Roma, 8 gennaio 2020 – “Il professore dei misteri. E con lo stato e con le br: Giovanni Senzani e la storia segreta del doppio livello” di Marcello Altamura… un libro molto interessante, che consiglio di leggere… si, la prima storia completa del più enigmatico terrorista di sinistra… professore universitario, consulente di ministeri, amico ovviamente di massoni, esponenti dei servizi e uomini politici, ma soprattutto leader delle brigate rosse (di cui abbiamo parlato nel mio articolo del 20.12.2019 con il titolo “Il professore dei misteri”. Rileggiamo le pagine dell’Italia tenebrosa per il terrorismo… ed è per questa logica di morte che l’avv. De vita doveva morire ! … con ricordi personali )
(da pag.20)…L’uomo nell’ombra. “”Sino al 1981, anno in cui suo nome viene fuori in merito al sequestro D’Urso, il nome di Giovanni Senzani è rimasto nell’ombra. Un fatto è certo: Giovanni Senzani ha legami e protezioni solide. Si muove a suo agio in ambienti apparentemente diversi tra loro: il Ministero di Grazia e Giustizia, con cui lavora in qualità di consulente, ma anche gli ambienti della sinistra più “incendiaria“. Una personalità complessa, sfaccettata, che passa dal servizio militare presso la Scuola Ufficiali dell’Esercito di Ascoli Piceno, alle Acli, alla clandestinità nel giro di una decina di anni, lavorando attivamente anche per l’Inps e per la Cassa del Mezzogiorno. Un filo rosso sangue. Nella vicenda del capo brigatista c’è però una costante: il suo legame con il caso Moro. Una connessione che emerge in maniera netta, sebbene per indizi sparsi qua e là e che nel tempo, forse volutamente o forse solo per semplice pigrizia, nessuno ha voluto mai mettere insieme. Provandoci viene fuori un quadro chiarissimo inquietante: l’ombra di Senzani si allunga su tutta la vicenda dei 55 giorni. I fatti, come quelli delle ricostruzioni storiche contano più di ogni altra cosa, parlano chiaro: i riferimenti al professore di Forlì nel caso Moro sono molteplici e spesso chiarissimi ma, chissà perché, sono stati ignorati o trascurati, generalmente non collegati tra di loro in ossequio all’imperizia che è una costante dell’intera vicenda. Infatti, per la verità giudiziaria, Senzani non ha nulla a che vedere col caso Moro, cosa che lui stesso con orgoglio ancora oggi grida ai quattro venti, tacciando di dietrologia o di complottismo chiunque dica il contrario, sulla base di dati obiettivi. Nei 55 drammatici giorni che scandiscono il caso Moro sino alla sua tragica conclusione, ci sono due aspetti sui quali non è mai stata fatta luce fino in fondo: chi gestì davvero la prigionia e poi la condanna a morte dello statista democristiano e chi effettivamente lo interrogò nella prigione del popolo. Ebbene, sullo sfondo di entrambi si staglia l’ombra di Giovanni Senzani. Una città chiave in questo senso si rivelerà, come vedremo, Firenze, la città in cui il professore risiedeva. Una città cui si è riferito più di un brigatista, a cominciare dal “pentito chiave” Patrizio Peci, indicandola come sede del comitato esecutivo brigate rosse durante il sequestro. Quest’ultimo indica anche una località precisa, Chiusi, che in realtà si trova nella provincia di Siena. E saranno gli stessi brigatisti, Morucci in primis, a confermare che dal capoluogo toscano arrivarono sia i comunicati che le domande da porre a Moro nella prigione del popolo. A Firenze è insediato in seduta permanente, durante 55 giorni, il comitato esecutivo toscano delle Brigate Rosse, composto da 27 membri che, nota il Senatore Giovanni Pellegrino, ex Presidente della Commissione Moro, “sono tutti irregolari e tutti di un livello intellettuale superiore alla media dei militanti“. Un filo rosso riannodato sempre da Pellegrino che, nel 2000, spiegò all’ANSA che “era Senzani a guidare da Firenze, anche dal punto di vista politico, il processo cui Moro fu sottoposto“. E ancora: secondo Pellegrino, Senzani “non solo potrebbe aver organizzato le riunioni della direzione strategica durante 55 giorni ma potrebbe aver svolto, proprio per la sua statura intellettuale e grande esperienza politica e giuridica, il ruolo del cosiddetto grande inquisitore””.
