Roma, 29 novembre 2021 – Il Magistrato Nino Di Matteo e Saverio Lodato hanno scritto un nuovo libro: “I NEMICI DELLA GIUSTIZIA” (edito da Rizzoli) che mettono in luce quei mali che hanno fatto sprofondare in basso la Magistratura.
Per questo vi sono capitoli dedicati alla riforma della giustizia Cartabia o al prossimo referendum che torna a proporre questioni come la separazione delle carriere o la responsabilità civile dei Magistrati.
Un libro che illustra eventi di una “giustizia uguale per tutti” con collegamenti tra Magistratura e poteri forti.
Riferisce Di Matteo durante un’intervista: “Non possiamo far finta che questo momento non sia uno dei più bui della storia della Magistratura”. I mali diffusi come metastasi nel corpo della giustizia sono il correntismo, la corsa sfrenata alla carriera, la gerarchizzazione degli uffici di Procura e il collateralismo con la politica. Non possiamo far finta di stupirci. Dobbiamo indignarci e non nascondere la verità. Sono tanti quelli che vogliono approfittare di questo momento difficile per regolare i conti con i Magistrati che hanno saputo esercitare il controllo di legalità anche sul potere finanziario e politico.
Di Matteo non ha risparmiato critiche alla riforma della giustizia fortemente voluta dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia. Tanto che nel libro vi è un intero capitolo.
“La ritengo una delle peggiori riforme degli ultimi 30 anni – ha detto con fermezza -L’Europa chiedeva di accelerare i processi ma se fosse stata in vigore la riforma Cartabia, processi importanti come quello per il crack Parmalat, la strage di Viareggio o per le violenze nella scuola Diaz di Genova nel 2001, si sarebbero conclusi nel nulla. Questa normativa presenta per me aspetti di evidente incostituzionalità. Il primo piano in tal senso era quello di Rinascita Democratica di gelliana memoria. Poi è diventata una bandiera di Forza Italia e del centrodestra nella seconda repubblica. La separazione delle carriere porterebbe, se non immediatamente in maniera inevitabile, alla sottoposizione del PM all’esecutivo e comunque consacrerebbe una figura del PM estranea alla cultura della giurisdizione”
Iniziamo a leggere come di consueto parti del libro.
-da pag.9. “”Introduzione. Le belle storie si raccontano da sole di Saverio Lodato. Elementare. Troppo elementare per essere vero. In Italia, infatti, le leggi si annullano fra loro affermando, spesso, l’una il contrario dell’altra. I codici risentono, quasi annualmente, di ritocchi, modifiche, amputazioni, stravolgimenti, rettifiche o arricchimenti che siano. I processi si fanno nelle aule di giustizia, ma, altrettanto inesorabilmente, in televisione e sui giornali. Le pene, infine, c’è chi le condivide e chi non le condivide, ma, in linea di massima, si fa il possibile per non espiarle, per rimandarle alle calende greche, metterle in discussione. Non sappiamo se l’Italia sia un paese normale. Nelle pagine che seguono troveremo più volte un riferimento, all’apparenza pomposo, ai “Padri costituenti” della Repubblica italiana. Si mossero, di conseguenza, mettendo tra parentesi diversità e interessi di parte. Ma erano anche persone che conoscevano il mondo del diritto, che prima di parlare e scrivere avevano studiato, che sapevano tutto quello che gli Italiani si sarebbero dovuti lasciare alle spalle, l’autoritarismo, in primis, per vivere finalmente in una democrazia piena e compiuta. Soprattutto, parlavano a ragion veduta. Quando sentiamo, al giorno d’oggi, sciorinare gli stessi argomenti, chiediamoci sempre se i politici che passa il convento – e non si vogliono qui fare eccezioni o distinzioni di parte – siano degni eredi di quei padri. Il lettore lo avrà già intuito: a Di Matteo il Sistema non piace. Per niente. Lo delude e lo angoscia profondamente. E tutto poteva aspettarsi una volta eletto, tranne di ritrovarsi in un simile ingranaggio. In altre parole considera il Sistema quasi uno sfregio alla visione che lui aveva della Magistratura quando per la prima volta indossò la toga in anni ormai lontani.””
