Il sempiterno problema della mafia.. il pensiero giuridico di oggi, a confronto con la volontà politica di ieri…

Roma, 11 giugno 2019 – Sulla rivista giuridica “Questione giustizia” un interessantissimo articolo di Piergiorgio Morosini, Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo dal titolo “Inquinamento mafioso della politica e legge penale”. Riporto alcuni passi…“”Ce lo siamo detti a sazietà, nel nostro Paese l’inquinamento mafioso della politica rappresenta un serio pericolo per economia, diritti e democrazia. Quando inchieste clamorose su esponenti politici di spicco balzano agli onori delle cronache, la questione non resta confinata nelle aule giudiziarie, nei partiti o nelle assemblee parlamentari, ma finisce per alimentare un aspro dibattito nella stessa opinione pubblica. È noto che tra le principali vocazioni delle «mafie storiche» vi sia quella di procurare voti a sé o ad altri in occasione delle consultazioni elettorali. Eppure il “nuovo” Parlamento, sin dalle prime battute, ha interpretato l’esigenza di contrastare certe «alleanze» concentrando (e bene ha fatto! nda) tutti i suoi sforzi nell’intervento penale sui metodi di raccolta del consenso elettorale. Il traguardo finale di quell’impegno, la “maggioranza” lo ha identificato nel «drastico intervento correttivo» sulla «norma simbolo» che reprime il voto di scambio politico-mafioso. Solo la prassi applicativa ci dirà se la normativa sia idonea a garantire un equilibrio tra corretto esercizio dei diritti politici di rango costituzionale e repressione dell’inquinamento mafioso del voto. Le novità di rilievo, introdotte con l’approvazione definitiva del disegno di legge n. 510 B nella seduta del 15 maggio 2019 al Senato, sono sostanzialmente due: l’estensione dell’area dei «patti» penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 416-ter e l’aumento consistente dei carichi sanzionatori.
Sul primo versante, si prevede innanzitutto che il conseguimento, diretto o a mezzo di intermediari, della promessa del sostegno elettorale da parte di soggetti appartenenti ai clan mafiosi sia punito non solo in cambio di danaro o di «qualunque altra utilità» (come già stabilito dalla legge n. 62 del 2014), ma anche della «disponibilità a soddisfare interessi o esigenze della associazione criminale». Proprio in questa ultima clausola, ossia nel concetto di «disponibilità», si annidano le insidie. D’altronde, nella storia del nostro sistema penale positivo, non vi è traccia del termine «disponibilità», prima di questa riforma. Quella «lacuna» non è dipesa da un incidente della storia. Il concetto di «disponibilità» appare vago, inafferrabile, non compatibile con la necessaria determinatezza dell’illecito penale, peraltro imposta anche dalla Costituzione. Nella illusione di attribuire una autentica efficacia dissuasiva al precetto penale, si è così ridefinita la cornice edittale del reato di cui all’art 416-ter. Si è passati, per entrambi i contraenti del patto illecito, dalla sanzione della reclusione dai 6 ai 12 anni a quella dai 10 ai 15 anni; sanzione che l’ordinamento fissa nella stessa misura anche per l’appartenente all’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis, comma 1). Inoltre si è prevista una aggravante in caso di elezione, che può portare il massimo della pena addirittura sino a ventidue anni e sei mesi. Minacciare una pena molto alta viene considerato un forte deterrente ai «patti scellerati».
Considerazioni.. (particolari) possono farsi per la dimensione internazionale delle mafie italiane. Un rapporto Europol del 2017 parla di boss italiani che ormai investono nell’economia legale dei Paesi europei, soprattutto nei settori finanziario e immobiliare. Anche per queste operazioni possono essere decisivi i rapporti con la politica. Eppure si avverte uno scarso interesse sulla adesione dell’Italia alla Procura europea (EPPO), che sarà operativa dal 2021. Non è un buon segnale dato che quella novità è destinata a rafforzare la cooperazione giudiziaria tra diversi Paesi, per colpire meglio i reati utili alla mafia mercatista e ai suoi complici, non di rado provenienti dal mondo politico. In conclusione, per impedire che la nostra società, la nostra economia e le nostre istituzioni siano inquinate da logiche criminali, non bastano le illusioni degli slogan e neppure gli inasprimenti di pena per qualche reato (peraltro già molto rigorose sul versante antimafia). Vanno piuttosto aggiornate alleanze internazionali, analisi dei fenomeni e pensiero giuridico. Una nuova frontiera, quindi, che richiede investimenti nelle migliori risorse istituzionali, professionali e culturali del Paese…””
Sin qui l’articolo…condividendo il pensiero del Magistrato soprattutto su quest’ultima parte.Ora, trattando questa materia, torna il ricordo di un bellissimo libro, che invito a leggere, su una storica personalità dell’antimafia, quella vera: “Sulle ginocchia. Pio La Torre, una storia“, Melalampo Editore..scritto dal figlio Franco.. Un eroico politico da non dimenticare: l’on. Pio La Torre.. Una memoria insieme commovente e asciutta, che racconta un leader politico con gli occhi del bambino e dell’adolescente ma anche con la consapevolezza di chi oggi è dirigente dell’associazione “Libera”.. Nella lunga storia della lotta alla mafia e dei rapporti tra mafia e Stato c’è uno spartiacque. È la legge Rognoni-La Torre, che ha istituito il reato di associazione mafiosa e introdotto il sequestro e la confisca dei beni mafiosi. Una rivoluzione pagata con la vita dal suo ispiratore, Pio La Torre (pubblicata foto del mortale attentato del 30 aprile 1982, a Palermo), coraggioso e carismatico Deputato comunista di un tempo purtroppo lontano, una vita dedicata alla giustizia sociale e alla lotta alla mafia.
