Nei giorni scorsi ho acquistato in edicola un “fumetto” dal titolo “GABRIELE d’ANNUNZIO TRA AMORI E BATTAGLIE“, inserto del quotidiano “Il Giornale”. L’iniziativa prende spunto dalla bella biografia del Poeta scritta dallo storico Giordano Bruno Guerri, Presidente della Fondazione del Vittoriale degli Italiani, che Edoardo Sylos Labini interpreta e rivisita insieme con Francesco Sala dando vita ad una pièce teatrale assolutamente innovativa che sarà presentata in varie città ripercorrendo la vita del sommo scrittore.
Sarà invece la presentazione nella Sala Consiliare del Comune dell’ultimo libro della scrittrice Paola Sorge l’evento di apertura delle celebrazioni a Pescara, città dove nacque il Poeta nel 1863, dal titolo “ELEGANZA E VOLUTTA’ IN GABRIELE d’ANNUNZIO“, edizioni Carabba. Così l’Italia, in modo in verità modesto, celebra il 150° anniversario della nascita di uno dei maggiori rappresentanti della cultura del ‘900. La bibliografia dannunziana, lo sappiamo, è sterminata, sia dedicata alla vita, sia alle vicende belliche, come agli amori e ovviamente ad ogni aspetto della sua imponente produzione letteraria.
Nel 1963, non tutti ricordano, nel centenario della nascita, tutta la stampa nazionale e internazionale si occupò delle manifestazioni organizzate a Pescara al “Teatro Monumento Gabriele D’Annunzio”, inaugurato in brevissimo tempo per l’occasione (oggi cade a pezzi in un totale abbandono e disinteresse). Eccetto Pescara, le celebrazioni passarono sottotono nel resto d’Italia perché la cultura dominante gestita dalla sinistra becera e mistificatrice che collegava con malafede e ingiustamente il Vate al Fascismo non tollerava riti inopportuni; e tutti, “more italico”, abbassarono la testa, salvo rare eccezioni.
Ricordiamo comunque che solo dopo il 1963, appunto nel centenario della sua nascita, si è cominciato a valutare d’Annunzio in modo differente dalle sue opinioni politiche, facendo riferimento alla sua produzione letteraria.
Un ruolo importante ha svolto, in questa direzione, la rivista “QUADERNI DANNUNZIANI” della “Fondazione Il Vittoriale degli Italiani”, che ha riportato di volta in volta sia gli atti di importanti convegni che si sono tenuti al “Vittoriale”, sia studi e ricerche di autori vari. Sappiamo tutti da reminiscenze scolastiche che il Vate fu anche tra i primi poeti del colonialismo ed il cantore della spedizione libica (1911) per cui, per la sua capacità retorica, ha certamente favorito l’affermarsi di un nazionalismo bellicoso; Egli, ancora, realmente esercitò un’influenza grandissima sulle vicende che condussero all’intervento l’Italia nella prima guerra mondiale, tanto che dichiarata la guerra, partì volontario per il fronte, prima nell’Esercito e poi nella Marina, divenendo pioniere dell’Aviazione e sempre si comportò da valoroso per cui meritò la Medaglia d’Oro al Valore Militare per le importanti azioni di cui fu protagonista. Con l’armistizio, il Poeta-Soldato non ritenne esaurito il suo compito e dette vita all’impresa fiumana assumendo dopo l’occupazione della Città i poteri di Capo del piccolo Stato della “Reggenza del Carnaro” (1919-1920). A conclusione dell’impresa, D’Annunzio si ritirò al “Vittoriale” dove visse appartato sino alla morte (1938).
D’Annunzio poi, inutile e davvero irrispettoso per la storia negarlo, piaccia o no, influenzò enormemente la cultura italiana e non solo; Egli fu certamente lo scrittore ed il Poeta che ebbe fra i due secoli la più vasta risonanza in Italia ed anche in Europa dominando sulla letteratura e sul costume del tempo. Sono assai rilevanti le tracce lasciate da Lui nella letteratura, in particolare nella poesia italiana del Novecento, come testimonia Eugenio Montale, ricordando che “tutti sono passati attraverso il d’Annunzio, foss’anche solo per negarlo“! La durevole influenza di D’Annunzio sulla gente fu dovuta alle sue doti di scrittore e alla sua capacità di seguire l’evoluzione del tempo, prima in un pubblico ristretto poi, sempre di più, in larghi strati di un ceto medio allora molto ampio e presente. D’Annunzio, tra l’altro, ha anche il merito di aver avvicinato una parte del mondo operaio propugnando una sorta di alleanza fra capitale e aristocrazia operaia, rivolgendosi alla “folla” anche se con modi estetizzanti (Parola, Poesia, Verso, Bellezza, usati come strumenti di un’azione capace di incidere sulla realtà del mondo) e coagulando attorno a sé ampi settori di intellettuali e di gente comune, che si specchiarono e talvolta finirono con l’identificarsi in Lui.