-da pag.133.Si fa presto a dire Cartabia. La chiamano “riforma della giustizia” una specie di araba fenice che da decenni segna la gente di ogni Governo. Finora gli italiani non ne hanno capito granché. “”Negli ultimi trent’anni, a partire dall’entrata in vigore nel 1989 del nuovo Codice di Procedura Penale, il cosiddetto “Codice Vassalli”, abbiamo assistito a un continuo, incessante, seppure parziale e non organico mutamento delle regole sia nel campo del diritto penale sostanziale sia nel campo del diritto penale processuale. È come se una materia così delicata fosse perennemente in discussione dalle emergenze del momento e dalla prevalenza, nell’agone politico, di maggioranze e governi di diverso colore.””
È un giudizio pesante. “”Dico soltanto che parlare della riforma Cartabia come di una riorganizzazione organica della giustizia, attribuire un’importanza generale alle modifiche introdotte, parlare pomposamente di una riforma epocale è del tutto sganciato dalla realtà. Il progetto Cartabia non è un progetto di riforma organica, nemmeno del solo processo penale, giacchè non interviene su aspetti essenziali.””
Faccia qualche esempio.“”Penso alla disciplina delle intercettazioni, a quella delle misure cautelari, a tutta la tematica fondamentale del dibattimento di primo grado. Quella di Cartabia non è una riforma del sistema processuale e penale anche se incide a mio avviso in maniera pericolosa e negativa su alcuni aspetti del processo penale. Secondo me non ottiene lo scopo per il quale il Governo afferma di averla adottata. E la mia opinione è confortata non solo da giudizi analoghi espressi da molti Magistrati esperti, sia requirenti che giudicanti, ma anche dal parere che il CSM ha approvato nel plenum del 29 luglio scorso.””
Quale sarebbe questo scopo? “”Rendere più celere il giudizio penale, più certi i suoi tempi, cercare di diminuire in qualche modo l’enorme, incontrollabile numero di processi penali che schiacciano e rendono insostenibile e insopportabile il lavoro quotidiano delle Procure e dei Tribunali italiani. Il sistema della riforma non segue una direzione chiara per accorciare i tempi di accertamento della verità processuale. Non si stabiliscono regole che rendano più veloce l’istruttoria dibattimentale. Ovvero che recuperino come elemento di prova, a certe condizioni e con le dovute garanzie difensive, quanto è stato compiuto e acquisito nella fase delle indagini preliminari, rendendolo cioè utilizzabile ai fini del giudizio.””
Se dovesse indicare il rischio peggiore rappresentato da questa riforma? “”La discrasia tra il fine dichiarato e il risultato raggiunto, e le disposizioni relative al regime dell’improcedibilità, stabilito per la durata eccessiva del giudizio di appello e del giudizio di legittimità davanti alla Suprema Corte. La scelta dell’improcedibilità per le fasi successive al primo grado, è infelice. Una vera e propria prescrizione processuale assolutamente estranea alla nostra cultura giuridica e agli equilibri complessivi del nostro sistema. E nei prossimi anni rischia di dare luogo, come da più parti autorevolmente evidenziato, a gravi dubbi di legittimità costituzionale e di contrasto con la giurisprudenza europea. L’Europa vuole che i processi si facciano e si concludano nel merito in tempi ragionevoli. Invece si prevede un meccanismo per il quale, allo spirare di un termine biennale in Appello e annuale in Cassazione, senza che si sia arrivati al giudizio, il processo si estingue definitivamente.””
Il processo va in fumo. È questo che vuole dire? “”Si. L’imputato, sia quello condannato in primo grado, sia quello assolto, non saprà mai se il primo verdetto era giusto e fondato su una corretta valutazione delle prove. Per non parlare delle parti offese, di quanti si sono costituiti parte civile, dei parenti delle vittime di reati gravi come, fra i tanti altri, i disastri colposi, le estorsioni, gli atti violenti diretti contro le persone, i reati contro la pubblica amministrazione. Nessuna vittima, neanche quella che si è esposta al punto tale da denunciare per prima fatti illeciti gravi, potrà avere la certezza che un processo si concluda con una decisione nel merito. Ecco perché il meccanismo dell’improcedibilità segna una grave sconfitta per la giustizia e per l’aspettativa che i cittadini devono continuare a nutrire nei suoi confronti. In un sistema democratico mandare in fumo i processi equivale ad affermare che la giustizia non è in grado di fare il suo corso.””
