Piero Corsini, in Rai dal 1986, collaboratore di Giovanni Minoli è l’ autore di «I terroristi della porta accanto», un interessante libro-inchiesta, Newton Compton editore, pubblicato il 9 luglio scorso; un libro, frutto di anni di lavoro e d’indagine psicologica oltre che giornalistica, con le ultime notizie su uno dei grandi misteri d’Italia, la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Si racconta la vicenda di Fioravanti e Mambro, che furono risucchiati dalla follia di un’epoca e da una concezione violenta e perversa della politica. È la storia del terrorismo nero conosciuto come «spontaneismo armato», uno squarcio di un’epoca difficilissima e travagliata, la follia di lunghi anni difficilissimi e travagliati con una concezione violenta e perversa della politica.
Francesca Mambro e Valerio Fioranti sono stati condannati all’ergastolo per la strage di Bologna. Loro hanno ammesso molti altri crimini, ma hanno sempre respinto questa accusa e continuano a dirsi innocenti. È stato un processo basato su indizi che non ha retto al dibattimento.
Anche per Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, da anni liberi, come per gli altri detenuti, “la libertà condizionale è un vero e proprio diritto e non una concessione né una non giustificabile rinuncia dello Stato all’ulteriore esecuzione della pena detentiva inflitta con la sentenza di condanna”. Sono le parole con cui alla Camera il Sottosegretario alla Giustizia rispose alle obiezioni di legittimità di Paolo Bolognesi, Presidente dell’ “Associazione vittime del due Agosto”.Per la libertà condizionale, dopo la condanna all’ergastolo, bisogna aver scontato almeno 26 anni della pena inflitta e avere avuto un comportamento che faccia “ritenere sicuro” il ravvedimento. Spetta all’autorità penitenziaria attestare “una condotta assolutamente incensurabile” e a un Giudice valutare “l’evoluzione psicologica e culturale del condannato rispetto al crimine commesso”.
Iniziamo l’esame del libro.
-da pag. 47…””Roma 1973-76 – Il contesto di Francesca Romana Mambro è quello dell’Istituto magistrale Oriani. Lei ci arriva dalla zona di piazza Bologna, dove vive con i genitori e i fratelli. È nata a Chieti, il 25 aprile 1959. Il padre, Antonio, è un Maresciallo di Polizia, la madre, bada alla casa. “Mio padre ci raccontava delle manifestazioni, degli scontri tra i celerini e quei ragazzi che, in nome del comunismo, alla fine tiravano sassi e sprangavano dei poveracci sottopagati come lui, che prendeva uno stipendio da fame”.De La famiglia Benvenuti, Andrea – “Giusva” Fioravanti, diventa in Tv il punto focale dell’attenzione e dei sorrisi delle mamme e dei papà che si incollano al televisore con i figli.
A via Sommacampagna,che nel frattempo è diventata la sezione che fa da coordinamento cittadino, dice la Mambro, si ritrovano gli studenti di tutta Roma: “In sezione conosco dei ragazzi simpaticissimi: vengono definiti “picchiatori”, mentre per noi sono i gruppi operativi, il servizio d’ordine dei cortei, che poi è anche quello che garantisce la piazza, lo svolgimento regolare del comizio, la protezione dagli attacchi dei “compagni” con le molotov, per cui sono un nucleo fondamentale. Siamo fedeli al Partito, ma la contestazione già serpeggia: la politica ufficiale del Movimento Sociale ci appare legata solo all’anticomunismo – proprio come a sinistra, in quegli anni, si parla solo di antifascismo”. Quando uccidono Mikis Mantakas, il 28 febbraio 1975, Francesca Mambro è in prima fila ad organizzare una colletta per far riportare la salma in Grecia e Mario Zicchieri, “Cremino”, ucciso il 29 ottobre ’75, è un suo amico. La Mambro le armi le ha viste una volta quando, neanche quindicenne, un amico gliele ha date da custodire; altrimenti in lei l’immagine delle armi è legata a quella pistola che il padre, ogni volta che torna a casa smontando il servizio, nasconde nel ripiano più alto, per impedire che i figli piccoli ci possono arrivare.