(da pag. 29)…Dentro e fuori dal Ministero. “”Il ruolo strategico di Senzani in seno all’organizzazione e nel caso Moro è legato anche a un altro aspetto: l’attività del criminologo in ambiti istituzionali. Un’attività che, pur trovando molti riscontri, era stata negata persino dallo Stato. Ma è stato proprio lui, Giovanni Senzani, nell’intervista concessa a Panorama e pubblicata il 29 gennaio 2014, la prima dopo molti anni di silenzio, ad ammetterlo: “avevo un lavoro importante all’Università, due figlie, ero consulente al Ministero, ma pensai che se ero coerente con il mio pensiero politico dovevo entrare nella lotta armata“. Il Ministero in questione è quella di Grazia e Giustizia, con cui Senzani è in rapporti sin dal 1968””…
(da pag. 31)…””A maggio 1975, i NAP, Nuclei armati proletari, gruppo terroristico sorto a Napoli, città che Senzani ha frequentato molto proprio in quegli anni, e che riguardava militanti nell’ambiente carcerario, sequestrano e processano il Magistrato Giuseppe Di Gennaro, con cui Senzani collaborava: “sapevano troppe cose sulla mia attività pubblica e sulla mia vita privata“ dirà agli inquirenti il Magistrato. In ambito ministeriale Senzani è stimato: come esperto e autore di numerose pubblicazioni criminologiche e sullo stato delle carceri minorili, verrà ascoltato due volte dalla IV Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. Su di lui, dopo il sequestro d’Urso, sì addenserà il sospetto di essere stato la talpa dei brigatisti all’interno dello Stato per gli omicidi dei giudici Paolella e Tartaglione, peraltro ben conosciuti da Senzani… Proprio di un’agenda con indirizzi del Ministero di Grazia e Giustizia parlerà poi, nel suo libro “IL PRIGIONIERO”, scritto con Paola Tavella, la brigatista Anna Laura Braghetti: “Era piena di numeri di telefono di funzionari del DAP, la branca del Ministero di Grazia e Giustizia che si occupa delle carceri. Facemmo loro una serie di telefonate di minaccia: ricordo lo sbalordimento di un Magistrato che chiamai sulla sua linea riservata”. I dubbi restano anche ai Magistrati. In un’intervista all’Agenzia parlamentare Dies del 22 marzo 1988, il Giudice Luciano Infelisi, uno dei primi a indagare sul caso Moro, si chiedeva “chi raccomandò Senzani, accreditandolo quale persona affidabile al Ministero di Grazia e Giustizia e negli ambienti dei Servizi di sicurezza?”, mentre un altro Magistrato, Rosario Priore, si spingerà oltre, ipotizzando che l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini, ucciso nel 1979 a Milano da un commando di Prima Linea, avesse delle connessioni col ruolo di Senzani. Un anno prima di morire, infatti, Alessandrini avrebbe confidato al leader socialista Craxi di essere arrivato alla conclusione che la risoluzione strategica numero 2 delle BR era stata scritta da mani esperte, persone di culture elevata che conoscevano bene la situazione carceraria internazionale, perciò esterne al gruppo brigatista e che, secondo il Magistrato, avevano accesso ai Ministeri.“Alessandrini aveva visto giusto” dirà Priore. “Senzani, che era un consulente del Ministero vicino a servizi segreti, lavorava al fianco di coloro che poi sarebbero diventate vittime delle BR come Palma, Minervini e Tartaglione””.