La giustizia come una sentenza che non c’è. “”È il nuovo paradosso. Mandare in fumo un processo, negare alla collettività una sentenza di merito che definisca in termini di colpevolezza o innocenza la posizione dell’imputato, aumenterà esponenzialmente il senso di impunità dei criminali. E rafforzerà il potere di chi, come in primo luogo le organizzazioni mafiose, dimostra da sempre la capacità e la forza di porsi violentemente quale regolatore di conflitti che la giustizia non riesce a comporre. L’esperienza che ho maturato il 25 anni trascorsi nelle Procure Distrettuali Antimafia e alla Procura Nazionale Antimafia mi induce a ritenere che anche molti processi per gravi reati di mafia, se questa riforma fosse stata in vigore quando si sono tenuti, si sarebbero estinti in appello. Soltanto in extremis, prima dell’approvazione della riforma alla Camera dei Deputati, abbiamo assistito a una opportuna, ma pur sempre parziale, retromarcia del Governo.””
Un piccolo miracolo dell’ultimo momento? “”Dice bene. Soltanto in extremis, e in riscontro alla posizione espressa dal Consiglio Superiore della Magistratura e da molti Magistrati antimafia, sono stati stabiliti termini più lunghi, e prorogabili con provvedimento del Giudice, rispetto a quelli previsti per gli altri processi. Il rimedio è utile, ma non risolutivo. È proprio della struttura del processo di mafia, soprattutto in appello, che possano emergere nuove prove, e si debbano ascoltare nuovi collaboratori di giustizia, e si debbano acquisire intercettazioni da altre indagini e da altri processi. Sono tutti fattori che non rendono comunque prevedibile la durata del processo e in particolare dei maxiprocessi in appello. E non sempre ai Giudici sarà possibile disporre proroghe dei termini. L’idea stessa che anche un solo processo di mafia possa saltare, perché il giudizio di appello è durato troppo, è un’offesa al concetto fondamentale dell’irrinunciabilità del contrasto giudiziario alla mafia. Pensi a un processo che magari in primo grado si è concluso in un solo anno, e che poi per esigenze processuali non prevedibili e sopravvenute, in secondo grado duri tanto da far scattare la decisione di improcedibilità. C’è di più. Il passo indietro ha riguardato in maniera quasi esclusiva i reati di mafia e terrorismo. Ma rispetto alla prima stesura il quadro è rimasto invariato relativamente ad altri processi, che comunque riguardano reati gravi e fatti pesantemente lesivi dei diritti e delle aspettative di tutti i cittadini.””
Il suo collega Nicola Gratteri ha affermato che questa riforma è figlia di chi non ha mai messo piede in un’aula di giustizia. Giudizio eccessivo o da sottoscrivere? “”Il giudizio l’ho già dato. Gratteri ha evidenziato un dato di fatto che credo sia incontestabile. La formazione culturale della Ministra Cartabia, di elevatissimo spessore e di grande preparazione tecnica, è quella che nasce dall’accademia, dall’approccio scientifico. Ma quella esperienza di altissimo profilo non ha mai incrociato la faticosa quotidianità delle aule dei Tribunali. Forse anche per questo la sua riforma non sembra tenere in debito conto un dato fondamentale emerso dalle statistiche: in gran parte dei distretti italiani fra cui Roma e Napoli, una percentuale superiore al 50% dei processi d’appello, in materia penale, non si riesce a concludere nei tempi previsti e, con la nuova legge, sfocerebbe nella declaratoria di improcedibilità. La Ministra della Giustizia, prima di portare avanti una riforma così drastica, avrebbe dovuto confrontarsi con quei dati. A meno che non li abbia ritenuti la conseguenza della negligenza e della volontà dei Magistrati di non voler portare a termine i processi. Se così fosse, quel giudizio sarebbe ingeneroso nei confronti della stragrande maggioranza dei Magistrati che lavorano con sacrificio e impegno, in condizioni di estrema difficoltà.””
