“La grande mattanza, storia della guerra al brigantaggio”, di Enzo Ciconte
La storia della guerra al brigantaggio come non era stata mai scritta…
Roma, 20 giugno 2020 – Enzo Ciconte nasce a Soriano Calabro nel 1947. È considerato uno dei massimi esperti delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose. Con il libro “La grande mattanza, storia della guerra al brigantaggio” (Editori Laterza) descrive un fenomeno della storia italiana di prima e dopo l’Unità presentato dalla storiografia ufficiale a volte in modo non chiaro… Il titolo del libro è emblematico, vuole rendere l’idea della ferocia che c’è stata, nella repressione… “È stato proprio necessario far scorrere il sangue a fiumi? Non c’erano alternative alla grande mattanza?“, si chiede l’autore, partendo da una profonda riflessione del grande Pasquale Villari, contenuta nelle “Lettere meridionali”: “Per distruggere il brigantaggio noi abbiamo fatto scorrere il sangue a fiumi, ma ai rimedi radicali abbiamo poco pensato” scriveva infatti Villari.
Iniziamo la lettura di parti dell’interessante libro, in particolare per quanto concerne la Calabria…
-da pag.175…””La Guardia nazionale: la piccola borghesia in armi…L’Esercito non ha agito da solo, è stato affiancato della Guardia Nazionale, una formazione di civili nata per combattere i briganti e la criminalità, uno strumento in mano alla borghesia locale la cui formazione data in epoca borbonica è stata molto attiva in Sicilia. Ma proprio dalla Sicilia cominciano ad avvertirsi i primi problemi, alcuni dei quali si riveleranno insormontabili. La Guardia nazionale, “aperta solo ai benestanti,diventava così milizia di classe a difesa della borghesia ricca e dell’equilibrio sociale”. Ha grandi ambizioni, ma la Guardia nazionale non sempre si mostra in grado di partecipare attivamente allo scontro armato perché composta “di padri di famiglia, di uomini dati alle arti, e a professioni liberali, di ambienti, di uomini di mercatura, tutti, tolti pochi, manchi di cuore, e d’abito di affrontare i pericoli e di maneggiare le armi”… Ci sono anche difficoltà che nascono dai rapporti con le “Squadriglie volontarie aggregate al Corpo dei Carabinieri Reali”…Dallo Stato Maggiore dei Carabinieri Reali arriva un duro giudizio: “Checchè se ne dica, le squadriglie di volontari borghesi sono più di incaglio che di vantaggio al servizio per la repressione del brigantaggio”; sono “individui per la più parte indisciplinati che non sanno tenere il segreto e che se si danno a questo servizio è più per la paga che loro si corrisponde”…
“”Il colpo di mano della Legge Pica… Le fucilazioni indiscriminate pongono un problema di non poco conto per i nuovi governanti così come la formazione dei Tribunali militari che confligge, secondo alcuni, con l’articolo 71 dello Statuto dove è detto che: “niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinari… L’Esercito italiano è modellato su queste esigenze ed ha come base l’Esercito piemontese la cui struttura portante ben presto s’affermerà. Il ruolo dell’Esercito è prima di tutto garantire la pace sociale, il mantenimento dell’ordine assolvendo a compiti di polizia perché all’epoca non c’è ancora un corpo di polizia, i Carabinieri hanno appena 20.000 uomini. La “piemontesizzazione dell’Esercito” è un dato di fatto: su sei Generali d’Armata in servizio, tre sono piemontesi di nascita, uno è savoiardo, due (Fanti e Cialdini) sono emiliani “piemontesizzati”. Molti degli ufficiali sono nobili o sono Deputati o Senatori (pensate voi!! n.d.a.). I Ministri della guerra sono stati tutti piemontesi fino al 1876… La risposta che viene data, nonostante i pareri contrari emersi nelle discussioni parlamentari, è quella che porta ad una forzatura dello stesso Statuto con accuse di incostituzionalità che pesano sulla cosiddetta “Legge Pica”, approvata con un colpo di mano della maggioranza della Camera il primo agosto 1863 come legge temporanea per 5 mesi, ma prorogata sino al 31 dicembre 1865; questa legge oltre a comminare per la prima volta il domicilio coatto, prevedeva la giurisdizione militare di guerra per i briganti ed i loro complici nelle province che sarebbero state dichiarate con R.D. “infestate dal brigantaggio”. È una legge penale speciale che viene adottata in un
momento particolare…
