Tematiche etico-sociali

“La ‘Ndrangheta Come Alibi” di Ilario Ammendolia

Vicende dimenticate e recenti della nobile ma amara terra di Calabria…

Roma, 10 settembre 2020 – Scrive Ilario Ammendolia, nella presentazione del suo interessante libro “La ‘Ndrangheta Come Alibi – dal 1945 ad oggi” (Editore Città del Sole, marzo 2019), “Questo lavoro, appena sei mesi fa, non esisteva – se non in maniera confusa – neanche nella mia testa. Ha preso forma nel momento in cui sono stati resi pubblici alcuni documenti relativi alla “Repubblica di Caulonia” e mentre prendeva corpo l’inchiesta su Riace che ha fatto scattare gli arresti del sindaco Mimmo Lucano. (ricordiamo che Mimmo Lucano, come abbiamo appreso il 20 luglio scorso, non doveva essere arrestato, come stabilito dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria per associazione per delinquere finalizzata all’illecita gestione dei fondi destinati all’accoglienza dei migranti n.d.a.). Quindi, la “Repubblica rossa di Caulonia” e “Riace” sono i punti estremi di partenza e di arrivo di un viaggio lungo 73 anni in una Regione “vittima” di un unico disegno repressivo che ha utilizzato la “legalità” come arma verso i più deboli e la ‘ndrangheta come alibi per la progressiva colonizzazione e criminalizzazione del popolo calabrese. Tutto ciò è avvenuto con il consenso di larga parte della classe “dirigente” regionale, sostanzialmente inetta, collusa e subalterna al sistema di potere dominante.”

Iniziamo a leggere l’interessante libro…

Da pag. 15… “” La Repubblica rossa di Caulonia. La storia
È il mese di marzo del terribile 1945. Al nord si combatte ancora. Mussolini sta per scrivere l’ultimo atto mentre Vittorio Emanuele III è ancora saldamente sul trono. Eppure, in un piccolo paese della Calabria, viene proclamata la Repubblica rossa di Caulonia, tuttavia subito marchiata come un’esplosione violenta di “malavita”.
I problemi della rivolta. Sindaco e capo della rivolta fu un insegnante elementare del posto: Pasquale Cavallaro. Secondo la Procura del Regno era un malavitoso, un delinquente comune, imputato in più processi di cui alcuni per reati molto gravi, per altri fu ribelle e, durante il periodo di latitanza, fu circondato dalla fama e dalla leggenda del brigante capace di battersi contro un potere sanguinario tirannico. La rottura tra Cavallaro e la “legge” si consumò nel momento in cui, rientrato dal fronte di guerra (1915/18), si rifiutò di partire dandosi alla campagna e sfuggendo per anni alla cattura sebbene un intero Battaglione dei Carabinieri gli desse la caccia. Quello che è certo è il fatto che Pasquale Cavallaro, buon oratore, narratore di racconti e autori diversi sanguigni, il periodo della latitanza lo visse a stretto contatto con delinquenti comuni. Molto probabilmente commise reati, qualche volta per scelta altre volte per necessità…””

Da pag. 31…””I primi tumulti…. A Caulonia l’ultimo Podestà viene nominato sindaco. Il potere delle classi dirigenti non viene neanche scalfito dalla caduta del regime fascista. Come era già successo nel momento dell’unità d’ Italia, le classi popolari non stanno al gioco e, se nel 1860 lo spirito di rivolta si trasforma in brigantaggio, nel 1943 trova sbocco in un momento di carattere nazionale (e internazionale) egemonizzato dal Partito comunista. Passano pochi giorni ma la tensione non scende, come dimostra un altro telegramma inviato dal Tenente dei Carabinieri alle medesime autorità: “Oggi 10 novembre verso le ore 11:30, Comune di Caulonia, circa 100 persone frazione Ursini capeggiati da Cirillo Fioravanti di Caulonia, pregiudicato, convenivano locali municipali gridando “vogliamo pane”. Intervenuta Arma dei Carabinieri riusciva a sciogliere dimostranti. Scrivente recatomi sul posto ore 02 dieci novembre habet provveduto fermo Cirillo perché responsabile minaccia a mano armata verso cittadino et pericolosissimo. Ordine pubblico senza incidenti. Urge invio farina essendone popolazione priva”. Come avete appena letto, Pasquale Cavallaro viene subito individuato dall’Arma come pessimo elemento del luogo.””