– da pag. 219. Stiamo arrivando alla conclusione del nostro dialogo. Abbiamo detto che le responsabilità dello Stato, nell’interminabile stagione di sangue firmata dalla mafia, non sono state processualmente accertate. Saranno forse i posteri a capire perché ancora, dopo oltre un secolo e mezzo, la mafia sia viva e vegeta. Il terrorismo invece è stato sconfitto dalle leggi e in nome della Legge. “”La reazione contro la mafia da decenni e decenni, è stata invece ondivaga, ipocrita, ed efficace solo contro il livello militare dell’organizzazione. Un fenomeno, quello mafioso, “accettato” quando non fa troppo rumore. Con il quale molti, troppi, pensano che si debba convivere in silenzio, se non addirittura fare affari. Lei faceva riferimento all’acquolina in bocca di chi vorrebbe prendere la palla al balzo per chiudere la partita. Vorrei che avesse torto ma non è così. Siamo in presenza di un vero e proprio istinto vorace di chi ha capito che questo è il momento giusto. E la Magistratura non sa o non vuole reagire come dovrebbe. Rischia di limitarsi a subire per evitare conseguenze peggiori. Senza rendersi conto che, così facendo, muore ogni giorno di più. Ma la Magistratura saprà reagire superando anche questo momento. È la forza delle cose. Non esiste al mondo un Paese civile che possa fare a meno di giustizia, legalità e Magistrati che le facciano rispettare.””
Giudice Di Matteo, continui a fare la sua parte. Così termina Saverio Lodato
Ora come di consueto integrazioni e conclusioni.
Premesso ciò, ora tuffiamoci in un passato lontano rigeneratore, quale antidoto per la modestia della politica dell’oggi, ricordando l’ On. Luigi Dari, insigne giurista marchigiano, ancora molto ricordato nelle Marche e nella prestigiosa Università di Camerino. Camerino, una Città che ben conosco cui sono legato da alti sentimenti affettivi. Luigi Dari, nelle funzioni di Guardasigilli, presentò alla Camera una complessa riforma del processo civile, reintroducendo la collegialità dei Tribunali nelle cause di prima istanza, con l’abolizione del Giudice Unico introdotta con Legge del 1912 che aveva evidenziato vistose criticità. Dari, nella circostanza, non sottovalutò che il dispositivo del sistema collegiale era reso difficoltoso dalla carenza di Magistrati, che aveva già portato a ridurre la composizione delle Sezioni delle Corti d´Appello, in materia civile, da cinque a tre Giudici; da qui, la necessità di aumentare il numero complessivo dei Magistrati d´Appello di cinquanta unità e di quelli di Tribunale di ben duecento. Venivano, inoltre, immessi nelle mansioni giurisdizionali ulteriori quarantanove Giudici per le importantissime funzioni di Pretore (figura fondamentale dell´ ordinamento giudiziario, abolito dal nuovo Codice di Procedura Penale del 1989); non mancò, ancora, il provvido Ministro, di accordare ai Magistrati compensi economici e vantaggi di carriera, grazie ai nuovi inserimenti in ruolo. Attesa l´urgenza di nuovi Magistrati, per evitare le lungaggini dei concorsi tradizionali, all´epoca particolarmente complessi, il Ministro autorizzò, in via eccezionale, sia l’anticipata immissione nella funzioni degli Uditori Giudiziari con almeno sei mesi di tirocinio, sia un concorso per gli Avvocati con non più di trent´anni d´età, iscritti all´Albo da almeno due anni, alla stregua di analoghe similari esperienze maturate con successo in Francia, Inghilterra e Germania. Non fu trascurato, infine, di implementare di cento unità il ruolo dei Cancellieri, con la creazione di venti Ispettori di Cancelleria per la vigilanza sulla correttezza delle spese di giustizia, ritenendo ciò molto proficuo per l´erario. Per lo studio e l´approfondimento delle varie problematiche, il Guardasigilli istituì Commissioni della Camera dei Deputati, del Senato del Regno e della Suprema Corte di Cassazione, tenendo ben conto del parere dell´Ordine Forense. Il 3 luglio 1914, l´ambizioso progetto recante “Disposizioni riguardanti il personale della Magistratura e delle Cancellerie giudiziarie” diveniva Legge dello Stato. Per fare tutto questo, Luigi Dari impiegò, appena, tre mesi! E ciò la dice lunga sulla serietà, la capacità, la concretezza e l´altissimo senso dello Stato delle classi politiche e di Governo di quell´epoca lontana, proprio tanto lontana…
CONCLUDO: DA LIBERALE, LIBERO CITTADINO, LIBERO PENSATORE NON MASSONE, DICO CHE IL LIBRO DI SAVERIO LODATO VA ASSOLUTAMENTE LETTO, SOPRATTUTTO DAI GIOVANI! LA GENTE COMUNE DEVE SAPERE!!