Nella natura non esistono qualità maschili e femminili, ma qualità “umane”.
Nel cammino di emancipazione le bambine non devono somigliare ai maschi per sentirsi indipendenti, ma ogni individuo si deve sviluppare nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso. Nell’immaginario collettivo “la brava ragazza” è quella che si adegua alla docilità con subordine e a certe regole dove l’identità diventa fluida e non identificativa. Gli stereotipi della fata o della strega, dell’angelo del focolare, le eroine dei fumetti sono state elementi qualificanti di modelli tipici, trasmessi dai mezzi di comunicazione, la TV, la pubblicità invitano già nell’adolescenza le ragazze ad apparire adeguate a valori stabiliti, ma spesso fuori dalla realtà del quotidiano.
È importante essere belle, tranquille, prendersi cura del prossimo, servizievoli, gentili, diligenti, obbedienti; anche nelle favole Biancaneve si prende cura dei nani e Cenerentola attende il principe azzurro, oppure, al contrario, ciò che viene continuamente esaltato “gli ammiccamenti”, la seduzione, diventare veline, appare un progetto di vita, tutto in riferimento alla persona maschile, senza progetti personalizzati.
Spesso nel rapporto uomo-donna viene distorta la realtà, così anche il concetto di amore viene scambiato con la possessività; un amore malato può essere alla base delle violenze che le donne subiscono, sperando, quasi come una missione, che il proprio uomo cambi e si ravveda.
Un uomo pensa, in alcuni casi, di possedere una donna come un oggetto e restarle vicino senza neanche conoscere le sue necessità, la sua interiorità.
Le caratteristiche che differenziano queste due entità maschio-femmina dovrebbero creare cooperazione ed armonia in modo che i due mondi possano completarsi. In un uomo è più facile che vi sia maggiore razionalità rispetto all’emotività femminile e guarda più all’insieme che al particolare, verso cui invece una donna è protesa, ciò non toglie che proprio il confronto diventi maggiore ricchezza.
La femminilità nel sociale non va ripensata come umanità monogenetica, ma nel valore della relazionalità. Oggi si parla di un nuovo umanesimo, dove “il linguaggio” ha una nuova circolarità della intera “umanità”. È compito culturale, politico ricomporre l’umanità nella sua dimensione femminile e maschile, l’uno interfaccia dell’altro nella reciprocità. Anche nei ruoli sociali è fondamentale un progresso civile, che prevede l’apporto delle due componenti.
Ricordiamo che, se ancora oggi è diffusa la violenza sulla donna, questa è figlia della paura, della disistima e dell’insicurezza di un uomo, che non è riuscito a trovare la sua identità e vuole ricomporla con l’antico cliché del “macho”, aggressivo e privo di sentimenti. Un uomo che spesso confonde la tenerezza come atto debole, che non è capace di entrare nella gestualità, nella fermezza, nella giusta emotività, come emozione e non come edonismo. La coeducazione maschio-femmina vive un giusto valore nell’amore, prende coscienza che la vita è un dono e coinvolge 2 parti di una umanità. Gli psicologi dicono che in ogni donna c’è un maschio latente e viceversa in ogni uomo si cela un qualcosa di femminile, che permette di guardare al mondo nella sua interezza.
Solo l’intelligenza amorevole tra i due sessi potrà salvare il mondo da inutili guerre di ruoli, che fermano il corso della storia.
da “L’Attualità”