Il Ricatto alla Repubblica… Ricordando vicende da film di Mafia Capitale… Massimo Carminati

Roma, 16 aprile 2020 – Luglio 1999: Massimo Carminati svuota il caveau della banca all’interno della città giudiziaria di Roma. Un’azione spettacolare: un commando riesce a saccheggiare alcune delle cassette di sicurezza della banca più sorvegliata d’Italia, senza sparare, senza forzare neppure un lucchetto, senza far scattare il doppio sistema d’allarme. Un colpo da 18 miliardi, ma Carminati, allora sotto processo per l’omicidio Pecorelli, non cerca i soldi. Ha in mano una lista di 147 cassette di sicurezza di Magistrati, Avvocati, funzionari, alcuni connessi con i più grandi misteri d’Italia: dalla strage di Bologna alla P2, dal delitto Pasolini all’omicidio Pecorelli, dalla Banda della Magliana a Cosa nostra.

Diciotto anni dopo, Lirio Abbate, con il libro “La Lista- Il Ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati”, edito da Rizzoli marzo 2017, ha trovato le prove dell’esistenza di questa lista e racconta chi erano i derubati e come Carminati è riuscito a impossessarsi di documenti scottanti per ricattare Magistrati… Quindi, un libro che va letto, sicuramente di grande interesse…Iniziamone l’esame di alcune parti, come da mio metodo…

-da pag.7…””Il Filo nero…È un colpo messo a segno nella notte tra venerdì 16 e sabato 17 luglio 1999 da una banda specializzata che avuto il compito di aprire la strada a chi ladro non è. E di far scivolare nel cuore di questo grande forziere blindato – fra le cinque persone del gruppo che sono entrate nel cavo – un uomo dal passato nero, dei collegamenti criminali con il terrorismo e la mafia, il cui unico obiettivo è di mettere le mani proprio su quell’oggetto segreto che vale più di una vita umana. La banca assaltata non è una banca qualsiasi, ma un istituto di credito particolare, unico nella Capitale, che racchiude al proprio interno cassette di sicurezza di Magistrati, Avvocati, funzionari del Ministero di Giustizia…””

da pag.22…””Indizi…Una banca all’interno di un Palazzo di giustizia è una grande comodità per chi ci lavora.Tra i clienti della filiale 91 della Banca di Roma di piazzale Clodio, infatti, ci sono molti Avvocati e Magistrati. Qualcuno ha anche affittato una cassetta nel caveau sotterraneo. È per questo che tra le vittime si contano molti togati che operano del Tribunale della Capitale, e ciò porta a spostare la competenza dell’inchiesta a Perugia, la cui Procura si occupa dei reati che coinvolgono i Magistrati di Roma. L’indagine viene affidata alla Polizia capitolina con in testa il Capo della Mobile Niccolò D’Angelo, e si orienta subito verso il mondo dei “cassettari”…Mentre si seguono queste piste, alcune fonti confidenziali rivelano alla Polizia che la rapina è riuscita grazie alla complicità, o alla negligenza, delle Forze dell’ordine addette alla vigilanza della cittadella, presidiata di notte da pochi Carabinieri. L’informatore fa un nome preciso, e rivela che per il furto è stato usato un furgone simile a quello in dotazione ai Carabinieri, blu con il tettuccio bianco. Se vogliono trovarlo, devono andare a cercarlo da un noleggiatore ai castelli romani…””

da pag.38…””I cassettari… Chi protegge la cittadella?…Quella di Roma è una città giudiziaria complicato da proteggere. A svolgere questo incarico, nel 1999, sono prevalentemente gli uomini dell’Arma. Spetta a loro fornire in quel periodo assistenza ai dibattimenti, occuparsi dei detenuti, tradurli dal carcere in aula per le udienze. E, così come spetta allora, sorvegliare gli uffici del Procuratore, del Presidente del Tribunale, del Presidente dei GIP e di tutti i Giudici che sono in servizio in questa sede. A tenere sotto controllo gli accessi esterni oltre ai Carabinieri ci sono gli Agenti del Commissariato interno della città giudiziaria, che nel 1999 presidiano l’entrata principale di Piazzale Clodio. Questo di giorno. Di notte, quando gli edifici giudiziari si svuotano, restano a presidiarli due Carabinieri e un Poliziotto, che di solito rimane dentro il Commissariato…””

