Nell’intervista recente di Ruggero Capone, per L’Opinione delle Libertà, ai due autori del libro ‘Il crimine a Nord-Est’ Luana de Francisco, giornalista del Messaggero Veneto e Ugo Dinello, è stato riferito che “aumenta il pericolo in questo momento per la presenza delle imprese criminali che possono fare “sparire” ampie fette dell’imprenditoria veneta. Il fatto che lo studio sull’economia criminale compiuto dall’équipe dell’Università di Padova guidata dal Pro Rettore Antonio Parbonetti abbia dimostrato come nel Nord Italia la confisca di un’impresa legata alla criminalità organizzata faccia aumentare del 20 per cento il Pil del Comune che la ospita, dimostra anche come le imprese mafiose portino a due risultati: la concorrenza sleale di tali imprese nei confronti degli imprenditori dello stesso settore e l’impoverimento di intere zone, con un impatto pari a un quinto (!) della ricchezza diffusa. A seguito di ciò, il Nord-Est si colloca in cima alle classifiche quanto a reati tributari e societari e quanto a numero di segnalazioni di operazioni sospette per numero di abitanti.
Iniziamo l’esame del libro…
“”Introduzione. Mappe. Basta uno sguardo alla carta geografica per capire come il Nord-Est d’Italia sia al centro dei tre grandi traffici che alimentano il crimine internazionale che a sua volta foraggia il crimine locale. In questa macroregione la rotta balcanica della droga si congiunge a quella dal Meridione. Sempre qui convergono da Est i carichi di armi serbi e croati via terra e via mare e le vittime della tratta di esseri umani gestita da turchi, serbi,cinesi, albanesi e rumeni attraverso il confine orientale del tutto teorico dopo il trattato di Schengen. In questo contesto, il sistema giudiziario è apparso debole e impreparato nel confrontarsi con fenomeni criminali organizzati e per quindici anni, fino al 2018, i provvedimenti basati sull’articolo 416 bis del Codice penale“che colpisce l’associazione criminale di tipo mafioso” qui sono stati più unici che rari. Usando la presenza degli inviati al soggiorno obbligato e la rete di personaggi che ogni boss importava a sua protezione la mafia isolana, che già aveva messo i suoi uomini nell’ex Jugoslavia e in Friuli per la gestione del traffico di armi, ha potuto sfruttare a piene mani la mafia veneta e indirizzare i giovanissimi e inesperti boss locali verso il controllo dei cambisti del casinò di Venezia, il tutto alla fine degli anni Settanta, quando il capo dei veneti, Felice Maniero,aveva 25 anni. È interessante notare a questo proposito che all’interno del fiume di dichiarazioni rilasciate da Felice Maniero dopo il suo pentimento (1994), solo due argomenti sono stati sempre elusi: dove sia finito il denaro delle sue malefatte e quali fossero i suoi rapporti con Cosa Nostra. In realtà il vero tesoro non è mai stato cercato né tantomeno trovato,anche se molti sottufficiali dei Carabinieri che all’epoca avevano combattuto la mafia del Brenta, indicano in Venezia e nel suo sistema turistico-ricettivo la vera cassaforte primaria delle società del boss. Sul secondo punto, cioè i suoi legami con Cosa Nostra, vale la pena notare come Maniero, il cui pentimento ha portato sotto inchiesta 142 persone (e non 500 come da lui sempre affermato e come spesso erroneamente riportato), non abbia coinvolto nemmeno un siciliano, campano o calabrese: solo veneti.””
– da pag.3… “Gli affari di Cosa nostra”. Capire il livello di comando mafioso al Nord-Est diventa allora possibile calcolando che il Veneto è la seconda regione italiana dopo la Sicilia per la presenza di boss mafiosi latitanti e di loro familiari subito dopo la“stagione delle stragi”. Non solo: è la regione dove sono ancora presenti 150 mafiosi “di livello”. Una regione ritenuta così sicura che quando i vertici di Cosa nostra devono sparire, braccati per la prima volta dallo Stato dopo gli attentati di Capaci (23 maggio 1992) e di via d’Amelio (19 luglio 1992), molti boss scelgono di trasferirvisi. A Longare, in provincia di Vicenza, viene infatti arrestato il 6 settembre1992 l’uomo che aveva pianificato entrambe le stragi. Giuseppe “Piddu” Madonìa, viene fermato mentre si muove a bordo di una Mercedes e con scorta armata e auto apri pista. Per la loro latitanza scelgono anch’essi il posto più sicuro che hanno a disposizione: Abano Terme, dove risiedono per quasi un anno in un appartamento di Piazza Mercato 22. Quando gli agenti vi fanno irruzione, loro sono appena scappati. Più fortunato Pasquale Messina, il sicario ufficiale della cosca di Brancaccio: la sua latitanza in Veneto durerà ben sette anni. Sarà arrestato a Bassano del Grappa nel 1999. Nel 2012 poi, il figlio del capo dei capi, Giuseppe Salvatore Riina, “Salvuccio”, ha dovuto lasciare la Sicilia (dopo 8 anni e 10 mesi di carcere per mafia) per scontare il periodo di libertà vigilata. Per questo ha scelto Padova.””