Bene, proprio per quanto sopra asserito va detto che questo grandissimo Italiano, forgiato nel più nobile dei metalli della nostra razza latina, meritava di essere commemorato, nel 150°anniversario della sua nascita, in modo adeguato, con il coinvolgimento anche delle scuole. Forse, ci chiediamo, non c’è più spazio per l’alta cultura in Italia, tranne per taluni sepolcri imbiancati gestiti dalla cultura incolta della sinistra nostrana faziosa; oppure non abbiamo tempo perché seguiamo adoranti le gesta nefaste di personaggi oscuri, ahimè non pochi, che disonorano la nostra stirpe che, ricordiamolo, discende dal Diritto Romano e dalla Filosofia greca, da periodi fulgidi quali l’Umanesimo e il Rinascimento sino al Romanticismo, giungendo sino alle effervescenze delle Avanguardie culturali dei primi del ‘900 e al neoidealismo di Croce e Gentile. Da allora, dopo d’Annunzio, come non tutti sanno, dal punto di vista dell’alta cultura, solo e soltanto il nulla.
L’auspicio, quindi, è quello di un nuovo umanesimo che impegni soprattutto i Giovani e che ci riporti ai valori di quella grande Italia di cui Gabriele “Ariel” d’Annunzio è stato interprete, Maestro e Guida! Sì, proprio Lui, quel grande Italiano, vero uomo da leggenda, che dominò spiritualmente per oltre mezzo secolo l’Italia e con l’Italia la vecchia Europa.
Sappiamo, poi, che anche i CARABINIERI devono avere del Comandante d’Annunzio, con orgoglio, fedele culto perché il Vate della Nuova Italia amava tanto l’Arma sì da presenziare, il 12 giugno del 1917, alla celebrazione funebre nel Duomo di Crauglio del Capitano dei Carabinieri Vittorio Bellipanni, pronunciando quelle memorabili parole che sono un inno perenne all’amor di Patria e alla religione del dovere del Carabiniere d’Italia di ogni tempo e luogo. “Anche nel volto consunto di questo giovine capitano il sorriso è rimasto; e c’ illumina tuttavia a traverso il feretro, più potente di questo sole crudo su questa strada nostra scalpitata dai fanti e solcata dai carri. Noi sentiamo che il suo silenzio è tuttavia operoso, come quando in silenzio egli faceva ogni giorno l’offerta della sua vita alla disciplina della guerra, che non era per lui se non il primo comandamento della Patria: condizione essenziale di salute e di vittoria. Quest’assidua dedizione di sé, nella semplicità più verace, nella leale vigilanza, egli c’insegna, affermandola come la regola severa dell’Arma in cui aveva l’onore di servire. E’ l’Arma della fedeltà immobile e dell’abnegazione silenziosa; l’Arma che nel folto della battaglia e di qua dalla battaglia, nella trincea e nella strada, nella città distrutta e nel camminamento sconvolto, nel rischio repentino e nel pericolo durevole, dà ogni giorno eguali prove di valore tanto più gloriosa quanto più avara è la gloria; l’Arma dei Carabinieri del Re incide oggi il nome del capitano Vittorio Bellipanni nelle tavole dei grandi esempii.”; e così, in memoria perpetua di quei giorni, scrisse nel maggio del 1936 (due anni prima di morire) al Generale Riccardo Moizo, Comandante Generale dell’Arma, già valoroso Combattente pilota di guerra: “Ora, con quel medesimo animo, Tu comandi l’intera Arma dei Carabinieri Reali: di quelli che io vidi combattere al mio fianco nella 45ª Divisione, di quelli ch’ebbi compagni irreprensibili com’ebbi compagno Vittorio Bellipanni che cadde sotto i miei occhi a Crauglio nel giugno del 1917“. E come, poi, non ricordare Ernesto Cabruna, asso dell’Aviazione nella grande guerra, il più decorato dei Carabinieri, che per i suoi meriti divenne ufficiale; così, di lui, d’Annunzio: “E il nostro eroe – quale altro nome dare a un tale uomo? – continua ad essere il solitario cacciatore, che non conta i suoi avversari, pronto a battersi contro intere squadriglie“. Quale volontario dei Legionari di Fiume, Cabruna lasciò con coraggio l’Arma, sintetizzando in poche parole l’amarezza per la violazione dei Patti di Londra: “Il Tenente dei Carabinieri Ernesto Cabruna, non avendo più fiducia nella Monarchia e nelle istituzioni, rassegna le dimissioni da Ufficiale“. Gabriele d’Annunzio, per tanti alti meriti, volle ancora premiarlo per cui: “Oggi nell’ottavo anniversario della marcia di Ronchi, io conferisco la Medaglia d’Oro al mio Legionario Ernesto Cabruna, già mio glorioso compagno d’ala della III Armata. Egli fu il primo aviatore giunto a Fiume da me occupata. In qualità di mio ufficiale di collegamento rese grandi servigi alla Causa….. Dal Vittoriale, 12/09/1927, Gabriele d’Annunzio di Montenevoso”. Il Capitano Ernesto Cabruna morì in silenzio, il 09.01.1960, a Rapallo, e dopo tre anni la sua salma venne traslata al Vittoriale degli Italiani perché riposasse, ultimo dei Legionari, accanto al suo Comandante, e questo nel centenario della Sua nascita, in una delle Arche che fanno corona alla tomba del Poeta Soldato.