Da pag. 47… “” La Repubblica… La denuncia dei Carabinieri per le perquisizioni/furti (a seconda dei punti di vista) alle case di Ocello e Prota arriva al Tribunale di Locri e, dopo il vaglio della Procura, passa al Giudice istruttore Tocci. Alla fine, si decide di emettere mandato di cattura contro Ercole Cavallaro. È il 20 febbraio del 1945! Il mandato di arresto verrà eseguito il 6 marzo. L’allora Maresciallo dei Carabinieri fece sapere al Sindaco Cavallaro che avrebbe dovuto procedere all’arresto del figlio. È rivolta! Secondo l’impostazione strategica del PCI, un Sindaco comunista avrebbe dovuto denunciare l’arresto come una provocazione, così come lo stesso Togliatti indica nella relazione del Comitato centrale che si tiene a Roma dal 7 al 10 aprile del 1945. All’alba del sei marzo Caulonia è invasa da una folla di “straccioni” in armi. Sono migliaia e vengono dalle montagne, delle frazioni, dai paesi vicini: Riace, Placanica, Camini, Stignano, Stilo, Monasterace, Pazzano, Bivongi, Nardodipace e Fabrizia. Chiuse le quattro porte da cui si accede al paese. Minato l’unico ponte che collega la cittadina alla strada provinciale. Già era stato chiuso d’ imperio il Circolo dei nobili. Da Caulonia non si esce e non si entra se non con regolare lasciapassare del comando partigiano.
Alle nove del mattino viene proclamata la “Repubblica”, insediato il “Tribunale del popolo”. “Arrestati” i Carabinieri e le guardie forestali, sequestrata la famiglia del Pretore, allestito un campo di prigionia a San Nicola. Postazioni di armati in ogni angolo strategico del paese. Il 10 marzo Cavallaro scrive un telegramma al Prefetto e alla Federazione del PCI: “Continua mancanza giustizia ai danni popolo. Partiti socialista e comunista et comando partigiano bloccano paese. Migliaia accorsi da paesi vicini. Attendiamo. Firmato Cavallaro”. La rivolta durò quattro giorni, poi l’intervento energico della Federazione comunista e la liberazione di Ercole Cavallaro misero fine all’ insurrezione armata. Intanto il “Tribunale del popolo” presieduto da Libero Cavallaro, figlio maggiore del Sindaco, inizia a giudicare i nemici della “Repubblica” ma, in realtà, si limita a punire quasi esclusivamente i nemici personali del Sindaco. Tutto il potere venne accentrato nelle mani di Libero Cavallaro e dei suoi strettissimi collaboratori, nonostante il formale diritto di veto dell’assemblea.
La repressione. In effetti Cavallaro si dimette il 12 marzo 1944 con un telegramma in cui si intuisce una polemica non solo nei confronti delle istituzioni, ma anche del PCI: “Per interesse partito, patria, umanità offre dimissioni carica sindaco questo comune”. Il Comandante Generale dei Carabinieri Brunetto Brunetti da Roma scrive: “ Ciò premesso, il Comandante della Legione propone che per restituire forza alla legge e prestigio alle autorità, occorre: – procedere all’arresto del Cavallaro padre e degli altri autori ed organizzatori della sommossa; – procedere al disarmo dei partigiani per la maggior parte pericolosi pregiudicati per delitti comuni di Caulonia, Riace, Stignano, Placanica ed altri paesi, eseguendo vasta azione di rastrellamento; – interessare gli alleati perché autorizzando a concentrare su Caulonia 1000 uomini dell’ Arma (oltre alla Pubblica Sicurezza); – Interessare il Ministero della Guerra perché provveda a fornire i necessari mezzi di trasporto, armi automatiche, qualche autoblindo, qualche carro armato, qualche mortaio da 81.Questi mezzi sono indispensabili per garantire la riuscita dell’operazione; la quale,mentre verrà a normalizzare la situazione locale, servirà da efficace monito per l’eventuale ripetersi di ulteriori disordini in altre zone dell’Italia liberata.” Fu così che il 20 aprile 1945 Caulonia venne assalita da colonne motorizzate dei Carabinieri oltre che della Pubblica Sicurezza. Il 25 Aprile l’Italia del nord è in rivolta, i partigiani scendono dai monti si uniscono le popolazioni delle città che festeggiano la Liberazione. Non è senza significato il fatto che a Caulonia si sperimenti una repressione violenta generalizzata in quegli stessi giorni, quasi si volesse trasformare il sud nella Vandea d’ Italia””.