Per la morte di Pedenovi (Avvocato, iscritto al MSI, l’ omicidio fu rivendicato dai Comitati Comunisti Rivoluzionari, vicini a Prima Linea) i giovani missini romani organizzano dei blocchi stradali. Ad uno di questi viene arrestata Francesca Mambro: “Mio padre impazzì per il dolore, perché vide confermate le sue peggiori paure. Ad arrestarmi a casa vennero i suoi colleghi; lui volle accompagnarmi in Questura”.
Il 28 maggio 1976 a Sezze Romano, un Parlamentare missino, Sandro Saccucci, è restato coinvolto in una sparatoria nel corso della quale muore Luigi De Rosa, un giovane della FGCI. Tra i partecipanti gli inquirenti identificano anche (il noto) Franco Anselmi. L’episodio, scrivono Mario Caprara e Gianluca Semprini, contribuisce “ad allontanare dai “vecchi” del Movimento sociale. Franco Anselmi si sente più vicino a quella generazione che incontra nell’aula scolastica più “nera” di Roma”, cioè quella del Tozzi, dove è compagno di Valerio Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Massimo Carminati. Si fa vivo anche Ordine nuovo. Originariamente
fondata nel 1956 da Pino Rauti e Clemente Graziani, in segno di protesta contro il MSI di Alberto Michelini, giudicato troppo appiattito sulla D.C., l’organizzazione si ispira al fascismo della repubblica di Salò e al nazismo delle SS. L’organizzazione però finisce nel mirino di Vittorio Occorsio, l’unico PM ad occuparsi a Roma di eversione nera, che il 31 marzo 1971, sulla base della legge Scelba e del divieto di ricostituire il partito fascista, spicca un ordine di cattura contro Clemente Graziani ed altri. Il 23 novembre 1973, due giorni dopo la sentenza di condanna al processo contro Graziani e gli altri imputati, il Ministero dell’Interno scioglie per decreto Ordine nuovo: da questo momento in poi, il gruppo esisterà solo in clandestinità. Dalla clandestinità (e da una latitanza in Spagna non priva di ombre) emerge Pierluigi “Lillo” Concutelli, che il 10 luglio 1976 consuma la vendetta contro l’odiato magistrato, Vittorio Occorsio””.
– da pag. 69…””Al FUAN di via Siena, intanto, si prepara un cambio della guardia: “Ad un certo punto”, ricorda la Mambro, “i dirigenti dicono: “Noi vogliamo restare nell’ambito istituzionale, vogliamo sposarci, fare carriera”. È il germe dei NAR, i Nuclei armati rivoluzionari. “I NAR”, spiega Valerio Fioravanti, “nascono dall’incontro di due correnti diverse: quella “sociale” di Francesca, che appunto era più attenta ai problemi della gente, e la corrente più attivista, che aveva voglia soprattutto di agire. A Roma i nuovi rivoluzionari di destra si sparpagliano per la città lanciando bottiglie molotov contro sedi di partito e quotidiani. La prima telefonata di rivendicazione della storia dei NAR spetta a Francesca Mambro: è il 30 dicembre 1977, il battesimo di fuoco dei NAR chiude l’anno più violento dal 1968. Il vero punto di rottura fu Acca Larentia.