– da pag. 13… “Turismo e crociere”. Dal 1990, anno in cui si sono consolidate le acquisizioni in massa di hotel, ristoranti e bar da parte di prestanome della mafia veneta e siciliana, ad oggi, le presenze turistiche a Venezia sono più che decuplicate. Altri settori d’investimento di Cosa Nostra sono soprattutto i cantieri navali, il grande business che ha dato origine alle fortune della famiglia Galatolo sin dai tempi del patriarca Don Gaetano, “don Tano Alati”. Non a caso Vito Galatolo è padrino di battesimo del figlio di uno tra i più noti imprenditori nel ramo della coibentazione navale, Giuseppe Corradengo,attivo nei più importanti cantieri del Nord, arrestato dalla Dia di Palermo nell’aprile 2013 con l’accusa di essere un prestanome del clan Galatolo…””
– da pag. 20… “L’espansione delle colonie”. Nonostante questo, e forse proprio per questo, la ‘ndrangheta è attualmente la forma di criminalità organizzata che più è in crescita e che al momento è la più aggressiva in tutte e tre le regioni del Nord-Est italiano. Anche durante il “passaggio delle consegne” nella zona del Garda, prima zona di interesse di Cosa Nostra, poi, dopo la “presa di Verona”, entrata nel raggio d’azione della famiglia Grande Aracri (Nicolino, di Cutro n.d.a.), non è mai stato registrato alcuno screzio tra esponenti siciliani e calabresi, o tra calabresi di diverse zone…”
– da pag. 42… “Affari sporchi”. Nel traffico di rifiuti, ad esempio, si sono viste le capacità di “ingaggio” degli imprenditori veneti da parte delle cosche. Sandro Rossato, veneto doc ma chiamato da molti “il calabrese” aveva iniziato a lavorare rifiuti con la Rossato s.n.c. nel 1970 a Pianiga (Venezia) collezionando le prime condanne per un falso smaltimento di traversine inquinate. Il consorzio Airone riesce, infatti, a fare man bassa di ogni possibile servizio nel ciclo dei rifiuti. L’unico argine sono i Carabinieri che il primo marzo 2006 arrestano Rossato e i suoi soci con l’accusa di “associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e turbativa d’asta”. Il tutto in accordo con la camorra per spartirsi la fornitura di servizi pubblici di smaltimento rifiuti e gestione delle discariche…””
– da pag. 60… “Il regno dei casalesi”. L’uomo accusato di aver costituito una sorte di succursale dei casalesi a Eraclea e dintorni si chiama Luciano Donadio. Originario di Giugliano in Campania, vanta collegamenti con il clan di Francesco Schiavone, il Sandokan di Casal di Principe. La gente del luogo lo apprezza per quello che riesce a fare con le sue imprese edili, soprattutto lungo il litorale, dal villaggio dei Lecci a quello dei Tigli, dove sono i suoi cantieri a contribuire all’esplosione turistica di Eraclea Mare. Il boss dei casalesi di Eraclea cerca e trova puntelli dapprima in quel che resta della mafia del Brenta, e in particolare in Silvano Maritan, che conosce nel 2004, quando esce dal carcere dopo 14 anni di reclusione e con cui si spartisce il territorio per il traffico e lo spaccio di droga.””
– da pag. 93… “Business comuni: i veleni”. Capannoni pieni di rifiuti. Ne sono stati trovati a decine in Veneto e a centinaia, secondo gli esperti del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, altri se ne troveranno. Sono l’incubo di ogni Sindaco: se scatta il sequestro è dalle casse comunali che bisogna trovare i fondi per la bonifica. Manufatti stivati con migliaia di tonnellate di ogni tipo di immondizia. Da rifiuti urbani provenienti dalle città e paesi del Meridione che non hanno discarica e termovalorizzatore, ai rifiuti speciali delle piccole imprese chimiche e del pellame. Nel Vicentino, nella Bassa Padana, nel Veneziano, in Polesine l’allarme è altissimo, ma nessuna zona viene fatta salva da questa “terra dei fuochi” triveneta””.
