Tutto quello che gli uomini hanno sofferto nel tempo, ha scritto Hobsbawm, si annulla davanti ai cento milioni di morti del secolo breve.
Ma è proprio così? Oggi c’è meno violenza rispetto al passato, oppure c’è n’è di più? Quindi, in relazione al tema della guerra, della violenza fisica ed anche e soprattutto psicologica, analizziamo come oggi, nel nuovo secolo e nuovo millennio, noi occidentali viviamo tale dramma che ci incombe cupo e minaccioso.
Al riguardo, ci aiuta il sociologo Alessandro Dal Lago che nel suo bel libro dal titolo:”Carnefici e spettatori- La nostra indifferenza verso la crudeltà” (Raffaele Cortina Editore, Milano, 2012), scrive che i conflitti che sino all’inizio del ‘900 coinvolgevano e impegnavano in massima parte, al 90%, i militari combattenti e minimamente la popolazione civile, vedono oggi ribaltarsi tale dato in quanto nelle guerre attuali l’incidenza dei morti tra le popolazioni civili si aggira sul 90% dei caduti complessivi.
Quindi, qual è l’atteggiamento di noi occidentali nei confronti delle guerre in corso o comunque recenti?
L’autore fa riferimento al principio di invisibilità della guerra, cioè seguiamo gli eventi sui media, che hanno un ruolo importante e fanno parte integrante della strategia militare complessa; quel gran circo mediatico, che fornisce a centinaia di milioni di persone, quali spettatori passivi, un vero e proprio copione dello spettacolo, che è uno scenario di morte e violenza inaudita, il tutto appreso e visionato in diretta.
Insomma, indifferenza, invisibilità e forse anche ipocrisia caratterizzano i tempi attuali; sì, anche ipocrisia, perché giustifichiamo la guerra rassicurandoci che si tratta di missioni di pace e di operazioni di polizia internazionale, e non già di guerre guerreggiate che uccidono, al 90%, bambini, vecchi, donne e uomini inermi! Ora, è giusto porsi la domanda su com’ era vissuto, nell’antichità più civile ed evoluta, l’approccio alla crudeltà e al sangue.
Noi occidentali, lo sappiamo, dobbiamo all’antica Roma tutta la nostra cultura. In mezza Europa si parlano lingue derivate dal latino; Papiniano, Gaio e Ulpiano hanno con i loro Commentarii tramandato un Corpus giuridico di leggi in vigore per ben tredici secoli.
Ma su un punto si sorvola, sulla crudeltà, e su questo ci racconta Marziale, nell’80 dC, nel suo “De spectaculis”, sui giochi offerti al Colosseo da Tito, ottimo Imperatore, definito da Svetonio “Delizia del genere umano”. Tra la mattina e il pomeriggio, venivano eseguite le condanne a morte; Marziale racconta piacevolmente, non turbato da quello che vedeva, del resto era l’atteggiamento degli intellettuali, quali Seneca e Marc’ Aurelio, orripilati non dalle crudeli uccisioni in sé, quanto dall’oscena partecipazione chiassosa… della plebe. La ragione dell’indifferenza era nel concetto di “Autorictas” dell’Imperatore, che non veniva in alcun modo criticata e posta in discussione; per questo, i condannati alla pena capitale non meritavano pietà!
Del resto, una società la cui economia era basata sulla schiavitù e sullo sfruttamento di essa, il concetto di umanità era ben diverso dal nostro. Oggi poi, nel gran quadro dell’assuefazione alla violenza e del condizionamento psicologico favorito da media, tv e internet, possiamo fare anche riferimento a quello che accade in altri settori, come nell’ambito della Giustizia, dove la verità vera non sempre coincide con quella processuale; infatti, spesso, ha la meglio una verità mediatica che viene somministrata e offerta con bombardamento mediatico al grande pubblico. Ciò riguarda anche il giudizio morale, che per oscuri interessi può essere accortamente manovrato, attraverso la valorizzazione o svalutazione di fatti ed opinioni, influendo così il condizionamento delle idee.
Quindi, una riflessione va fatta: la violenza, oggi, appare certamente più devastante di quella dei tempi andati, perché alimentata e mistificata da indifferenza, invisibilità e ipocrisia; il che rende difficile mantenere una propria autonomia di giudizio che fa conseguire dignità morale alla persona. Ed è proprio per tale carenza che viviamo uno dei periodi più bui….
Con questo, concludendo, ci dispiace di smentire Eric Hobsbawm!