Roma, 17 febbraio 2020 – Nella Penisola continua l’attacco di ecocriminali ed ecomafiosi nei confronti dell’ambiente: ciclo illegale del cemento e dei rifiuti, filiera agroalimentare e racket degli animali sono, nel 2018, i settori prediletti dalla mano criminale che continua a fare super affari d’oro. È il giudizio di Legambiente, che rende noti i dati di Ecomafia 2019, realizzato grazie anche alla collaborazione di molti soggetti – dalle Forze dell’Ordine alle Capitanerie di porto, dalla Corte di Cassazione al Ministero della Giustizia, da Ispra e Sistema nazionale protezione ambiente al Cresme, dalla Commissione Ecomafie all’Agenzia delle Dogane, solo per citarne alcuni.
Cala, seppur di poco, il bilancio complessivo dei reati contro l’ambiente che passa dagli oltre 30mila illeciti registrati ai 28.137 reati (più di 3,2 ogni ora) accertati lo scorso anno, soprattutto a causa della netta flessione, fortunatamente, degli incendi boschivi (-67% nel 2018) e in parte alla riduzione dei furti di beni culturali (-6,3%). Diminuiscono inoltre le persone denunciate –35.104 contro le oltre 39mila del 2017 – così come quelle arrestate, 252 contro i 538 del 2017, e i sequestri effettuati –10mila contro gli 11.027 del 2017. L’aggressione alle risorse ambientali del Paese si traduce in un giro d’affari che nel 2018 ha fruttato all’ecomafia ben 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all’anno precedente e che vede tra i protagonisti ben 368 clan, censiti da Legambiente e attivi in tutta Italia.
Nel 2018 lievitano anche le illegalità nel settore agroalimentare, sono ben 44.795, quasi 123 al giorno, le infrazioni ai danni del Mady in Italy (contro le 37mila del 2017) e il fatturato illegale – solo considerando il valore dei prodotti sequestrati – tocca i 1,4 miliardi (con un aumento del 35,6% rispetto all’anno).
“Con questa edizione del rapporto Ecomafia e le sue storie di illegalità ambientale – ha dichiarato Stefano Ciafani, Presidente Nazionale di Legambiente – vogliamo dare il nostro contributo, fondato come sempre sui numeri e una rigorosa analisi della realtà, per riequilibrare il dibattito politico nazionale troppo orientato sulla presunta emergenza migranti e far sì che in cima all’agenda politica del nostro Paese torni ad esserci anche il tema della lotta all’ecomafie e alle illegalità. Un tema sul quale in questi mesi il Governo ha risposto facendo l’esatto contrario, approvando il condono edilizio per la ricostruzione post terremoto sull’isola di Ischia e nelle zone del cratere del Centro Italia, e il decreto Sblocca cantieri con cui ha allargato le maglie dei controlli necessari per contrastare infiltrazioni criminali e fenomeni di corruzione. Per fortuna – aggiunge Ciafani – si conferma la validità della legge 68 del 2015, che ha inserito i delitti ambientali nel Codice penale, con buona pace dei suoi detrattori che negli ultimi anni hanno perso voce e argomenti per denigrarla. Risultati che dovrebbero indurre a completare la riforma di civiltà inaugurata con la normativa sugli ecoreati: il nostro auspicio è che il Governo e il Parlamento invertano il prima possibile la rotta intrapresa e abbiano il coraggio di continuare il lavoro che nella scorsa legislatura ha visto approvare il maggior numero di norme ambientali di iniziativa parlamentare della storia repubblicana”.
Il fenomeno dell’abusivismo edilizio, soprattutto al Sud, rimane una piaga per il Paese che nel 2018 è stato anche segnato dal vergognoso condono edilizio per Ischia. Anche in questa edizione di Ecomafia emerge che in Italia si continua a costruire abusivamente: secondo il Cresme, nel 2018 il tasso di abusivismo si aggira intorno al 16%, considerando sia le nuove costruzioni sia gli ampliamenti del patrimonio immobiliare esistente. Inoltre secondo i dati del report Abbatti l’abusi, dal 2004, anno successivo all’ultimo condono edilizio nazionale, al 2018, nel nostro paese è stato abbattuto solo il 19,6% degli immobili colpiti da un ordine di demolizione. Legambiente ricorda che il migliore deterrente contro i nuovi abusi sono le demolizioni.
Sul fronte del traffico illecito dei rifiuti, sono 459 le inchieste condotte e chiuse dalle Forze dell’Ordine dal febbraio 2002 al 31 maggio 2019 utilizzando il delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti. Complessivamente sono state 90 le Procure che si sono messe sulle tracce dei trafficanti, portando alla denuncia di 9.027 persone e all’arresto di 2.023, coinvolgendo 1.195 aziende e ben 46 stati esteri. Le tonnellate di rifiuti sequestrate sono state quasi 54 milioni. Tra le tipologie di rifiuti predilette dai trafficanti, ci sono i fanghi industriali e i rifiuti speciali contenenti materiali metallici.