da pag.40…””Quando viene arrestato, nel dicembre 1999, il Carabiniere… confessa agli inquirenti di essere colpevole. Hanno partecipato al furto, con lui, tre suoi colleghi:……. I primi due sono assegnati al Nucleo Tribunali con servizi di vigilanza sul piazzale Clodio, il terzo lavora presso il Nucleo scorte. Ma anche loro ammettono le proprie responsabilità: quando vengono interrogati raccontano come si siano svolti i fatti. In sede di dibattimento, però, solo… confermerà quanto dichiarato durante la fase delle indagini, accettando la sentenza di colpevolezza emessa nei suoi confronti nel dicembre 2001. Gli altri tre Carabinieri, esercitando un loro diritto, decidono di avvalersi della facoltà di non rispondere e di ricorrere in appello. Ma la storia è solo all’inizio e riserva ancora molte sorprese…””

da pag.49…””Tra il 1980 e primi mesi del 1981, Carminati trascorre un periodo di addestramento in Libano, al fianco di altri appartenenti ai NAR, tra i quali Pasquale Belsito e Alessandro Alibrandi. I falangisti Cristiano-maroniti di Kataeb si distinguono per feroce determinazione nella lotta contro i palestinesi dell’Olp alleati ai musulmani libanesi. Già negli anni 70, Carminati cattura l’interesse di Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati, storici boss della banda della Magliana. I due ne apprezzano la spregiudicatezza e il coraggio. Lo prendono sotto la loro ala protettiva sia per coinvolgerlo nelle attività illecite sia per avere uno scambio di favori. È probabile che alla base di questa operazione vi sia il riciclaggio di denaro proveniente dalle rapine di autofinanziamento dei NAR. Il compito della banda è di reinvestirlo in altre operazioni illecite quali l’usura o lo spaccio di droga. Non a caso il rapporto tra i tre nascerà proprio all’indomani di una rapina: quella alla filiale dell’Eur della Chase Manhattan Bank, il 27 novembre 1979, realizzato da Carminati e altri camerati. Sarà Maurizio Abbatino, uno dei leader storici della banda della Magliana e collaboratore di giustizia, a confermare la tesi del riciclaggio in un interrogatorio del 3 dicembre 1992. “Franco Giuseppucci era un accanito scommettitore e, per tale sua passione, frequentatore di ippodromi, fra le corse e bische, ambienti nei quali non disdegnava di prestare i soldi a strozzo e a chiedere interessi del 20-25% mensili. Il denaro che riceve da Carminati consentiva ai due di ripartire tra loro il provento degli interessi: a Carminati veniva corrisposta una stecca del 10-15%…”. Carminati e i suoi complici, quindi, ricambiano generosamente i favori di Giuseppucci: i neri si adoperano spesso e volentieri in azioni violente di recupero crediti e danneggiamenti, nei confronti di alcuni soggetti entrati in conflitto con gli affari della banda della Magliana…””

da pag.81…””Il piano occulto…La strana coppia…L’impresa per la banda è andata a buon fine, fruttando 18 miliardi di lire. I Carabinieri infedeli e corrotti, dopo molte insistenze, hanno ottenuto una quota irrisoria, con l’equivalente di 150 milioni. Il resto? Che fine hanno fatto i borsoni stracolmi che gli uomini del commando hanno portato fuori della banca la notte tra il 16 e il 17 luglio 1999? Impossibile dirlo. Si sa soltanto che a poca distanza dal furto, un paio di questi borsoni hanno soggiornato probabilmente in un ufficio del Palazzo dei congressi dell’Eur…””