Il 7 gennaio 1978, sul finire del pomeriggio, Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni, attivisti del Movimento sociale, vengono uccisi sulla soglia della sezione di Acca Larentia, al Tuscolano, mentre stanno attaccando dei manifesti contro il caro-vita. Il primo ha 18 anni, il secondo 19: muoiono
impugnando colla e pennello. Roma 28 febbraio 1978. Ma non basta, non può bastare. Appena Fioravanti arriva a Roma, gli dicono che i responsabili della morte di Ciavatta e Bigonzetti sono stati individuati: sono ragazzi di sinistra, ovviamente, che gravitano intorno ad un circolo sociale all’internodi una casa occupata, in via Calpurnio Fiamma, al Tuscolano. È arrivato il momento di onorare il giuramento silenzioso di Acca Larentia. I “camerati” saranno vendicati: e la vendetta sarà consumata il 28 febbraio, nel terzo anniversario della morte di Mikis Mantakas. Sono le 23,10: in piazza Don Bosco, se ne stanno a chiacchierare cinque o sei persone, con l’eskimo. La tipica divisa da “compagni”. Con Valerio ci sono Cristiano, Alibrandi, Franco Anselmi. Arrivati in prossimità dei ragazzi, si dispongono “a ventaglio”, come dicono loro: ma mentre Cristiano, Alessandro e Franco si fermano a qualche metro di distanza, Valerio Fioravanti arriva proprio di fronte ad uno di loro. La prima vittima di Valerio Fioravanti si chiamava Roberto Scialabba. Aveva 24 anni. Roma, 6 marzo 1979. Nel mirino di Valerio e Cristiano Fioravanti, di Franco Anselmi e di Alessandro Alibrandi è l’armeria di via Ramazzini: dall’altro lato della Circonvallazione Gianicolense rispetto a quello dove, pochi isolati più giù abitano i fratelli Fioravanti. Alibrandi tiene a bada i due armaioli, Valerio Fioravanti si avvia nel retrobottega e svuota le casseforti. Riempite le borse, esce in fretta dal negozio. “Appena saliti in macchina, abbiamo sentito gli spari.” A terra, incastrato fra la porta e la vetrina c’era Franco. Roma, 15 marzo 1979. Un anno dalla morte di Franco Anselmi. Bisogna fare qualcosa per ricordarlo: niente di meglio che una rapina in un’armeria. Il “meglio” è l’armeria Omnia Sport, a due passi dal Ministero dell’Interno, dalla Questura centrale di Roma, dalla Prefettura e dalla caserma dei Carabinieri di Piazza Venezia. L’obiettivo ideale per una azione clamorosa, che confermi la supremazia del gruppo Fioravanti-Alibrandi e che, per una volta, possa servire allo scopo anche senza spargimenti di sangue. La prima azione a cui partecipa anche Francesca Mambro.
Roma, 6 febbraio 1980. Nel febbraio 1980, Maurizio Arnesano ha 19 anni. Originario del sud è in Polizia da poco più di un anno. Giorgio Vale, invece, ha compiuto in ottobre 17 anni: si conoscono da poco con Valerio Fioravanti, ma si sono piaciuti subito. E poiché da tempo Fioravanti cerca una mitraglietta M12, l’attenzione di Vale si appunta su quella data in dotazione al poliziotto di fronte all’ambasciata del Libano, che viene ucciso, proprio dall’altra parte della strada rispetto a dove abita Luigi Ciavardini. 