Veniamo ora al capitolo 9… L’intreccio torbido del caso Cirillo…(da pag. 293)…Sulla pelle dei morti. ””Il 23 novembre 1980 è una domenica, sembra come tante altre, a Napoli. Già, sembra. Perché la terra in Campania trema. Novanta secondi, un tempo che sembra infinito, una scossa di magnitudo 6,9 della scala Richter e la Campania si sfarina come un castello di sabbia. Sangue, macerie e lacrime, dall’Irpinia fino alla Basilicata: 2.914 morti, 9.000 feriti, 280.000 sfollati, 99 comuni devastati, di cui 18 rasi al suolo.Nella sua cella-suite, Cutolo brinda a champagne coi suoi fedelissimi. Nel grande affare della ricostruzione, la sua Nuova Camorra Organizzata deve essere in prima linea. Un business colossale: attualizzando le cifre, oltre 70 miliardi di euro. Un fiume in piena di denaro regolato dalla legge 219 del 1981, che stanzia 8.000 miliardi di lire per la ricostruzione. Una storia infinita fatta di ben 33 interventi legislativi previsti e chiusasi solo nel 2012. E’ allora che si decide che i membri della colonna napoletana delle BR, sino ad allora affidata al comando di un capo scelto dai vertici nazionali come era accaduto, prima con il romano Seghetti, e poi con il torinese Nicolotti, debbano scegliersi un loro leader. Così già nell’autunno del 1980, poco prima del terremoto, la colonna napoletana viene affidata a Giovanni Senzani. E col professore guerrigliero, le BR a Napoli e in tutta la Campania fanno il salto di qualità, sfruttando l’onda lunga del sisma e quello della disoccupazione. Il quadro apparentemente perfetto per instillare a Napoli e in tutto il sud il “il bacillo” della rivoluzione. O almeno questo in teoria. Già, perché a Napoli, prima ancora che con lo Stato, c’è da fare i conti con un’altra presenza, una presenza perfino più forte delle stesse istituzioni: la camorra. E quando a Napoli, in quegli anni, si scrive camorra, si legge un solo nome: Raffaele Cutolo. Per questo, il 24 ottobre 1970, il giorno di San Raffaele, fonda la nuova camorra organizzata (NCO), il suo esercito personale che arriverà contare fino a 7.000 “soldati”.Se per il suo fondatore la NCO è un partito, per Giovanni Senzani, leader brigatista “reggente” a Napoli, invece, è un interlocutore privilegiato. La camorra, in fondo, è nient’altro che quello che sempre teorizzavano i suoi studi: sottoproletariato disagiato e come tale voglioso di rivoluzionare la società borghese. E così come in Calabria Senzani ha stretto contatti con la ‘Ndrangheta e coi politici a essa collegati, in Campania stringe un’alleanza “operativa” con malavitosi…””
(da pag.304) Un piano chirurgico…””Di Ciro Cirillo, i brigatisti sanno tutto. Chi decide di rapirlo conosce bene le tue abitudini, i suoi spostamenti. Quando, il 27 aprile 1981, scatta il blitz per rapire l’assessore, i brigatisti sanno che Cirillo e la famiglia sono tornati solo la sera prima da un viaggio negli Stati Uniti. Da quando ha saputo di essere nel mirino dei brigatisti, il politico democristiano è molto teso, ma quel viaggio oltreoceano ha contribuito a stemperare la tensione, lo ha reso meno ansioso. È quello il momento migliore per colpire, tanto più che i brigatisti conoscono perfettamente i tempi dei suoi spostamenti…””
(Da pag. 308) “”Dodici comunicati, undici lettere, due foto Polaroid più un appello letto dalla viva voce del prigioniero: i documenti prodotti da Ciro Cirillo negli 88 giorni in cui è stato rinchiuso nel “carcere del popolo”, sono numericamente superiori rispetto a quelli “ufficiali” di Moro. Eppure, la dinamica, la gestione del sequestro è simile, al punto da poter dire che nel sequestro dell’assessore democristiano le Brigate Rosse applicano una sorta di “protocollo Moro”, a conferma del fatto che Giovanni Senzani aveva un’esperienza diretta anche nella vicenda dello statista pugliese…””.