-da pag.97…””Nel luglio del 2000, intanto, quando le indagini non sono ancora concluse, parlando ai giornalisti, il Magistrato Silvia Della Monica afferma che il furto al caveau “è fonte di allarme perché è stato un attacco alle istituzioni”. E spiega: “la banda della Magliana aveva interesse a ottenere vantaggi processuali” e per questo, secondo l’accusa, l’interesse dell’organizzazione è stato rivolto in modo mirato a quelle cassette di sicurezza che potevano contenere documenti o altro materiale con cui poter ricattare i depositari, in prevalenza operatori giudiziari, da Magistrati ed Avvocati, dipendenti del Ministero della Giustizia. Per la PM, “Le istituzioni sapranno reagire con fermezza e faranno pulizie in casa propria”, riferendosi in questo caso anche ai Carabinieri. Esiste davvero un mandante occulto che ha ideato quel piano allo scopo di impossessarsi di documenti? I ladri penetrati dentro la banca, le hanno davvero trovate, quelle carte, portandole via insieme a borsoni stracarichi di soldi e gioielli? Una volta trovati, sono poi stati usati, quei documenti? In che modo? Sono domande cruciali, su cui i PM hanno cercato tenacemente di far luce durante il processo. Se una persona ha nascosto qualcosa che scotta in una cassetta di sicurezza e questo qualcosa viene rubato, quanto è probabile che la persona in questione ammetta di esserne stata privata? Soprattutto davanti a un Giudice? Sono molti i Magistrati e gli avvocati che possiedono una cassetta in questo caveau, ma nessuno di loro ha mai denunciato la scomparsa di documenti. Ciò non significa che non ce ne fossero. I Magistrati hanno provato che molte cassette erano piene di documenti, e alcuni avvocati hanno confermato che le avevano prese per custodire atti di loro clienti…””

-da pag.111…””Un delitto senza colpevoli… Nei mesi in cui progetta e mette in atto l’incursione al caveau, Carminati è in attesa di una sentenza importante. Per un fatto accaduto esattamente vent’anni prima. La sera del 20 marzo 1979 viene assassinato il giornalista Mino Pecorelli. Un uomo con un impermeabile chiaro lo avvicina in via Orazio, a Roma, mentre sta salendo sulla sua Citroën, e gli scarica addosso quattro colpi di pistola, uno in faccia e tre alla schiena. Pecorelli dirige, all’epoca, il settimanale “OP – Osservatore Politico”, rivista che scandaglia i retroscena più torbidi del mondo politico e finanziario italiano…
Le indagini vengono avviate dal Magistrato Domenico Sica, che più tardi diventerà Alto Commissario per la lotta allamafia e vent’anni dopo sarà anche lui tra le vittime del furto al caveau della Banca di Roma… Viene assolto anche l’uomo che si presume aver materialmente commesso il delitto: Massimo Carminati. A legarlo all’uccisione di Pecorelli c’è un indizio pesante. I proiettili calibro 7,65 utilizzati per freddare il giornalista sono due di tipo Giavelot, una marca francese piuttosto rara e difficile da reperire sul mercato, e due di marca Fiocchi. Proiettili molto simile a questi, per di più appartenenti agli stessi lotti con lo stesso grado di usura del punzone che marca la punta, vengono ritrovati il 25 novembre 1981 nell’arsenale che la banda della Magliana ha allestito nei sotterranei del ministero della sanità, all’Eur…””

-da pag.187…””Con l’arrivo di Pignatone in Procura, il cambio di rotta è subito evidente, Carminati lo capisce al volo. In questo modo, dopo la pax imposta dal Cecato all’inizio del 2012, all’interno del Grande raccordo anulare, l’ondata di omicidi riconducibili alla criminalità organizzata si placa. La forza di Carminati si misura anche in questo e proprio su questo fonda il suo potere: la capacità di risolvere i problemi. Imprenditori e commercianti si rivolgono a lui in cerca di protezione, per recuperare i crediti, per ottenere prestiti in denaro.Può contare sui vecchi camerati che con lui hanno condiviso la militanza nell’ estremismo neofascista, molti dei quali, con l’elezione di Gianni Alemanno a Sindaco di Roma, vanno a rivestire incarichi manageriali o di consulenza nelle aziende municipalizzate. A poco a poco, mette su un impero. Un’organizzazione capillare capace di infiltrarsi, in silenzio, e fare affari, manipolare la pubblica amministrazione, grazie soprattutto alla forza dell’intimidazione di riflesso e grazie anche al sodalizio con Salvatore Buzzi, Presidente della Cooperativa sociale 29 giugno, socio occulto di Carminati e suo braccio operativo della politica del Campidoglio. Il Cecato crea un ordinato sistema corruttivo per l’assegnazione degli appalti nel settore ambientale delle politiche sociali, facendo da collettore per i finanziamenti da parte del Comune di Roma e delle municipalizzate. Amministratori, pubblici ufficiali, sono messi a libro paga per dirottare le commesse sulle cooperative collegate a Buzzi e Carminati, che fanno soldi con lo smaltimento dei rifiuti, l’accoglienza di immigrati e rifugiati, la gestione dei campi rom e delle mense, la manutenzione di strade, parchi e giardini. E finanziano cene e campagne elettorali a sostegno di politici di destra e di sinistra. Un’impostazione bipartisan per garantirsi il massimo dei profitti. Per quelli che non ci stanno con le buone, ci sono sempre le cattive.Questo mondo sommerso che brulica di altri fatti della Capitale viene definitivamente scoperchiato nel dicembre 2014, quando il Procuratore Pignatone coordina l’arresto di una quarantina di persone, tra cui Carminati, e diventa di dominio pubblico l’evidenza che Roma si muova sul metodo mafioso…””