28 maggio 1980. Franco Evangelista muore per molto meno. Doveva essere un’azione dimostrativa: “Voleva essere una chiara dimostrazione contro la militarizzazione della città”. Per lanciare questo messaggio, l’idea dei NAR è quella di attaccare dei poliziotti di guardia davanti ad una scuola, e disarmarli di fronte a tutti gli studenti. Del commando fanno parte Fioravanti, Mambro, Gilberto Cavallini, Giorgio Vale e Luigi Ciavardini. È successo il finimondo davanti al Liceo Classico Giulio Cesare in corso Trieste. Il bilancio è tremendo: due agenti feriti gravemente, Giovanni Lorefice e Antonio Manfreda, uno resterà semiparalizzato, l’altro cieco. Il terzo, Franco Evangelista, è morto sul colpo. Lo chiamavano “Serpico”, nella zona tutti lo conoscevano, lo stimavano, lo amavano. Ricorda Antonio Miranda, all’epoca responsabile del Commissariato di Porta Pia, da cui dipendeva la pattuglia.: “non era il tipo intellettuale, ma proprio un uomo d’azione. C’era quel suo record di arresti di cui andava tanto fiero (…) era moderno, sia perché si sentiva al servizio dei cittadini, sia, soprattutto, perché metteva in pratica l’idea del poliziotto di quartiere. Un concetto nuovo, per quell’epoca. Aveva sempre dei battibecchi con la centrale operativa, perché per radio scherzava, “Pronto, qui Pantera rosa”, diceva. Quelli si scocciavano. E lui rideva”. Anche Luigi Ciavardini, come Francesca Mambro, è figlio di un poliziotto. Di più: ne è pure fratello. Il maggiore, infatti, fino a pochi mesi prima del maggio 1980,è stato a capo del nucleo da cui dipendevano gli agenti di guardia al Giulio Cesare. Roma, 23 giugno 1980. Ma poi quella decisione viene presa, e allora Mario Amato non ha più scampo. Del resto, è un bersaglio facile: a Palazzo di Giustizia, Amato è un uomo solo,
isolato. Continua a chiedere più uomini e più mezzi, ma nessuno lo ascolta, a cominciare dal Procuratore capo Giovanni De Matteo; e non mancano aspri scontri con Antonio Alibrandi, il collega Magistrato che è anche padre di Alessandro, e che lo accusa di accanirsi contro la destra. Non gli viene data maggior attenzione dal Consiglio superiore della magistratura, dove si reca dapprima il 15 marzo 1980, e poi
di nuovo il 13 giugno. In quest’ultima audizione Amato dice tra l’altro: “Ci sono un sacco di ragazzini e di ragazzini che sono come i miei e i vostri figli, o come i figli di persone assolutamente per bene, e che vengono armati, o comunque istigati ad armarsi, e che poi ritroviamo che ammazzano. Li troviamo con armi, con silenziatori, o colti nel momento in cui stanno ammazzando. Si tratta quindi di un fenomeno grave anche sotto questo profilo, che non può essere trascurato, perché il problema non si può risolvere prendendo i ragazzini e mettendoli in galera. O meglio, mettiamoli pure in galera, ma teniamo presente il gravissimo danno sociale di questa massa di giovani che vengono travolti da vicende di questo tipo. Si tratta di un danno che noi pagheremo. Ciò che dico vale ovviamente per la sinistra e per la destra, per la sinistra in numero spropositato, per la destra in numero ridotto, perché le proporzioni politiche sono diverse. Ho fatto una relazione in cui indicavo la gravità del fenomeno, l’opportunità di seguirlo ed estendere le indagini, perché non ci interessa soltanto arrestare una persona che ha commesso un reato, quando tale persona fa parte di una organizzazione. A noi interessa catturarla, ma risalire poi agli altri.” A Paolo Cemmi, amico e collega, Amato confida: “Ho come la sensazione di essere seguito”. A pedinarlo è proprio Alessandro Alibrandi (figlio di Magistrato). Racconta Ciavardini: “All’improvviso vedo Cavallini venir giù dietro Amato, farmi segno come per dire, “Vieni!”. Muore così, Mario Amato, e neanche se ne accorge. Con un colpo calibro 38 sparato alla nuca, a bruciapelo.””