Nella circostanza, non possiamo non ricordare che proprio in questi giorni ricorre il 35 anniversario della morte del grande uomo della “questione morale”, Enrico Berlinguer..in piena sintonia con Pio La Torre… Dunque, La Torre, un dirigente politico sempre in prima fila, dal movimento contadino che gli costò il carcere fino all’impegno nella Commissione Parlamentare Antimafia, e poi alla grande battaglia per la pace contro i missili a Comiso, sul quale si è però scritto poco…Perché?.. Il suo nome viene poco ricordato perfino durante i “campi” sui beni confiscati, oggi luoghi simbolici di una volontà di riscatto civile. Questo libro vuole contribuire a ridare di lui la giusta memoria. E lo fa attraverso un testimone d’eccezione, il figlio Franco che scrive: “”.. Ho compiuto 55 anni il 25 giugno del 2011.L’età che mio Padre non ha raggiunto. Mio Padre, nato il 24 dicembre del 1927, è stato ucciso il 30 aprile del 1982; ne aveva, da pochi mesi, compiuti 54 (pag.9)… Eppure, che la vita di mio Padre fosse in pericolo- da quando era tornato a Palermo, nell’autunno del 1981- era evidente, a lui per primo….Nella nostra prima immagine insieme, mio Padre mi tiene in braccio. Sorridiamo, siamo entrambi contenti. Sono felice di osservare la realtà stretto a lui e mio Padre è felice di mostrarmi la realtà (pag.15)…La decisione di tornare in Sicilia affondava le sue ragioni nell’origine del suo impegno a fianco del popolo siciliano nella lotta per liberarsi dalle condizioni di sottosviluppo e subalternità quando, giovane studente universitario, aveva deciso di aderire al PCI… In quegli anni (pag.20) i comunisti erano impegnati per l’effettiva applicazione dei decreti del grande Ministro dell’Agricoltura del PCI, Fausto Gullo, calabrese della provincia di Cosenza, provvedimenti legislativi che garantivano ai contadini maggiori diritti e più terre da coltivare. Lo svuotamento delle norme, operato dal successivo Ministro (il DC gran proprietario terriero in Sardegna nda) Mario Segni e l’opposizione dei proprietari terrieri scatenarono, soprattutto nel Mezzogiorno, la richiesta di una vera riforma agraria e un’ondata di proteste popolari con dure repressione poliziesche…(da ricordare le lotte di Melissa in Calabria, nel crotonese, di cui esiste ancora ampia memoria come da me personalmente constatato). La lotta alla Mafia è storia antica, in Italia. Pensare che la nascita della prima Commissione Parlamentare d’inchiesta (altre seguiranno nel tempo, sino ai nostri giorni) è del 12 dicembre 1962 ed ha un iter formativo tormentato (attraverserà tre Legislature per un totale di tredici anni). In sede parlamentare se ne discusse dal 1948, dopo la strage di Portella della Ginestra dell’anno precedente, con una proposta di Legge. L’ipotesi fu respinta dalla maggioranza, che giudicava la mafia un fenomeno locale, circoscritto nel “clima e nell’ambiente siciliano”. E la stessa strategia si ebbe nel 1954 e nel 1956 quando, a seguito di forti richieste di Parlamentari, il Governo rispose che “..la mafia non esiste più, si è sciolta nella criminalità comune…La proposta di legge riapparve il 26 aprile 1961, dopo un voto finalmente unanime del Senato che ne ravvisava l’urgenza.