(da pag. 310) Il precedente del sequestro d’Urso. ””D’Urso, Magistrato, è Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena presso il Ministero …quando, il 12 dicembre 1980, un commando delle BR lo sequestra, l’obiettivo è chiaro, colpire i vertici del sistema penitenziario, settore di cui del resto il criminologo è un esperto…La linea del partito armato è chiudere immediatamente il carcere dell’ Asinara…con una divisione tra fronte della fermezza e quello della trattativa…e sembra di rivivere i giorni del sequestro Moro…D’Urso viene tenuto prigioniero nell’appartamento di Buzzati, in via della Stazione di Tor Sapienza. A costruire la prigione, dirà proprio il pentito brigatista, sarà Mario Moretti con addosso una tuta da ginnastica che lo faceva assomigliare a un capomastro. Il prigioniero è sorvegliato attraverso un occhio magico e senza cercare atti di eroismo, si dice subito disponibile a dire tutto. A interrogare il Magistrato, dice ancora Buzzati, sono Moretti e Senzani: “Tutti gli interrogatori sono stati registrati ma non so dove siano i nastri, non certo a casa mia perché dopo il sequestro l’appartamento fu “pulito”. Senzani era sempre travisato e con gli occhiali a specchio, l’unico che D’Urso può aver visto è Moretti perché la prima sera distrattamente si era tirata giù il passamontagna tanto che Senzani lo rimproverò e Moretti rispose “tanto uno più uno meno”, riferendosi ai delitti di cui doveva rispondere”. I due leader scrivono 10 comunicati emessi dalle Brigate Rosse durante i 33 giorni del sequestro, che a sorpresa si conclude con rilascio del Magistrato. Prima, però, Senzani si regala un “colpo di teatro”, passando i verbali dell’interrogatorio di d’Urso al settimanale l’Espresso, che li pubblicherà nel numero in edicola il 3 gennaio 1981…””.
Concludiamo la lettura di questa parte del libro, ricordando che, ad un mese dal 30 luglio 2017, giorno della morte di Ciro Cirillo, sequestrato fra il 27 aprile e il 24 luglio del 1981, si può affermare che egli non ha lasciato memoriali…. Furono pagati, per la liberazione, versati di notte a Roma su un tram al dominus del sequestro, Giovanni Senzani ( poi condannato per questo ad uno degli ergastoli accumulati) un miliardo e mezzo di lire. Eppure Senzani, che vive ormai in piena e legittima libertà dal 2010, ha sempre smentito che dietro quel pagamento ci fosse stata qualche trattativa in cui fossero state coinvolte Brigate rosse, Democrazia Cristiana e camorra…
Ora, per i miei 25 lettori, inserisco qualche ricordo personale di carattere professionale… facendo riferimento ad articoli apparsi su vari quotidiani a tiratura nazionale, cito LA STAMPA, pag. 16 del 7 aprile 1995, dal titolo: “Dall’Antiterrorismo falsi volantini BR” e “LA REPUBBLICA”, pag. 18, del 9 aprile, intitolato “SEGRETO DI STATO SU FALSI VOLANTINI BR”, del 9 aprile, nei quali ero espressamente citato… Al riguardo soggiungo che in quegli anni ero Comandante Provinciale dei Carabinieri di Catanzaro quando fui escusso quale persona informata sui fatti dai PM titolari del processo sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli a Perugia… Tale citazione scaturiva dalla trascorsa mia permanenza all’Antiterrorismo del Ministero dell’Interno negli anni 1979-83, con partecipazione alle indagini per il Caso Cirillo e altro, sempre d’intesa con l’AG…. Dopo aver escluso rapporti con taluni soggetti appartenenti alla cosiddetta banda della Magliana,coinvolti, a specifica domanda dei Magistrati circa avvenute azioni di controinformazione effettuate dal Servizio, confermai di aver avuto cognizione diretta, in quegli anni, di un solo caso di “volantinaggio”, disposto dalla Direzione, per verificare possibili reazioni delle BR. Il cosiddetto “sasso nello stagno…” Si trattava proprio del periodo del sequestro Cirillo… Ne scrivo perché sono atti pubblici. Concludo descrivendo scene all’italiana maniera…