-da pag. 191…””Padova, 5 febbraio 1981. Cavallini rispolvera un vecchio progetto, il sequestro di uno dei figli di Benetton. Il ragazzo ha poco più di 14 anni, gira per Treviso in motorino, si potrebbe rapirlo e dopo, magari, “rivenderlo” all’Anonima calabrese, o ai giostrai. A mandare all’aria il progetto sono Fioravanti e la Mambro. Cavallini e i suoi amici di Milano ripiegano allora su una finanziaria di via Fatebenefratelli, specializzata nel trasporto di contanti in Svizzera. Eseguiti gli appostamenti e steso il piano d’azione, viene decisa la data: venerdì 6 febbraio, con partenza da Padova dove, sempre tramite Cavallini, è stato individuato un certo Fiorenzo Trincanato, un “comune” al quale sono state affidate le armi (dei Nar) in attesa del giorno stabilito per la rapina, ma lui ha dovuto buttare il baule con le armi in un canale. Il gruppo si reca al canale: è il Lungargine Scaricatore, alla periferia di Padova. Affiora un M12, che recuperano con un bastone, ma il resto è sott’acqua. A sera si ritrovano tutti. Cavallini, Vale e Gabriele De Francisci sull’altra sponda, a fare da palo; di qua oltre a Cristiano, Trincanato, e infine Valerio e la Mambro. La zona è frequentata da coppiette in cerca di intimità. Mancano pochi minuti alle 22 quando alla Centrale Operativa arriva una telefonata anonima per movimenti sospetti. Nelle vicinanze c’è l’autopattuglia “Eden 8”: a bordo, l’Appuntato Enea Codotto e il Carabiniere Luigi Maronese. Arrivati, Codotto e Maronese accendono il faro sul tetto della loro Alfetta, fermano la macchina, scendono, si avviano giù verso l’argine: oltre alle bombole ci sono anche i pesi, sicché con la muta di neoprene Cristiano rimane a galla. “Chiama la centrale, dì che ci mandino i rinforzi”: questo avrà detto Codotto al suo collega Maronese. Invece non va a finire tutto bene. Maronese ha già la pistola in mano. Codotto, che nel frattempo è riuscito ad immobilizzare Cristiano, lo tiene per la gola, con una pistola puntata alla tempia, ma Cristiano si divincola e si ributta in acqua. A Codotto non rimane che risalire l’ argine, verso Valerio Fioravanti. “Lui comincia a spararmi, io mi butto giù nel vallone, rotolando, sento che mi arriva un colpo addosso. Mentre rotolo rispondo al fuoco. I Carabinieri sono colpiti a morte. Valerio Fioravanti non può muoversi, è stato colpito all’inguine, alla coscia e di striscio al polpaccio. Perde sangue. Alle 9 del mattino del 6 febbraio 1981, Valerio Giuseppe Fioravanti, ventitré anni tra un mese, pluripregiudicato dell’ estrema destra, indiziato per la strage di Bologna, già ricercato per gli omicidi di Antonio Leandri, Maurizio Arnesano, Franco Evangelista e Mario Amato, è sano e salvo, sveglio nel suo letto dell’ ospedale di Padova. E il suo nuovo destino di detenuto a vita””.
– da pag.214. Acilia (Roma), 21 ottobre 1981.“”Il Capitano di Polizia Francesco Straullu ha 26 anni. Da tre in forza alla Digos. Anche agli occhi dell’ambiente su cui stava indagando. Eppure, ricorda la stessa Mambro: “Ci fu un forte dibattito, all’ interno del gruppo, perché sapevamo che un attacco di questo livello alla Digos avrebbe scatenato una repressione ancora più violenta. D’altra parte, per noi era importante mandare un messaggio non solo gli amici in carcere, ma anche a chi ci teneva dentro”. Alle 8 e 50 del 21 ottobre 1981, quando la Ritmo di servizio guidata dall’ agente Ciriaco Di Roma esce dal breve sottopassaggio di via di Ponte Ladrone ad Acilia, ad attenderla c’ è una pioggia di fuoco scatenata da armi potentissime. La Mambro e gli altri (Vale, Sordi, Soderini, Alibrandi, Cavallini) sapevano che Straullu e Di Roma utilizzavano sempre un’Alfetta 2000 blindata, per cui si erano organizzati di conseguenza. Gli effetti sulla Ritmo non blindata e sui suoi occupanti sono devastanti, tanto che Alibrandi impedisce alla Mambro di avvicinarsi all’auto per prelevare le armi: “Vieni via, vieni via, non guardare.” Dopo l’ omicidio, racconterà Sordi ai giudici, pranzarono tutti al ristorante Chianti, vicino a Porta Pia, e poi vanno al cinema a vedere Excalibur””.