– da pag. 100… “Terre avvelenate”. Dopo le discariche abusive nostrane (come quella di via Teramo a Mira), il Nord-Est ha anche tessuto rapporti con il “Re della terra dei fuochi”, l ’avvocato Cipriano Chianese, che era di casa nell’ Alta Padovana. Sin dal 1996 aveva conosciuto un simpatico imprenditore di Santa Giustina in Colle.
– da pag. 118… “Supreme Eiye”. Già nella metà degli anni Novanta l’operazione “Tuareg” della Guardia di Finanza di Padova e Venezia, accertò che i canali di approvvigionamento di alcune bande tunisine sospettate di collegamenti finanziari con cellule salafite erano stati tracciati. Ma in anni precedenti il ROS dei Carabinieri del Veneto si è trovato di fronte alla creazione di uno dei più grandi mercati italiani della droga, in via Anelli, a Padova. Qui negli anni Settanta erano stati costruiti cinque enormi condomini con appartamenti di piccola metratura per gli studenti universitari fuori sede. Una situazione che a metà anni Novanta è però mutata con l’affitto da parte dei proprietari, spesso in nero e tramite prestanome, a soggetti senza permesso di soggiorno, disposti per questo a pagare affitti più alti di quelli pagati dagli studenti. In pochi anni la stradina alle spalle del grande incrocio della Stanga si è trasformata in un quartiere etnico, dove a poco a poco i nigeriani hanno imposto una “terra di nessuno”, con scontri tra due gruppi prevalenti, la Supreme Eiye confraternity (Aquila suprema) e i Black Axe (Ascia nera). A Padova il controllo del territorio si era concretizzato in scontri per disporre di via Anelli. Dopo la vittoria della Supreme Eiye, questa confraternita ha iniziato a espandersi in tutto il Veneto proprio da via Anelli. La fuga degli ultimi inquilini italiani ha creato un ghetto, una situazione che ha spinto Questura e Comune (il grande Sindaco Flavio Zanonato e l’ottimo Assessore alla Sicurezza, Marco Carrai), a dar vita alla prima “chiusura urbanistica” di uno spazio pubblico: un “muro”, una barriera in ferro e lamiera per impedire agli spacciatori vie di fuga e di espansione attraverso i cortili di altre abitazioni private. Nel 2006, dentro al “muro di Padova” è stata portata avanti dal Comune e dalle Forze dell’Ordine un’azione continua di sgomberi e di chiusura delle singole unità immobiliari. Una politica ferrea andata avanti per anni con successo, al punto che il 12 ottobre 2019 il Comune ha potuto dare avvio al completo abbattimento dei palazzoni: in quell’area sorgerà la nuova Questura di Padova.
– da pag. 206…“Conclusioni”. In una macroregione come il Nord-Est dove viene registrato il più alto numero di reati finanziari ed economici per abitante è logico che l’interesse per il guadagno abbia ormai abbandonato da tempo ogni slancio etico. Di fronte alla constatazione che al Nord-Est ci sia più omertà che al Sud per puro calcolo economico, il Triveneto ha risposto con il silenzio. Lo stesso Procuratore antimafia del Veneto, Bruno Cherchi, appena nominato, nel presentare l’operazione “Camaleonte” – derivata, con enorme ritardo dalla più grande operazione “Aemilia” – notava che “non si può più parlare di presenze a livello locale ma di un quadro di riferimento a livello regionale”, per cui “la mera repressione non basta, ma serve uno sforzo culturale”.
Sin qui il libro.
Ora, integrazioni e riflessioni, con ricordi personali sia quale Comandante Nazionale del NOE, sia della Legione Veneto.
Sui giornali di marzo 2015 ricorderete che ci furono ampi servizi su Graziano Stacchio, sui tormenti del benzinaio che uccise il rapinatore. Così leggemmo sul “Corriere del Veneto”: “Abbiamo preso i fucili e abbiamo sparato. Sembrava un Far West. Ma bisogna fare così, farsi la legge da soli, fare come il benzinaio Stacchio”. Ad armarsi e sparare contro i ladri che avevano preso di mira la frazione di Faè di Oderzo, in provincia di Treviso, erano stati i residenti. Tanta paura in quell’area della Marca trevigiana non è certamente recente; diremmo che è stata più che giustificata proprio perché a pochi chilometri da Oderzo, a Gorgo al Monticano, furono barbaramente trucidati i coniugi Pelliciardi nella notte del 21 agosto del 2007, quando due anziani coniugi, custodi (non proprietari) di una grande villa, furono sorpresi nel sonno da banditi che li uccisero brutalmente dopo averli vilmente torturati per costringerli ad aprire la cassaforte. Un delitto orrido, di violenza inaudita. Il paese restò sconvolto, ma fu l’intero Veneto e tutto il Nordest a ritrovarsi profondamente turbato. Mentre le polemiche furono furiose, con la Lega-Nord che rilanciava le ronde padane a presidio del territorio, si giunse presto all’arresto di tre sospettati grazie alle serrate indagini condotte dai bravissimi Carabinieri del Provinciale di Treviso al comando del Colonnello Paolo Nardone, coadiuvato dal Ten. Col. Stefano Baldini. Gli assassini: un ragazzo romeno di vent’anni e due albanesi, entrambi irregolari, pregiudicati.