La Legge Pica è la negazione del sistema penale ordinario e dura fino alla fine del 1865… Uno che sicuramente usa metodi spicci che superano molto spesso la legalità è – come abbiamo visto – Pietro Fumel, la cui celebrità era quasi una leggenda. È nato ad Ivrea da una famiglia di negozianti e da giovane stringe amicizia con parecchi ufficiali della locale Scuola militare… Cavour e Mola sanno che la legalità non è il forte di Fumel… e difatti Fumel non delude anche perché “non ha mai avuto troppa dimestichezza con le leggi”. Non riuscirà ad averla neanche negli anni successivi. Lui stesso è consapevole che i suoi sono metodi spicci, duri, illegali, anzi barbari. Si compiace anche del terrore che incute: “al solo vedermi tanta è la paura”. I suoi metodi richiamano l’attenzione di tutti. Una volta, “avendo saputo che un Vescovo se la intendeva con i briganti, dà ordine di arrestarlo. Nessuno ne ha il coraggio allora Fumel entra in chiesa, una mattina che il vescovo solennemente pontificava, si avvia all’altare e lo arresta sotto gli occhi della folla. E poi lo fa fucilare”…Sicuramente la sua azione è stata efficace e nei due anni di permanenza in Calabria dal 1861 al 1862 mette fuori combattimento centinaia di Briganti, forse 500. Ma uno con queste caratteristiche non può rimanere a lungo nello stesso posto. Viene allontanato suscitando un coro di proteste da parte di molti comuni che reclamano il suo ritorno. Il successo di Fumel è dovuto anche al sostegno pieno del Prefetto di Cosenza Guicciardi che lo loda continuamente, fino all’eccesso… Anche scrittori di fama come Alexandre Dumas hanno di lui un ottimo giudizio e non fanno nulla per nasconderlo: “Usa mezzi extralegali” che sono necessari, visti i risultati ottenuti: questa è la giustificazione… Fumel ritornerà in Calabria nell’estate del 1866 quando Guicciardi non è più Prefetto di Cosenza e avendo “ricevuto istruzioni di non ricorrere ai mezzi estremi usati la prima volta”.
– da pag.199…””La Calabria di Pallavicini e Guicciardi…In Calabria lo attende un periodo tribolato. Pallavicini arriva il 18 aprile 1865. Un mese prima il Comando generale di Napoli indirizzò un rapporto al Ministro della Guerra nel quale è detto che la zona militare di Melfi e Bovino è sciolta e il Generale Pallavicini inviato a Cosenza per assumere la direzione delle operazioni contro il brigantaggio. Poteri ampi, dunque. Arriva quando Prefetto di Cosenza è ancora Enrico Guicciardi. Tra i due sono subito scintille. Sono due personalità forti, uomini abituati a comandare e a varcare i limiti della legalità quando ritengono sia utile giusto farlo. Il Prefetto è convinto che Pallavicini sia stato mandato in Calabria per attaccare la sua persona e non il brigantaggio, anche se La Marmora e il comando di Napoli assicurano di aver trovato in Pallavicini la punta di lancia per distruggere i briganti. C’è subito uno scontro con la Magistratura. Il Generale appena arrivato fa pubblicare delle “Istruzioni e Norme” e Camillo Longo, Procuratore Generale del Re di Catanzaro, invia un lungo rapporto al suo Ministro informandolo di una missiva di Gulli, Procuratore del Re di Cosenza, che attacca lo scritto di Pallavicini. Il Magistrato cosentino elenca le disposizioni di Pallavicini e ne contesta impianto e filosofia. Il Generale è convinto che tutto debba essere posto a sua disposizione a cominciare dai “malviventi” e “i sospetti manutengoli” per “ trarne miglior partito possibile””…
-da pag.221…””Poi ci sono le promesse fatte ai briganti che non sempre vengono onorate. Cioè ad esempio il caso sollevato da Pallavicini. È appena andato via dalla Calabria e lo raggiunge una cattiva notizia, come scrive lui stesso da Mignano denunciando la situazione incresciosa. Quando è stato responsabile della repressione del brigantaggio in Calabria, si è adoperato per sconfiggerlo “mediante speciali provvedimenti dai quali taluni erano consentiti dalla legge Pica, taluni altri direttamente dal Governo, sempre da me informato in modo particolareggiato.”… Sulla base di ciò e delle varie perlustrazioni sono state molte le presentazioni. Tra queste quella della banda di Tiriolo capitanata da Perelli. Per ottenere il sicuro successo della presentazione “io impegnai la mia parola”. Il 4 luglio 1867 la Corte d’Assise di Catanzaro condanna Perelli e i suoi a morte. Il 27 luglio la Cassazione conferma. “Questo è un atto di moralità” che il governo non può accettare, dice Pallavicini. “Ravviso la mia parola indegnamente compromessa”. Nessuno d’ora in poi si presenterà più”. Invoca il Governo perché chieda la grazia per questi briganti…””
