Il Lodo Moro: terrorismo e ragion di Stato 1969 – 1986 di  Valentine Lomellini

La storia della Repubblica italiana è intessuta di varie leggende

Roma, 09 febbraio 2022 –  Circa 30mila documenti da archivi italiani ed europei per confermare l’esistenza del cosiddetto “Lodo Moro“.

“La storia della Repubblica italiana è intessuta di varie leggende”.

Questo l’incipit del recentissimo libro “Il Lodo Moro: terrorismo e ragion di Stato 1969 – 1986, (Laterza Editore – Gennaio 2022) della Prof. universitaria e ricercatrice Valentine Lomellini.

Una frase decisamente adeguata, se si pensa all’alone di mistero esistente su certi eventi.

Un lavoro durato sei anni e la consultazione di circa 30mila pagine di documenti in più di venti archivi tra Italia ed Europa.

Ne esce un lavoro storico rigoroso, sulla strategia della tensione, le stragi, il terrorismo politico.

Anni in cui l’Italia venne “risparmiata” dal terrorismo mediorientale, fatta eccezione per alcuni sanguinosi attentati.

Un libro, questo, che chiarisce anche – e forse soprattutto – come il “Lodo Moro” non sia in realtà riferibile solamente al sommo statista pugliese ucciso il 9 maggio 1978, ma a una pluralità di soggetti.

In un’intervista l’autrice: “”Da un documento del 23 ottobre 1973 che riguarda la trattativa tra Italia e Olp rispetto ad alcuni terroristi in quel momento carcerati nel nostro Paese, ho iniziato a interrogarmi sul tema e a chiedermi perché il Lodo Moro si chiami in questo modo, quando in realtà tutti i documenti – sia negli archivi italiani, sia all’estero – indicavano che il Lodo non era un “Lodo Moro”, ma il risultato di un lavoro diplomatico portato avanti da diverse persone. Non si è trattato di una devianza delle politiche dello Stato, ma è stata una vera e propria politica dello Stato. Tanto per fare un esempio: il Lodo non si è mai concretizzato nel mancato arresto di guerriglieri sul suolo italiano, non c’è una sorta di “divieto” di arresto o di impunità dei terroristi. I guerriglieri vengono sempre arrestati e poi, grazie all’intervento dei Ministeri degli Interni e degli Esteri e alla collaborazione di alcuni Magistrati e addirittura – nel 1976 – dell’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, che dà la grazia ad alcuni terroristi libici,vengono liberati. Dunque il Lodo si concretizza in un processo agevolato, ma mai nella prevenzione dell’arresto. È una politica che si sviluppa ad altissimo livello e una delle tesi di questo volume è che ci sia una grossa strumentalizzazione della figura di Moro””

 Iniziamo la lettura di parti dell’interessante libro.