Sin qui il libro. Ora, come di consueto, integrazioni e valutazioni.
Il 21 ottobre di ogni anno il Questore di Roma depone una corona di alloro sulla Lapide collocata in località Ponte Ladrone, ad Acilia, in memoria del Capitano Francesco Straullu e dell’ Appuntato Ciriaco Di Roma. Il loro superiore diretto era il Commissario Capo Minozzi, che trattava il terrorismo di destra, autore di un importante rapporto all’A.G. del novembre 1979 sull’eversione nera romana, ma vanno ricordati anche altri funzionari di quell’Ufficio, quali il valoroso Nicola Simone, nel 1982 scampato, benchè gravemente ferito, ad agguato di elementi delle BR, presentatisi come “postini” nella sua abitazione romana di Piazza Bologna; Ansuino Andreassi, figura di grande prestigio nell’ambito della Polizia Politica di quegli anni; ma soprattutto lo stesso Dirigente della Digos, l’irpino Vice Questore Alfredo Lazzarini, tutti da me ben conosciuti per essere stato in quegli anni nell’ Antiterrorismo operativo, non d’ufficio, del grande Prefetto Vincenzo Parisi, al Ministero dell’Interno. Si, la lotta al terrorismo di destra, sino alla Strage di Bologna del 2 agosto 1980, nel panorama dei terrorismi nazionali, era stato colpevolmente trascurato. E dire che segnali inquietanti esistevano già da anni; ad iniziare dal Magistrato Vittorio Occorsio, che era stato trucidato, la mattina del 10 giugno 1976, a Roma, proprio per le importantissime inchieste nelle quali già si intravedevano, sullo sfondo, presenze non cristalline di personaggi legati a centri di potere occulto; poi, due mesi prima della strage di Bologna, si era verificato l’assassinio del Magistrato Mario Amato, unico e solo titolare, nella Procura della Repubblica di Roma, delle indagini sulla destra eversiva che venne fotografato a terra, morto ammazzato, Lui, Magistrato della Repubblica, con le suole delle scarpe bucate; sì, davvero, bucate! Questo la dice lunga sull’ onestà Sua e di molti Magistrati, solitari, incompresi, integerrimi e modesti per costume e stile di vita, ma eccelsi per dedizione al servizio di difesa dell’ordinamento dello Stato, alla stregua di tanti e tanti appartenenti alle Forze dell’Ordine! Solo a Roma, in quel periodo, le BR avevano ucciso i Magistrati del Dicastero della Giustizia Riccardo Palma, il 14 febbraio 1978; Girolamo Tartaglione, il 10 ottobre dello stesso anno e Girolamo Minervini, il 18 marzo 1980. Proseguendo questa cronaca di morte che merita il massimo rispetto, soprattutto dalla Politica ingrata, parolaia ma anche capziosa, come non ricordare, ancora, quel che accadde il 3 maggio 1979 quando un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse assalì “more militari” a Piazza Nicosia gli uffici regionali della Democrazia Cristiana, in cui perironoil Brigadiere Antonio Mea e l’ Agente Pierino Ollanu, mentre un terzo Agente, Vincenzo Ammirato, rimase ferito? Erano tutti del 1° Distretto di Polizia di Piazza del Collegio Romano. Come non ricordare, ancora, quel tragico 13 luglio 1979, quando le famigerate BR uccisero il valorosissimo Ten. Colonnello dei Carabinieri Antonio Varisco, Comandante del Reparto Servizi Magistratura, e successivamente, a seguire, i Marescialli Romiti, Traversa e l’ Agente Granato, tutti della Polizia romana; mentre i neofascisti dei NAR l’Agente di PS Arnesano e gli Appuntato della Polfer Rapesta, alla Stazione ferroviaria di San Pietro? Tornando a Straullu, la scena che si vide subito dopo l’attentato, nei pressi di Acilia, fu certamente impressionante. Il povero “ragazzo” aveva il cranio letteralmente esploso da proiettili di FAL cal.7,62 NATO, arma in dotazione