Da pag. 73.”” Si passa all’occupazione. Nel 1949 In Calabria ci sono due blocchi storici: da un lato gli agrari, la Magistratura, le Forze dell’ordine, la burocrazia e le forze politiche conservatrici, dall’ altro i braccianti, i contadini, gli artigiani, gli intellettuali “organici” a una politica di cambiamento, i sindacati e i partiti della Sinistra. Era chiaro che prima o poi i due blocchi si dovessero affrontare in campo aperto, ma da quale parte avrebbe dovuto collocarsi lo Stato? In realtà in Calabria, nonostante la Costituzione fosse stata approvata da più di un anno, lo Stato intervenne per difendere attraverso “la legge” il diritto degli agrari di disporre di latifondi sterminati da lasciare parzialmente incolti, e contro l’interesse di centinaia di migliaia di lavoratori che chiedevano terra, pane e lavoro. E un’onda umana che si alza in tutta la Calabria, dal Crotonese alla Sila, dalla Locride al Lametino. Nei primi giorni di settembre del 1949 i contadini stanchi di aspettare l’attuazione dei decreti “Gullo” (sulle concessioni ai contadini delle terre incolte, DLL 19 ottobre 1944 n.d.a.), agiscono spontaneamente per poi incontrarsi con la CGIL, in particolare con la Federterra e quindi con le avanguardie della Sinistra politica.
Il 29 ottobre, l’eccidio di Melissa. I braccianti che da qualche giorno avevano occupato i fondi di Fragalà videro arrivare da lontano gli uomini in divisa e si disposero a semicerchio, le donne e i bambini avanti, gli uomini dietro. Accolsero le Forze dell’Ordine con applausi. “Viva la Polizia della Repubblica, viva i Carabinieri della Repubblica”. Non erano le forze dell’ordine della Repubblica, ma dei Barriaco, dei Berlingeri, dei latifondisti. Spararono. Angelina Mauro doveva sposarsi qualche giorno dopo, trovò la morte sui campi di Melissa e con lei Antonio Zito e Francesco Nigro. Lucia Cannata lottò per giorni tra la vita e la morte. Zito era appena un giovinetto all’ alba della vita. Dopo Melissa, nel giro di qualche anno, l’esercito dei contadini si trasforma in un esercito di emigranti. Morirono a centinaia nelle miniere del Belgio, nelle fonderie tedesche, sui cantieri di mezzo mondo. Dalle rimesse spedite in Calabria dagli emigrati le banche drenarono il 90% per finanziare il “miracolo economico”.
Dopo il doloroso esodo di massa la Calabria non fu mai più la stessa ed al disfacimento di una civiltà millenaria sostituita con un doloroso vuoto umano, politico, culturale e sociale che nasce la ‘ndrangheta come componente estremamente minoritaria, ma non più marginale, della società calabrese. Commenti dei giornali dell’epoca… Sandro Pertini, futuro Presidente della Repubblica, così scrive su “l’Avanti”: “Sangue invoca sangue. Sangue di lavoratori ha bagnato la generosa terra di Calabria. Sangue, ancora una volta sparso freddamente dai poliziotti di Scelba. Aggressione selvaggia che non trova giustificazione alcuna … Questi figli della forte Calabria per calmare la loro fame che dura da tempo, giustamente vollero occupare le terre abbandonate agli sterpi, alla gramigna dei baroni locali. Erano armati dagli attrezzi della loro fatica e solo lavorare volevano … E per questo delitto che la Polizia di Scelba rabbiosamente affrontò braccianti che con le donne ed i figli andavano a fecondare la terra per loro stessi e per la Nazione. Questi figli della Calabria, sempre generosa, accolsero la polizia con applausi per dimostrare che non li muoveva l’odio ma la miseria annosa e la volontà di lavoro””.