– da pag.3 “”L’Italia nel vortice del terrorismo internazionale. La globalizzazione della lotta arabo palestinese. Il 5 giugno 1967 Israele lanciò un attacco fulminante in tre direzioni: gli eserciti di Egitto, Siria, e Giordania vennero travolti e alla fine delle ostilità, il 10 giugno,Tel Aviv vide una significativa estensione del proprio territorio.  La Resistenza palestinese aprì una stagione di lotta in cui si combinavano guerriglia e attentati nella regione mediorientale, e l’esportazione del terrorismo in Europa: la “diplomazia della tensione”, come fu chiamata da alcuni osservatori, rispondeva alla necessità di acquisire una voce sullo scenario internazionale e nel conflitto arabo-israeliano. Tale strategia comportava, appunto, l’internazionalizzazione della lotta. Fu il leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, George Habash, il primo a vedere questa come un’opportunità politica per la Resistenza. Questa scelta fu osservata con un certo favore da alcuni Stati arabi:  tra gli altri la Siria, l’Iraq e la Libia, quest’ultima guidata da Mu’ammar Gheddafi a partire dal settembre 1969. Si prefigurava un nuovo equilibrio: alcuni Stati arabi reclamavano a forza un ruolo nelle relazioni internazionali: il petrolio e, per certi versi, l’esportazione del terrorismo, unitamente al sostegno pubblico alla causa palestinese, a tratti strumentale, erano mezzi utili per ridisegnare un riformato assetto globale. Al netto di ciò e a testimonianza dell’importanza di questo fenomeno per le autorità governative del nostro Paese, l’eco dei primi attentati frutto dell’internazionalizzazione della lotta ebbe un impatto importante sugli osservatori italiani, in particolare sul Ministero degli Esteri. In una riunione sui problemi del Medio Oriente, convocata alla Farnesina nel gennaio 1969 alla presenza del Ministro degli Esteri Pietro Nenni e dei principali Ambasciatori italiani dell’area, il tema del terrorismo fu ampiamente dibattuto. Fu subito chiaro che, lungi dall’essere uno strumento esclusivo della Resistenza palestinese, il terrorismo era un’arma in mano agli Stati arabi. La riflessione di Nenni suonò come una profezia per l’uomo che gli succedette alla Farnesina. Nell’agosto 1969, Aldo Moro fu nominato Ministro degli Esteri nel Governo Rumor II, carica che gli venne confermata anche nell’esecutivo successivo, sempre guidato dal politico vicentino, in una situazione sociale e politica particolarmente complessa, data anche dall’emergere degli opposti estremismi interni (questo tema lo conosciamo bene !!!). Poi vi fu una strage a Monaco: nell’autunno del 1972, 11 componenti della squadra israeliana ai Giochi Olimpici vennero trucidati da un commando di “Settembre nero”, un’organizzazione terroristica dell’ampia galassia della Resistenza palestinese. Con i fatti delle Olimpiadi del 1972, l’alleanza iniziò a farsi sempre più tangibile, tanto da indurre l’ambasciatore italiano a Tel Aviv a scrivere al Ministro degli Esteri Medici, a distanza di pochi giorni dall’attentato alla squadra israeliana, che i terroristi vantavano ormai molte basi fuori dagli Stati confinanti, in Europa (ed anche purtroppo in Italia).””

– da pag.121. “”Ragion di Stato e diritto alla verità. Il terrorismo arabo palestinese colpì l’Italia e l’Europa a più riprese durante gli ultimi due decenni della Guerra Fredda. Il “lodo” fu dunque la risposta che alcuni Stati europei, in primis l’Italia, diedero all’emergere di un fenomeno esogeno che metteva a rischio la sacralità del territorio europeo, ad ogni costo preservata durante il conflitto bipolare. Il “lodo” fu piuttosto un processo dinamico di negoziazione continua, che si adattò al mutare degli interlocutori coinvolti. Nell’arco di vent’anni, tali soggetti furono dapprima l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, in seguito un insieme frastagliato di movimenti estremisti e di mercenari, infine gli Stati: l’Iraq, la Libia e poi anche la Siria. Il “lodo” non poteva quindi essere uguale a se stesso, perché l’interlocutore e la minaccia stessa variarono ciclicamente. Con questi, anche l’accordo mutò. Benché esso venne nominalmente attribuito ad Aldo Moro, talvolta con una certa dose di strumentalità, il patto per preservare l’Italia dagli attacchi del terrorismo internazionale coinvolse uomini dello Stato con mansioni diverse. Durante la fase ricompresa tra il 1970 e il 1973, esso fu storia dei servizi segreti, per quanto questi agissero su indicazioni delle istituzioni governative. A partire dal 1973 a cavallo della prima strage di Fiumicino, i contatti avvennero direttamente con gli uomini del Ministero degli Affari Esteri e furono coinvolti esponenti del Viminale, del Ministero di Grazia e Giustizia e anche alcuni rappresentanti della Magistratura: nel 1976 fu implicato anche il Presidente della Repubblica (Giovanni Leone). All’inizio degli anni ‘80, la politica di Andreotti e del primo Presidente del Consiglio socialista, Bettino Craxi, non fece altro che confermare l’operatività di questo accordo. Coinvolgendo i politici di vario orientamento, democristiani di diverse correnti, socialisti, le più alte autorità politiche dello Stato e alcuni esponenti della Magistratura, il “lodo” fu una politica dello Stato italiano… La classe dirigente italiana poteva, inoltre, annoverare altre ragioni e sostegno di un atteggiamento morbido nei confronti degli Stati sponsor del terrorismo: innanzitutto la questione del petrolio  che, insieme a quella della esportazione europea della violenza armata, costituì l’arma più appuntita che alcuni Stati arabi utilizzarono per ristabilire un diverso equilibrio con alcuni Paesi europei. Ma il discorso non si può limitare esclusivamente alla dimensione economica, per quanto essa gioca un ruolo estremamente rilevante nei primi anni ‘70 per l’Italia, e certo non solo per essa. Vi era anche un elemento correlato alla posizione geopolitica del paese: vi fu, nella classe dirigente italiana, da Rumor a Moro, da Andreotti a Craxi, l’idea che solo il dialogo con gli interlocutori mediterranei avrebbe consentito di inserirli più compiutamente in un sistema di sicurezza collettiva che garantisse la pace e soprattutto la stabilità sul fianco sud del Mediterraneo. Il “lodo” fu una politica efficace sul medio periodo, un gioco a somma positiva, se volessimo utilizzare un’espressione della teoria dei giochi.  Il sostegno all’ala moderata dell’OLP portò al rafforzamento, anche se altalenante, dei palestinesi disposti al dialogo; e sebbene l’emarginazione dei movimenti estremisti fu in parte compensata dal sostegno a loro offerto da alcuni Paesi arabi, l’apertura nei confronti dell’Iraq e soprattutto della Libia preservò la penisola dagli attacchi terroristici, quando tale equilibrio si ruppe a causa dell’affermarsi della Siria come sostenitore dei gruppi terroristici mercenari ai margini della Resistenza palestinese.””

