“La precarizzazione non è soltanto la diffusione dell’ incertezza. E’ uno strumento psicologico e ideologico di governo della forza lavoro. Essa non è soltanto la condizione sociale di incertezza e di sudditanza al mercato, che oggi colpisce la stragrande maggioranza dei lavoratori salariati di tutto il mondo, ma un processo culturale e politico con il quale si impone al lavoratore di rinunciare alla difesa collettiva dei propri interessi e di competere individualmente con tutti gli altri. La precarizzazione è la diffusione della rassegnazione e della paura. Noi non siamo precari perché mancano le cattedre, ma siamo precarizzati dallo Stato perché su ognuno di noi si risparmiano 9.000 euro all’anno! Altrimenti non si comprendono le decine di migliaia di incarichi a tempo determinato stipulati dal MIUR ogni anno! Il precariato è, quindi, un REATO DI STATO! Perchè in tutti questi anni lo Stato ha reiterato più volte contratti a tempo determinato, contravvenendo alla direttiva comunitaria 1999/70/CE, che prevede la stabilizzazione dopo tre contratti a tempo determinato continuativi!””.
Al Professore amareggiato perchè precario, anche a nome dei lettori di questo giornale che si riconoscono nel pensiero del grande Gaetano Salvemini, va tutto il sostegno morale possibile anche perché conosciamo le loro sacrosante ragioni, che in breve raccontiamo. Tralasciando i guasti del passato e venendo a tempi molto recenti, sappiamo che a giugno 2011 molti dirigenti di Scuole Medie Statali hanno denunciato bilanci in rosso e che 376 Presidi dell’ASAL (Associazione delle Scuole Autonome del Lazio) hanno inviato una lettera a migliaia di genitori denunciando il “più imponente taglio nella Scuola della storia repubblicana dal dopoguerra”, mentre gli studenti del Liceo “Modigliani” di Giussano, in Lombardia, hanno deciso di corrispondere lo stipendio a dieci docenti precari non pagati da tre mesi, prelevando 10mila euro dal fondo volontario delle famiglie grazie ad iniziativa concordata con il Preside che non sapeva come far fronte ai supplenti. Sappiamo pure, venendo all’oggi, che è stato bandito un concorso per docenti, proprio un grande evento un concorso dopo ben quindici anni!, con 321 mila domande per 11 mila posti, ma dalle previsioni si ipotizza che vincerà solo uno su 28 concorrenti, come si sa pure che i candidati sono prevalentemente donne, meridionali, e quarantenni e che due su tre dei concorrenti non proviene dalle graduatorie ad esaurimento. Insomma, un concorsone che potrebbe trasformarsi in una grande illusione, prima, e un’altrettante grande delusione, dopo. Sappiamo altresì che i precari della scuola sono consapevoli del limitato numero dei posti, ma soprattutto del fatto che quanti hanno già conseguito faticosamente un’abilitazione all’insegnamento sono coscienti di aver già superato da anni una severa selezione, per cui gli sarà difficile ricominciare da zero dopo dieci o più anni. Di converso, delusione anche per i più giovani che sono rimasti esclusi in quanto laureati dopo il 2001 (infatti le regole del concorso escludono i laureati degli ultimi dieci anni), quindi deprivati del diritto costituzionalmente garantito a partecipare a un concorso pubblico. Siamo al corrente, infine, dell’ ultima incredibile “trovata” di questo Governo con cui si tenta di porre parziale riparo alle dismissioni di ben 50 mila appartenenti alle FFAA, prevedendo la riserva del 30% dei posti, nel concorso in parola, ai volontari congedati. In queste ore, infatti, è in corso una campagna di informazione a cura delle Sezioni Collocamento ed euroformazione dei Comandi Militari dell’ Esercito, affinché il maggior numero di volontari venga a conoscenza dell’informazione che è giunto a pochi giorni dalla scadenza del bando di