Trattando il libro di mafie straniere, il ricordo va ad un caso di rapimento, di alcuni anni addietro, anch’esso brillantemente risolto dai Carabinieri di Treviso, che liberarono una ragazzina cinese di 14 anni, rapita sei giorni prima a Vedelago, in provincia di Padova, mentre andava a scuola, trasferita, tenuta legata e imbavagliata in un appartamento di Milano, proprio nei pressi della ben nota via Mac Mahon. L’irruzione scattò all’alba; furono arrestati tre giovani cinesi, legati a organizzazioni criminali, che avevano chiesto alla famiglia un riscatto di 500 mila euro. A dare un impulso decisivo alle indagini fu il controllo, avvenuto qualche giorno prima a Vedelago di un’auto con a bordo alcuni cinesi da parte dei Carabinieri del Luogotenente Donato Calasanzio, storico Comandante della locale Stazione, purtroppo deceduto, che consentì di scoprire che i tre passeggeri della macchina erano proprio i sequestratori della ragazzina.
Altro caso interessante, sulle dinamiche della mafia cinese, verificatosi a Padova, nel 2009, è quello della “spedizione punitiva” organizzata dai “milanesi”, nei confronti della comunità cinese veneto-patavina. Da Milano, appunto, partirono i giustizieri del “Sol Levante”, armati di tutto punto per punire i “defezionisti” per uno “sgarro” su mancati pagamenti. L’irruzione avvenne durante una festa serale, alla presenza di molte decine di cinesi, quasi a voler dimostrare la superiorità “militare” dei milanesi. Numerosi furono i feriti da fendenti da pugnale senza alcun morto.
Le indagini, svolte molto bene dal Reparto Operativo Provinciale della Città del Santo, d’intesa con il Reparto Operativo di Milano, evidenziarono una realtà molto articolata e complessa. Dalle indagini si rilevò, tra l’altro, che esistevano “responsabili” regionali ai quali i capi-zona provinciali erano assoggettati; che le armi da fuoco, anche mitragliatori, venivano acquistate dalla criminalità albanese; si trattavano gli “allucinogeni” in quantitativi industriali; la prostituzione non era più fenomeno interno alla comunità cinese ma allargato al mercato italiano; numerose, tra l’altro, le uccisioni “punitive”.
A questo punto ci inseriamo nel tema tutela dell’Ambiente, ampiamente trattato nel libro in esame.
Viene subito il ricordo dell’ operazione “HOUDINI” condotta dai Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente. L’attività investigativa trasse origine da complesse e articolate indagini condotte dal N.O.E. di Venezia, comandato dall’ottimo e preparatissimo Luogotenente C. S. Liborio Fabio Lagattolla, che consentirono di far luce su di un’organizzazione criminale dedita al sistematico illecito smaltimento in discariche non idonee, cave in ricomposizione ambientale, laghetti naturali e spandimento/tombamento in Veneto, Lazio, Campania, ed in altre zone del territorio nazionale, di rifiuti speciali pericolosi e non. Risultarono complessivamente indagate, a vario titolo, n. 70 persone. Il modus operandi utilizzato dai soggetti indagati per trasportare, intermediare e smaltire illecitamente i rifiuti consisteva nella declassificazione fittizia dei rifiuti stessi, mediante il classico sistema del “giro bolla” presso i due principali impianti di rifiuti del veneto, la «Nuova Esa s.r.l.», corrente in Marcon (VE) e la «Servizi Costieri S.r.l.», corrente in Venezia-Porto Marghera, che si concludeva con lo sversamento in siti non autorizzati, con conseguente grave danno per l’ambiente. L’ 8 marzo 2004 furono eseguite 11 ordinanze di custodia e si procedette al sequestro preventivo degli impianti. Il valore dei beni sequestrati fu stimato in circa 25.000.000,00 (venticinque milioni) di euro.
Concludendo, non è un caso se in una delle sue ultime relazione, l’ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, disse che le mafie, ormai, parlano il dialetto veneto “perché si avvalgono della complicità di persone che vivono lì e che non necessariamente appartengono alla malavita”. Possibile?…Probabile… Ma stentiamo a crederlo…