Sin qui parti del libro.

Ora integrazioni, valutazioni e conclusione.

Tra i documenti consegnati all’Archivio centrale dello Stato in seguito all’importantissima (e finalmente realizzata!!) Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro nel 2014, con Presidente il grande  Deputato Giuseppe Fioroni, che ha continuato nell’opera di desecretazione di documenti di intelligence utili per ricostruire gli anni delle stragi e del terrorismo, è molto interessante citarne uno che reca l’intestazione “Ufficio R, reparto D, 1626 segreto”. È datato 17 febbraio 1978 e proviene da Beirut, “fonte 2000″. Non c’è nessuna firma, ma ad inviarlo è il Capocentro a Beirut del Sismi, Colonnello Stefano Giovannone, il “Lawrence d’Arabia” italiano, come era stato soprannominato, e ne rappresentava in campo in qualche modo “la politica mediorientale”. Giovannone fu infatti l’artefice del cosiddetto “Lodo Moro”, il patto segreto stretto tra la nostra intelligence militare e i servizi segreti palestinesi per tenere indenne l’Italia da attacchi sul suo territorio. Fu attraverso i suoi contatti a Beirut che Giovannone apprese, ben un mese prima dell’agguato di via Fani, della possibilità di una “operazione terroristica” in Italia definita “di notevole portata”. Sicuramente si tratta di un documento di cui nella sua integralità la Magistratura fu tenuta all’oscuro, mai acquisito dalla Procura di Roma. Il telex dimostra – al di là di ogni ragionevole dubbio, che si era in presenza di un quadro di elevata allerta, i cui rischi non erano adeguatamente valutati e i cui segnali furono probabilmente percepiti dallo stesso Moro. È infatti molto fondata l’ipotesi che Moro sia stato messo al corrente del messaggio da Beirut (anche in virtù dei rapporti che continuava a intrattenere con Giovannone), e di altri allarmi giunti nelle ultime ore e che ciò spieghi il colloquio con il Capo della Polizia, Giuseppe Parlato, che avvenne nello studio dello statista DC in via Savoia, la sera tardi del 15 marzo 1978. Il telex da Beirut metteva in luce l’esistenza di un accordo tra gruppi terroristici europei per compiere l’attentato. Quella pista non solo non servì a sventare l’agguato di via Fani, ma neppure a indagare sulle responsabilità del sequestro dopo un tragico epilogo. Comunque, ad evitare la tragedia sarebbe probabilmente bastata una macchina blindata per Moro e la sua scorta.