Sin qui il libro…

Ora commenti e riflessioni, ad integrazione. A Perugia, nel 2005, a conclusione di un dibattimento che riserva udienza dopo udienza molte sorprese a favore dell’imputato, il boss nero viene condannato a quattro anni per il furto al caveau e la corruzione dei Carabinieri. Le sentenze denunciano reticenze dei testimoni, rifiuto di deporre, depistaggi, falsi alibi accreditati.
La condanna per il colpo al caveau diventa definitiva il 21 aprile 2010. Ma Carminati evita il carcere grazie all’indulto, che gli cancella tre anni di pena. Quindi ottiene l’affidamento nella cooperativa sociale di Salvatore Buzzi. E, secondo l’accusa, fonda Mafia Capitale. Ricordiamo un articolo de “L’Espresso” del lontano 6.12.2012, dove leggiamo: ”Le istituzioni per anni non sono riuscite a scardinare questo sistema. Ha pesato anche un deficit culturale: l’incapacità di riconoscere la manifestazione di questo differente modo di essere mafia e imporre il dominio sulla città. Il reato di associazione mafiosa non è stato mai riconosciuto in una sentenza: i Giudici hanno sempre stabilito che a Roma ci fossero trafficanti, rapinatori, spacciatori ma non vere organizzazioni criminali. È questo il clima che serve ai clan per prosperare…”.
Aggiungiamo che non appena i giornali nel 2012 hanno fatto trapelare la possibilità che alla guida della Procura della Repubblica capitolina potesse arrivare Giuseppe Pignatone, che avrebbe certamente imposto di “aprire i cassetti”, lui, con decenni di esperienza nella lotta alle cosche calabresi, è accaduto che i boss hanno deciso di imporre la pace. I delitti sono cessati all’improvviso: negli ultimi dodici mesi ci sono stati solo due omicidi connessi alla criminalità, entrambi però sul litorale, lontanissimo dal centro; niente più omicidi ma solo affari svolti in silenzio con l’aiuto della politica sostenuta dalla mafia. E aggiungiamo… Quel che nel contesto andava da tempo fatto, in primis, sarebbe stata la prevenzione! Non fatta… Indolenza?…Modestia di vedute? Certamente si sosteniamo noi, da osservatori…
A questo comunque ha dato una degna risposta il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione dell’epoca, Raffaele Cantone, che ha sostenuto: “Le persone perbene non riescono a fare carriera all’interno della Pubblica Amministrazione. Spesso sono meno responsabilizzate perché considerate per bene…”.
Su questa testata, più volte abbiamo sostenuto la circostanza del perché, oggi, tutti si lamentano che in Italia non funziona la Pubblica Amministrazione con i suoi uffici centrali o distaccati; perchè la Giustizia è lenta mentre la sanità non va benissimo e la scuola e le Università sono carenti…
Perché la prevenzione di Polizia è insufficiente…
Ribadiamo il concetto che da tempo la politica ha occupato tutti gli spazi e la tecnica fa poco o nulla d’iniziativa per migliorarsi, sempre in attesa dell’input della politica sul da farsi, però nei termini indicati dalla politica stessa.
Diciamo che questo è molto grave perché facendo così mettiamo a rischio la vita e la sicurezza dei cittadini…
Si ripristino i vecchi criteri, soprattutto si dia spazio al merito, ormai col “piqquattrismo” degli ultimi trent’ anni diventato una Chimera (lo sappiamo bene…!!), e si vedrà un sostanziale miglioramento del quadro generale. Sia certamente la politica a dettare le linee strategiche, ma dovrà essere la tecnica, ai vari livelli di responsabilità, a fare ciò che le compete.

Come una volta, in modo autonomo, incisivo e determinante. Ho finito.

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