-da pag.236…””Gli ultimi briganti… Il brigantaggio è ormai agli sgoccioli, eppure a volte si ha la sensazione che sia in piena fioritura. Il Procuratore Generale del Re presso la Corte di Appello delle Calabrie l’8 marzo 1869 scrive che: “nella necessità di provvedimenti eccezionali senza leggi e facoltà eccezionali, è ovvio il pensare che non tutto poteva andare a filo di legalità. Ma non di meno fino a poco tempo addietro non si udì quasi reclamo alcuno, essendo in tutti una comune tendenza ad applaudire lo scopo e i risultati e a valutare con certa discrezione i mezzi adoperati… Il punto dolente è sempre lo stesso: i detenuti in mano ai militari che non sono consegnati all’autorità giudiziaria. Il Procuratore Generale del Re è subissato da richieste e ricorsi, ed è costretto ad intervenire con il Comandante della Divisione Militare territoriale, il Generale Sacchi, ottenendo la liberazione di 37 detenuti. Anche il Prefetto di Catanzaro chiede conto di alcuni detenuti… A Rossano nel giugno 1868 stabilisce la sua sede il Colonnello Milon (Bernardino,già capo di Stato Maggiore del generale Sacchi. Fu successivamente Ministro della Guerra del Regno d’Italia nel Governo Cairoli n.d.a.). e cerca di rassicurare coloro che non escono di casa o che girano armati per il paese. È così preoccupante il brigantaggio? Un fatto è sicuro: la banda Torchia spedisce una supplica promettendo la consegna di 50 briganti, compreso Palma, a condizione di essere relegati in un’isola “onde espiare i delitti commessi”. Ma la proposta non è accolta… Basta scorrere l’elenco compilato dal comando della Zona militare delle Calabrie. È un triste resoconto di uomini uccisi a sangue freddo con l’accusa di essersi dati alla fuga. Solo nel 1868 ne sono stati eliminati 86 nella zona di Rossano, un numero enorme. Quanti sono i briganti in questo momento? Sono 25 in provincia di Catanzaro e 35 in provincia di Cosenza. Contro costoro, lo Stato scaglia 5.500 uomini senza contare i Carabinieri e le forze irregolari. Non solo, ma adotta il terrore come pratica abituale. Lo teorizza proprio Milon scrivendo a Sacchi (che così risponde) “il salutare rigore esercitato avrà la sua giustificazione nei risultati ottenuti…” Milon, scrive Mino Milani, “per giustificare queste uccisioni, adotta un sistema che per quanto ripugnante, diede senz’altro sensibili risultati, se si pensa che scopo del Colonnello era atterrire la popolazione”. Usa l’inganno e anche la tortura. “I sistemi dei briganti sono inumani, ma le misure adottate dal potere militare non sono certamente più umane, anche se di una inumanità necessaria”. E sono inumane anche perché Milon è convinto di avere a che fare con l’indole sanguinaria dei calabresi… Il 19 gennaio 1870 il Ministro dell’Interno nonché Presidente del Consiglio Lanza, comunica che d’accordo con il Ministro della Guerra debbano cessare le zone militari di L’Aquila, Benevento, Campobasso, Caserta, Avellino, Potenza, Salerno, Cosenza, Catanzaro, Chieti e tutte le attribuzioni detenute dai militari passino per intero ai Prefetti. Il brigantaggio è stato definitivamente sconfitto…””
Sin qui il libro…
Conclusione…Da uomo di Legge e per quarantadue anni Carabiniere, mi rammarico che vi siano stati tantissimi atti di violenza compiuti da uomini in divisa… Tutto questo derivante da azioni di singoli ufficiali o invece ci fu una “cultura” che dominò vertici militari e autorità statali? Certamente ci furono Generali convinti dell’«impotenza dei mezzi legali» e Procuratori Generali del Re che facevano riferimento a «salutare terrore» e alla repressione, ad una vero e proprio imperium militare nel Sud della nuova Italia. Ben altro, diciamo, sarà però l’atteggiamento che avrà lo Stato successivamente con quelle organizzazioni criminali – mafia e camorra e ‘ndrangheta – che fra Sicilia e Calabria e Campania avrebbero presto preso forma. Tolleranza e poi convivenza. Insomma, guai a essere poveri; non c’è scampo…!!
Infine, da calabrese di nascita e origini materne, ed avendo operato per quattro anni in quella Regione, da cultore di storia patria, mi sono interessato di quel triste fenomeno…
Tengo ad informare che Emilio Spina, gran personaggio di quell’epoca triste che combattè il brigantaggio, era del ramo familiare di mio Nonno Materno, Nicola Coco, di Umbriatico, Presidente della Corte di Cassazione del Regno (deceduto per malattia nel 1948, ricordato con una piazza a Lui intitolata nel centro del Paese), e che due sue nipoti, native di Savelli, che gestirono uno storico Ufficio Postale nel centro di Roma, sono state affettivamente molto legate a mia Madre e, in prosieguo, a me, sino all’ultimo… tanto da donarmi il Medagliere dell’illustre Zio, Emilio Spina,di cui tratta un articolo qui indicato…Ho finito!