Tornando a Giovanni Senzani, ed alla sua pirotecnica vita, Mariarosa Mancuso, per “Il Foglio”, scrisse nel 2013 : “”Il Festival di Locarno ha avuto il suo scandalo politico. Scandaloso per davvero, anche se verrà celebrato come un.. capolavoro; è l’ultimo film di Pippo Delbono, arrivato in concorso giusto per incupire ulteriormente l’atmosfera, “Sangue”..(che).. inquadra il brigatista Giovanni Senzani, che senza batter ciglio e aggiungendo un delirante discorsetto sul tema “trattamento dei traditori nei movimenti rivoluzionari”, racconta l’esecuzione di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio Peci. Non pago, evidentemente, di aver filmato la feroce esecuzione dopo il lungo interrogatorio dai lui personalmente condotto, riesce a dire cose come “anche per pietà, non abbiamo detto al prigioniero cosa stavamo per fare” (undici colpi di pistola)””. Replica, con articolo dal titolo “Quell’ insopportabile ambiguità”, Cesare Martinetti per “La Stampa” di Torino: “”Giovanni Senzani fa bene ad affermare di non voler più essere un “cattivo maestro” ammettendo così esplicitamente di esserlo stato. Ma fa male a dire di aver visto nel funerale di Prospero Gallinari quello di Aldo Moro perché tra i due vi era una differenza radicale: l’uno è stato carnefice, l’altro vittima. In questa ricomparsa pubblica di Senzani c’è l’insopportabile ambiguità che accompagna ogni riapparizione di (ex) terroristi in Italia. Un giustificazionismo storico che determina una sostanziale complicità postuma. È un fenomeno solo italiano. In Francia agli (ex) terroristi non è nemmeno consentito dare interviste ai giornali. Da noi, sopravvive un fiancheggiamento ipocrita, pubblicistico, artistico che inevitabilmente si risolve in una celebrazione del passato. Tutte le rivoluzioni novecentesche sono fallite, ha detto Senzani, “anche la nostra”. Passa così il messaggio che fosse un atto rivoluzionario sparare al cuore del Leader DC o alla testa di un ragazzo come Peci…”. Sarebbe ora di smetterla. l’Italia ha bisogno di un discorso di verità. Ovunque””. Sì, sarebbe proprio ora di smetterla con queste scempiaggini condividendo appieno quanto scrive Martinetti, e nella circostanza ribadiamo alcuni concetti già espressi su questa testata in cui appunto si è segnalato il vizio congenito del nostro Paese, quello delle facili amnesie, con tendenza alla rimozione di ciò che è accaduto. Poi, va sfatata la leggenda che nelle BR esistono i buoni (quelli che non hanno ucciso, ad esempio il noto Renato Curcio) e i cattivi, che lo hanno invece fatto; ciò è dipeso dalle situazioni contingenti non già da scelte morali e di vita degli interessati. Le scissioni verificatesi, poi, nell’organizzazione criminalterroristica, sono solo un aspetto autoreferenziale che risponde a logiche di potere interno e basta, come non va, certamente, asserito che il fenomeno, come ciclicamente accade in tempi silenti, si sia dissolto, perchè i fatti hanno purtroppo dimostrato il contrario.
Quindi, l’attenzione va tenuta costantemente alta da parte di tutti, in quanto è inimmaginabile che dopo la disarticolazione del terrorismo rosso nei primi anni ’80, con eccezionali successi di Magistratura, Servizi allora come non mai efficienti, e Polizie, taluni personaggi ben noti ma ai margini delle organizzazioni rivoluzionarie e non scalfiti dalle molteplici inchieste, non siano stati incisivamente monitorati nel tempo! E questo imperativo di vigilanza riguarda anche la Politica e tutte le Istituzioni, non escludendo la gente comune perché oggi, sull’onda lunga della gravissima crisi economica, la saldatura dei gruppi terroristici “dormienti” con quelli ancora ben vitali, con frange anarchiche anche internazionali, è senz’altro possibile, ovviamente supportata da un’azione di proselitismo forte e senza precedenti, contrariamente a quanto si va da più ambiti “lieto pensanti” e decisamente incompetenti rassicurando. Certamente inquietante, al riguardo, quanto leggiamo nella premessa al bel libro di Pino Casamassima, giornalista attento e intelligente, dal titolo: “Gli Irriducibili- Storia di Brigatisti mai pentiti”, editore Laterza di Bari. “”Tra i sessanta detenuti appartenenti al “Partito Armato”, ci sono otto uomini e una donna che escono di giorno e rientrano alla sera; i rimanenti quarantuno uomini e dieci donne scontano il carcere a tempo pieno o perché arrestati di recente o perché non hanno abbandonato la lotta armata come strategia politica: pronti cioè a imbracciare nuovamente le armi se solo fossero liberi…”” Addirittura, gli irriducibili veri, che danno il titolo al libro, cioè Paolo Maurizio Ferrari, Cesare Di Lenardo e Nadia Lioce, rifiutano qualsiasi contatto con la “stampa borghese”, ritenuta indegna.
Ho finito.