Ora come di consueto, brevi integrazioni e commenti…

In primis, un ammirato commosso ricordo per Sandro Pertini, il più amato Presidente della Repubblica, sì, il più amato… Poi, letto il libro di Ammendolia, affermiamo che è un saggio che non fa sconti, in primis alla ‘ndrangheta, ma specialmente alla parte politica in cui l’autore è cresciuto, ovvero quella Sinistra che nel secolo scorso stava coi braccianti vessati da uno Stato troppo spesso percepito solo come “Giudice e Carabiniere” e in cui le riforme del grande purtroppo dimenticato Ministro comunista Fausto Gullo avevano alimentato grandi aspettative di giustizia sociale.
Da Calabrese di nascita, con discendenza da parte della Famiglia di mia Madre (della nobile Terra del Marchesato, oggi il Crotonese); poi, da Carabiniere in congedo che ha avuto l’ onore di prestare servizio per ben quattro anni in quella Regione, essendo stato anche l’ultimo Comandante Provinciale di Catanzaro con la Provincia Madre non ancora tripartita con Crotone e Vibo Valentia, peraltro Città, quest’ ultima, dove nacqui quando mio Padre era Comandante di quella Compagnia… nel lontano 1947… affermo che amo la Calabria, Terra illustre, si, ma con codici arcaici…
Mi spiego. Ricordo che anni addietro ci fu la tragica notizia che erano stati trovati in provincia di Cosenza tre cadaveri carbonizzati; tra questi c’era anche un bambino innocente di 3 anni, il piccolo Nicola, affettuosamente chiamato “Cocò”. Il suo corpo era nella macchina assieme a quello del nonno e della compagna di quest’ultimo. I tre erano scomparsi da 4 giorni. In Calabria, lo sappiamo, si muore uccisi per grandi vicende di mafia, per vicende di criminalità minore, ma anche per storie di confini e di terra, come anche per fatti inerenti ai rapporti interpersonali. Sì, proprio per questo, si uccise a Filandari, in Provincia di Vibo Valentia, per una questione di non rispetto di confini, di alberi tagliati, di rancori nascosti e poi esplosi, di violenza. Ed è proprio su questo tipo di eventi che vogliamo brevemente soffermarci. Questi eventi non sono dettati dal raptus di paesani in coppola, coltello e lupara che vivono in terre ancestrali. Sono frutto del codice calabro, null’altro! Codice ferreo come quello barbaricino di Sardegna, che affonda le sue origini nell’arcaica civiltà nuragica. Sono questioni che in antropologia si definiscono culturali se non sottoculturali. Quella regola non è una regola di mafia, è una regola e basta. Se tocchi le mie cose, se mi offendi, ammazzo, eccome se ammazzo!
C’è da dire, ancora, sul gran tema delle stragi di Calabria, che la faida più famosa e sanguinosa, quella di San Luca, tra i clan mafiosi Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari, in provincia di Reggio, ha avuto inizio nel 1991 con gruppo di ragazzi dei Nirta che a carnevale lanciarono uova contro il circolo ricreativo gestito da Domenico Pelle, imbrattando anche l’auto di uno dei Vottari. La mattanza in questione, poi, è proseguita, addirittura, con la ben nota strage di Duisburg, con cinque morti, in Germania, detta anche strage di Ferragosto del 2007, quale ultimo atto della storica spaventosa faida di San Luca. Nella società calabrese, quindi, prevalgono comportamenti che ai più possono apparire strani, avulsi dal contesto sociale comune, “differenti”, ma certamente riferibili a sentimenti di paura e pudore primordiale; sentimenti che fanno parte di un mondo lontano, eppure oltremodo vicino della difficile Terra di Calabria. Terra, oggi, di giovani preparati e di grande levatura culturale, molto spesso purtroppo proiettati fuori Regione per studio e lavoro. Essi, certamente, costituiscono l’unica vera speranza di un futuro migliore per questa Regione, che origina dalla Magna Grecia, faro di civiltà e cultura per tutto l’occidente europeo.

Concludo con un articolo del grande Amico, l’autorevole giornalista Filippo Veltri, sulla ‘Gazzetta Del Sud’ dell’8 agosto scorso che ci apre la mente con valido quadro di situazione… “Il 14 luglio è passato nel doppio ricordo dei moti a Reggio e della prima riunione del Consiglio Regionale a Catanzaro 50 anni fa. Ma mezzo secolo non è servito a sopire i rigurgiti municipalistici che hanno avvelenato la vita e la storia della Calabria. Riemergono infatti dai meandri di vecchi e nuovi protagonisti proposte stravaganti (come quella ad esempio di riportare a Catanzaro anche la sede dell’Assemblea regionale) che non aiutano affatto a ristabilire un clima di unità e pacificazione. Riemergono nel contempo letture su quei moti di popolo di Reggio con libri vecchi e nuovi che rileggono quelle drammatiche giornate con un fiorire di accuse e contro accuse: lo Stato non capì, la stampa strumentalizzò, la sinistra perse un’occasione storica. Il riemergere dopo mezzo secolo di pulsioni di basso rivendicazionismo municipale gioca in verità solo a favore di classi dirigenti inette, che non hanno portato la Calabria a un livello dignitoso, mettendo sempre contro gli uni contro gli altri, Reggio contro Catanzaro, Catanzaro contro Crotone etc.etc., invocando improbabili pennacchi o blaterando un giorno sì e un altro pure sui torti subiti, sulle spoliazioni di questo o quell’ufficio.
Miserie, cialtronerie, armi di distrazione di massa in cui è ovviamente caduta una società povera, senza una classe intellettuale di rango tranne rare eccezioni e un’opinione pubblica pronta a (ri)cadere nella trappola dei municipi. Alla Calabria servirebbe ben altro. In una fase che si preannuncia densa di incognite serviva e serve una vera unità regionale, un comune sentire che vada oltre le risibili barriere della bandiera di municipio, in un quadro dove una terra con nemmeno 2 milioni di abitanti viene letta, viceversa, all’esterno e tutta intera, nella sua interezza, come un grande buco nero. Se non cambia questo scenario abbiamo buttato al vento anche i 50 anni che ci separano da quella storia.”

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