alle Forze Armate, sparati a distanza ravvicinata, proprio nel momento in cui l’auto, guidata dall’ Agente Di Roma, rallentava per immettersi nel tunnel denominato Ponte Ladrone. Quale la colpa? Aver collaborato il PM Mario Amato e, successivamente, dopo l’assassinio di questi, il pool di Pubblici Ministeri (finalmente costituito, all’italiana maniera, “post mortem”!) capeggiato dal Magistrato Loris D’Ambrosio, divenuto molti anni dopo Consigliere Giuridico del Presidente della Repubblica Napolitano. Tra gli autori dell’attentato a Straullu, come descritto nel libro in esame, anche Francesca Mambro; lei, figlia di un bravo Maresciallo di Polizia; lei, Francesca Mambro, che aveva visto la Divisa del Padre chissà quante volte, e avrà sentito discorsi sulla legalità e il rispetto dell’ altrui bene, proprio lei uccise un rappresentante della stessa Polizia nella quale aveva, per lunghi anni, militato il Padre! Ma la Mambro, non solo su Straullu levò la mano assassina e fratricida, ma anche contro l’appena ventenne Agente Arnesano e l’Appuntato Evangelista, detto “Serpico”, del Commissariato PS Porta Pia, davanti al Liceo “Giulio Cesare”, in complicità di un altro personaggio, anch’esso appartenente alla Famiglia della Polizia di Stato, il terrorista appena diciassettenne Luigi Ciavardini, figlio di Maresciallo e fratello di un giovane e promettente Capitano di PS, dello stesso Corso d’ Accademia del povero Straullu! Nella Scienza della devianza non credo che tali situazioni aberranti, forse perchè non molto diffuse, siano state ben approfondite e studiate. In effetti, l’odio contro lo Stato può portare, in linea generale, anche a forme di singolare brutalità. Ma, per gli episodi in esame, attingendo a principi di psicologia, penso si possa fare riferimento al processo di “Proiezione Identificazione”, vale a dire a quel processo mentale che porta la persona patologica a calarsi talmente nel ruolo (in questo caso in quello del rivoluzionario), tanto da fargli perdere la sua personale identità e i propri riferimenti, consentendogli così di impugnare le armi contro le Divise che avrebbero dovute essere se non amiche, quantomeno non nemiche. Chissa! Concludendo, va fatta una seria riflessione non solo sulla Mambro, la “Pasionaria” che oggi invoca la “Grazia” per la Strage di Bologna, alla stregua del suo complice di ribalderie e rapine, come di plurimi e reiterati omicidi, di nome “Giusva” Fioravanti, condannato complessivamente a 8 ergastoli, ma libero grazie ai benefici di legge dell’ ordinamento longanime italiano;non solo, tale riflessione va rivolta anche sul terrorista Luigi Ciavardini, ma un’attenta analisi sociologica va effettuata su un’intera generazione ubriacata in quegli anni dalla follia ideologica dei cosiddetti cattivi maestri, spesso stimolati da ambiti politici endogeni ed esterni all’Italia. E tutto questo, con un esame analitico e globale per tentare di capire le aberrazioni della violenza, soprattutto quando “colorata” di ideologia. Ma il discorso è lungo. Ma va affrontato una volta per tutte, proprio per non cadere negli errori di allora! Tutti sostengono che i giovani sono da sempre un bene incommensurabile per la società, per cui dovrebbero, in primis, essere seguiti e aiutati dalle Famiglie, oggi sempre più disastrate da separazioni di Genitori e intolleranze nel loro ambito, ma contestualmente e progressivamente nel tempo anche dalla Politica, con fatti concreti per scuola, Università, formazione, lavoro, casa; una Politica virtuosa, certamente, giammai “becera” oltre misura come quella italiana, che promette tutto e nulla mantiene! Vergogna !!