La Commissione iniziò ad elaborare una relazione che intanto portava nel 1965 alla prima Legge Antimafia, di grande efficacia, che sarà nel tempo base per tutte le normative specifiche. Poi, metteva in luce le illecite attività del Sindaco di Palermo Salvo Lima e di Vito Giancimino, con note biografiche su Luciano Liggio e altri boss, sui famosi cugini Salvo, ben ammanicati con capibastone e gli alti piani della politica nazionale (Andreotti nda), i quali, con la Satris, l’Agenzia regionale di riscossione delle tasse, imponevano un balzello sino al 10%, mentre nel resto della Penisola era del 3,5%. Un vero e proprio sistema feudale. Si segnalavano, poi, le imprese dei famosi grandi imprenditori dell’edilizia di Catania, i cosiddetti Cavalieri del Lavoro, i Salvo, i Rendo e i Costanzo, che avevano esondato a Palermo da Catania monopolizzando tutti gli appalti e di più, a dimostrazione della saldatura tra mafia palermitana e quella della città etnea. Chi li intralciava o indagava, la pagava cara, come accadde al giornalista Pippo Fava.
Nella relazione parlamentare di La Torre per la prima volta si evidenziava una realtà sconcertante: a Palermo, città emblematica e ricca a dismisura, dal 1952 al ’72 le banche erano cresciute del 586 per cento mentre in Italia dell’86; le società per azioni in Città aumentarono del 202 per cento mentre nel resto d’Italia del 30. Ma veniamo a tempi più recenti, quelli della nostra storia, che è quella della neutralizzazione morale e fisica di integerrimi e coraggiosi Servitori dello Stato.
Si comincia il 25 settembre 1979, quando gli equilibri all’interno di Cosa Nostra sono ovviamente mutati, con l’uccisione del Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo Cesare Terranova, unitamente all’Agente di PS Lenin Mancuso, proprio nel giorno del suo insediamento nell’alta carica. Preoccupava i Corleonesi il rientro in scena del Magistrato che ha fatto processare Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Intanto, il coraggiosissimo Parlamentare Pio La Torre, proprio in quei giorni, firmava una proposta di Legge antimafia (che “more italico” sarebbe stata approvata dopo la Sua morte nda). La già citata “legge Rognoni – La Torre”, che qualifica il reato di associazione mafiosa, sulla base del principio che il solo fatto di essere mafioso è reato; impone il controllo sui patrimoni giungendo sino alla confisca dei beni; abolisce il segreto bancario, vedrà la luce il 13 settembre 1982, dieci giorni dopo la morte del Generale dalla Chiesa (mesi prima di essere ucciso, l’On.Pio La Torre, molto allarmato, chiese al Presidente del Consiglio Spadolini, persona dabbene, di considerare la Mafia problema nazionale e, nella circostanza, consegnò un dossier sulle strategie di contrasto. Chiese anche di inviare il Generale dalla Chiesa, da Lui ben conosciuto e stimato negli anni precedenti, in Sicilia, progetto che si concretizzò appena un mese dopo con la nomina dell’alto Ufficiale a Prefetto di Palermo…””
Molto interessante la raccolta di scritti che da pag.124 a pag 200 incrementa la conoscenza dell’autorevole uomo politico con titolo: “Dal primo all’ultimo.1946-1982. Scritti di Pio Latorre”.Tra questi segnaliamo:”Da Corleone alle Madonie. I lavoratori si organizzano per le nuove lotte”(pag.131); “Corruzione e disordine amministrativo al Comune di Palermo” (È di scena l’Immobiliare Vaticana) (pag.135); “I gravissimi fatti di mafia di Viale Lazio a Palermo” (pag 161); “Basi NATO? Ma ci lascino in pace” (pag.167); “E io accuso la DC” (pag.175); ” Mafia e terroristi alleati contro l’apertura ai comunisti” (pag.181)
Ora, quale riflessione fare?… Sempre la stessa…. Oltre al ricordo commosso e direi rammaricato per questi veri e propri Eroi della Patria, in primis va indirizzata coralmente la più forte richiesta alla Politica, quella con la “P” maiuscola oggi inesistente, di collocare ai primi posti dell’attuale grave contingenza nazionale, la lotta alle Mafie, non con chiacchiere di facciata come quando si strombazzano gli elenchi di scagnozzi latitanti, catturati con fatica dalle più che eccellenti Forze dell’Ordine d’intesa con una Magistratura Antimafia di altissimo livello, ma legiferando per norme adeguate. E questo va fatto per la corruzione (soprattutto ora che è stata finalmente ratificata la convenzione di Strasburgo dopo lunghissimi anni).
Concludo, invitando i miei 25 lettori a trovare questo grande libro..cosa oggi non difficile….

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