Il triplo Lodo Moro. In quel momento, alla fine del 1973, proprio dopo le stragi di Monaco e di Khartum, scocca l’ora dell’accordo con l’Italia. È il 17 dicembre. Al Tribunale Penale di Roma si celebra un processo contro 5 arabi trovati a Ostia in possesso di armi che volevano usare contro Israele. Nella tarda mattinata, da un volo proveniente dalla Spagna, all’aeroporto di Fiumicino scendono alcuni individui (cinque in totale) con bagagli a mano contenenti armi. Le estraggono dalle borse e si dividono in due commando. Uno dei gruppi si dirige sparando verso un aereo della Pan Am. Vengono gettate all’interno della fusoliera alcune bombe incendiarie al fosforo. Il velivolo si incendia istantaneamente. Muoiono carbonizzati 28 passeggeri e una hostess (ricordo bene, in quanto ero Ufficiale di turno alla Centrale Operativa della Legione di Roma, per cui avvertii subito il Comandante, il grande Colonnello Giuseppe Siracusano, che venne in Centrale per seguire via radio quei drammatici momenti). Sedici persone furono ricoverate negli ospedali romani. Una di queste perì poco dopo per le ustioni. Il secondo commando raccolse altri ostaggi per salire a bordo di un aereo Lufthansa che poi decollò con destinazione prima ad Atene, poi a Damasco infine nel Kuwait: qui, nella serata del giorno successivo, furono liberati gli ostaggi sopravvissuti e arrestati i terroristi. Claire Sterling,  giornalista e scrittrice statunitense,  ricorda, in un suo studio: “quel giorno del dicembre 1973, quando Aldo Moro, allora Ministro degli Esteri, comparve davanti al Parlamento italiano per difendere il Colonnello Gheddafi dall’accusa, peraltro fondata, di avere organizzato, il 17 dello stesso mese, la più atroce azione terroristica compiuta in Europa negli anni 70 (…) Ero seduta nella tribuna stampa quando Moro parlò alla Camera dei Deputati, affermando che era felice di accettare il vigoroso diniego del Colonnello Gheddafi, che si dichiarava del tutto estraneo alla vicenda di Fiumicino”. Accade così che due dei cinque palestinesi che avevano fatto parte del gruppo di assalto ottennero la libertà provvisoria e gli altri tre vennero rispediti in Libia a bordo di un aereo militare italiano. Era già dal 1970 che l’Italia, attraverso accordi segreti, operava tali scarcerazioni a favore dei libici, e prima ancora (dal dopoguerra) di israeliani implicati in analoghe vicende processuali. Da allora quel patto è durato praticamente fino a oggi. In Italia è stato Aldo Moro a confessarlo, per tentare di ottenere la propria liberazione attraverso lo scambio con terroristi arrestati. Ma questo andava contro le posizioni ufficiali. Non avvennero scambi e Moro venne ucciso. E l’intera vicenda, imputata e attribuita esclusivamente alle Brigate Rosse, è rimasta ancora in gran parte segreta.

Concludendo, un lavoro storico rigoroso, uno spaccato nitido degli anni della strategia della tensione, delle stragi, del terrorismo politico che ben conosciamo e ricordiamo. Anni in cui però l’Italia venne “risparmiata” dal terrorismo mediorientale, fatta eccezione per alcuni sanguinosi attentati, fino ai giorni nostri, in cui la causa palestinese è quasi scomparsa dalla scena internazionale e grandi sponsor del terrorismo come Iraq, Siria e Libia sono stati via via abbattuti o messi in forte difficoltà. Intanto, negli ultimi anni, è emersa una nuova ben nota pericolosissima  forma di terrorismo, a matrice religiosa, che però al momento tra i grandi Paesi europei ha risparmiato proprio l’Italia. (Mio articolo su www.attualità.it Direttore Salvatore Veltri). Esiste ancora oggi un “Lodo Moro”? “Faccio la storica, non posso predire il futuro né analizzare il presente” premette sul punto Lomellini, che tuttavia appare possibilista: “Pur non avendo basi documentali, voglio essere ovviamente molto onesta in questo, è possibile ricondurre la politica del Lodo a un contesto più ampio, in un quadro più generale di collaborazione con i Paesi del Mediterraneo. Dinamiche e relazioni che possono senz’altro continuare anche oggi e che chissà, in qualche modo potrebbero averci protetto”.

Fino a quando, e soprattutto a quale costo?

Ho finito.

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