concorso, il 7 novembre. Cosa dire al riguardo? Ben nulla! La notizia si commenta da sé; quel che rammarica è la considerazione del basso concetto che la politica continua ad avere per la nostra Scuola, alla quale affidiamo Figli e Nipoti. Ma dopo le note amare, ora una lezione di coraggio a questa nobile genìa dei precari delusi della Scuola, categoria che definirei una delle perle nostrane perché forgiata sull’ingegno studioso e non già sui criteri della furbizia dei modesti e dei mediocri incolti e illetterati, qualità, queste, oggi quanto mai portate come bandiera e ragione di vita, proprio perchè ispirate da una politica politicante vocata alle Cupole nere e grigie del malaffare. Così, nel rivolgerci a loro, ai Precari della Scuola, offriamo una boccata d’aria pura chiamando in causa l’alto magistero di Gaetano Salvemini, al cui ricordo è legato il “Movimento Gaetano Salvemini”, creato a Roma nel 1962, su volontà di 200 esponenti della cultura, della politica e delle istituzioni, con l’obiettivo di promuovere e sostenere l’azione e gli ideali del grande intellettuale, storico e politico scomparso nel 1957. Com’è noto ai nostri lettori, ma soprattutto al mondo della cultura e delle Istituzioni, il Movimento ha recentemente celebrato i suoi primi 50 anni, per iniziativa del nipote, il prof. Cosmo Sallustio Salvemini che da 32 anni guida il Movimento dedicato all’azione e alla vita di uno dei Padri Nobili della Repubblica, con manifestazione nella sala della Protomoteca in Campidoglio. Ebbene, a questi Precari della Scuola italiana (che è istituzione che ha i suoi cardini nel pensiero di giganti della cultura quali Giovanni Gentile e Benedetto Croce) dedichiamo quali auspicio, viatico e perentorio invito a non arrendersi né demoralizzarsi, parti di una lettera di Gaetano Salvemini all’amico Carlo Placci del 15 giugno 1898. “”A questo mondo si rassegna solo chi non ha bisogno di fare altrimenti. La rassegnazione è la filosofia di chi non è obbligato a lavorare sempre col dubbio di perdere il lavoro, a lottare sempre col dubbio di rimanere sconfitto nella lotta, a dormire sempre col dubbio di svegliarsi e di trovarsi affamati. La rassegnazione è la filosofia dei soddisfatti. La ricchezza fra gli altri vantaggi che procura, procura anche quello della rassegnazione. Io credo che se Lei da bambino avesse sofferta la fame e l’avesse sofferta in compagnia dei Suoi fratelli e della Sua mamma, se Lei dovesse vivere sempre nell’incertezza del domani, se Lei dovesse vedere davanti a sé sempre la minaccia di vedere i Suoi figli soffrire la fame, come Lei la soffrì quando era bambino, io credo che la filosofia della rassegnazione non sarebbe fatta per Lei. Obbligato a lottare ogni minuto, finirebbe col prendere l’abitudine alla lotta, finirebbe col dare gran valore a ogni piccolo sforzo che dovrebbe fare a ogni momento per allontanare il dolore e per avvicinarsi alla felicità, finirebbe col convincersi che l’uomo non deve sospendersi al filo tenue del soprannaturale, mentre la bufera della vita minaccia di travolgerlo. Io vorrei essere un rassegnato, ma non posso. Quand’anche riuscissi a diventare un arciricchissimo e vedessi con sicurezza l’avvenire mio e della mia famiglia, io continuerei ad essere sempre un ribelle, perché il mio cervello in venticinque anni di vita oramai ha preso la sua forma. Forse vedrei i miei figli godere dei frutti del mio lavoro e fare i rassegnati, perché nascendo troverebbero la culla piena di fiocchi di cotone, mentre io l’ho trovata piena di torsi di granturco”.
Concludendo questo contributo di solidarietà affettuosa e partecipata a questi Precari della Scuola italiana, prendendo a prestito il titolo di una rivista fondata sempre dal Salvemini, diciamo a voce alta: ” NON MOLLARE!”.