penale sgretolato, asfissiato da una montagna di leggi speciali contraddittorie e inutili e amministrato da una giurisprudenza oscillante e vagabonda, non può essere riformato, né parzialmente corretto, da riforme episodiche. Occorre un’iniziativa coraggiosa e quasi rivoluzionaria, che può derivare solo da una mobilitazione popolare. Non è pensabile che un Governo, per quanto autorevole, possa scardinare un meccanismo arrugginito, e tanto meno che possa farlo un Parlamento – o almeno questo Parlamento – logorato dalle rivalità, minato dall’incompetenza di una maggioranza vociferante. Questa volontà popolare può esprimersi, entro un ragionevole futuro, nella forma del referendum.””
Sin qui parti del libro.
Conclusione. Premetto di aver avuto, durante il mio triennio di comando della Regione CC Veneto in Padova (2006/09) l’onore di conoscere il grande Magistrato Carlo Nordio, unitamente ad altri autorevoli Magistrati con nomi che hanno segnato la storia della grande Giustizia, quali Vittorio Borraccetti, che ha lavorato in particolare ad indagini e processi sul terrorismo, prestando servizio quale Procuratore nazionale antimafia aggiunto, curando tra l’altro il coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata nelle regioni del Nord Est divenendo dopo Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Venezia. Come non ricordare il sommo Pietro Calogero, Procuratore Capo di Padova e poi Procuratore Generale presso la Corte d Appello di Venezia…? Con tutti ovviamente ho intrattenuto interessanti conversazioni.
Ciò premesso, torniamo all’argomento trattato. Il nuovo Parlamento di nominati, per il cui rinnovo con molte perplessità voteremo a breve, formato si spera da persone capaci e preparate, avrà molto da lavorare nelle Commissioni e nelle Aule per porre rimedio allo sfacelo di legalità esistente in Italia per raddrizzare una volta per tutte questa nostra Italia! Lavoro, Istruzione, Sanità e Sicurezza dovranno essere le linee principali della nuova Politica, si spera! In ultimo, che si ratifichino subito, senza ingiustificabile indugio – soprattutto oggi che la gente è preoccupata da una crisi economica ampliata dal biennio covideo e da un mese allarmata da tematiche di guerra che coinvolge tutto e tutti, e che proprio non riesce a spiegarsi perché poco o niente si fa per colpire Mafie e faccendieri organizzati. Eppure, noi Italiani, di Mafie ne dovremmo sapere qualcosa, con ben quattro Regioni condizionate da Criminalità stanziali storicamente radicate, oggi espanse, come noto, oltre i confini di origine ed anche all’estero. Detto questo, certamente non si potrà riformare la Giustizia con il solo e unico tentativo assurdo di attaccare i Magistrati con nefandezze scellerate, che certamente non onorano la Politica, che sebbene oggi modesta, è espressione certamente non felice di un’Italia che, in passato anche non lontanissimo, è stata culla di sapienza, arte, somma cultura e, soprattutto, diritto!
Da Liberale, libero cittadini libero pensatore ho più volte trattato questi importanti argomenti traendoli da numerosi libri letti.
Recentemente, del Magistrato Nino Di Matteo e Saverio Lodato, “I NEMICI DELLA GIUSTIZIA” (edito da Rizzoli) che mettono in luce quei mali che hanno fatto sprofondare in basso la Magistratura. Per questo vi sono capitoli dedicati alla molto malvista riforma della giustizia Cartabia o al prossimo referendum che torna a proporre questioni come la separazione delle carriere o la responsabilità civiledei Magistrati. Per chi avesse interesse, mio articolo su questa testata di cui è Direttore il giornalista Salvatore Veltri: (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/i-nemici-della-giustizia-il-libro-di-nino-di-matteo-e-saverio-lodato-52473/)