Per quanto riguarda il settore delle archeomafie, lo scorso anno il racket legato alle opere d’arte e ai reperti archeologici ha avuto un andamento altalenante: cala per quanto riguarda i furti (-6,3%) rispetto all’anno precedente, ma il dato più importante è la contrazione dei sequestri effettuati (-77,8%) e quella degli oggetti recuperati (-41%). Considerevole il numero dei controlli, che sono stati 33.028, una media di oltre novanta al giorno. La regione più esposta all’aggressione dell’archeomafia è la Campania, con il 16,6% di opere d’arte rubate, mentre a svettare nel bilancio 2018 del “tesoro recuperato” ci sono i 43.021 reperti archeologici.
Sin qui Legambiente…
Ora, non possiamo non fare cenno alla Banca dati per la legalità, contro le infiltrazioni mafiose negli appalti per individuare chi abbia commesso reati contro PA o ambiente. E togliere dalle mani delle ecomafie la filiera dei rifiuti e le bonifiche ambientali. Una banca dati per il rispetto della legalità, che permetta di effettuare bonifiche ambientali, presto e bene, impedendo le infiltrazioni mafiose e criminali negli appalti pubblici. Un modello messo in atto dai Carabinieri Forestali e dalla struttura del Commissario Straordinario per le bonifiche delle discariche abusive che è già realtà. E mette a segno un altro punto a favore dello Stato, nella lotta contro le ecomafie. La filiera della gestione dei rifiuti, delle discariche e dei siti contaminati è, infatti, come prima riferito da Legambiente, in Italia, a tutt’oggi, una delle più «inquinate» dalla criminalità organizzata. Come confermano, sia l’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia (DNA), che il recente rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia.
«Per fare presto e bene», la task force creata tra Ministero dell’Ambiente e l’Arma dei Carabinieri Forestali in 34 mesi ha bonificato la metà delle discariche abusive, avvalendosi di una serie di protocolli, con gli enti di controllo e le forze investigative. Con l’analisi delle diverse banche dati istituzionali e private, e il loro riversamento in un unico database, gli esperti sono riusciti a individuare l’alto tasso di permeabilità degli appalti pubblici alla malavita organizzata.
Tornando al rapporto di Legambiente, abbiamo letto del settore delle archeomafie; quindi, non possiamo non entrare nell’argomento, suggerendo che in tale ambito sarebbe opportuno anche da parte dell’Intelligence degli Stati un controllo sui traffici dei reperti archeologici dal vicino oriente, trafugati a seguito delle recenti devastazioni dei terroristi islamici e molto probabilmente immessi nei mercati europei e americani, al fine di accertare i collegamenti con quelle pericolose organizzazioni di morte.
Infatti, l’anno scorso, sul quotidiano “Il Giornale”, abbiamo letto un articolo con la presentazione di un interessante libro dal titolo:“L’arte del terrore” di Luca Nannipieri, una ricerca sul sempre più fiorente traffico d’arte internazionale. Un libro-inchiesta che “… documenta un giro d’affari mostruoso (6-7 miliardi di dollari l’anno) difficile da estirpare: così monili e reperti saccheggiati dai siti archeologici mediorientali sconvolti dalle primavere arabe arrivano nei porti del Libano e sui camion che attraversano i Balcani. Dritti dritti fino alle case degli utenti di Ebay, oppure fino alle gallerie dei più grandi musei del mondo. Così l’Occidente assetato di arte e bellezza finisce per finanziare i jihadisti assetati di sangue. La stima è dell’Unesco, con analoga valutazione dei servizi segreti britannici. Lo Stato Islamico non si limita a cancellare il patrimonio storico, lo usa anche per finanziare la sua guerra. Il mercato nero di opere d’arte e reperti archeologici, ha visto negli ultimi anni una crescita esponenziale: solo i reperti trafugati ad Al Nabuk hanno fruttato 36 milioni di dollari agli jihadisti. Il traffico mondiale di antichità vale tra i 6 e gli 8 miliardi.”
In una Intervista al giornalista Fabio Isman, esperto di inchieste sulla ricettazione di opere d’arte, Ilaria M. P. Barzaghi, il 30 gennaio 2016, per la “Voce di New York”, ha messo in luce che…” c’è profonda preoccupazione per la sistematica devastazione di opere d’arte e siti archeologici nei territori controllati dall’ISIS. Ma c’è anche altro, di cui si parla meno: la distruzione di copie di opere d’arte a scopo propagandistico e soprattutto le finte distruzioni o distruzioni parziali che servono a coprire il commercio illegale delle opere d’arte trafugate, fonte di sovvenzionamento per l’ISIS insieme al petrolio. Così Isman: “Il mercato è sempre pronto a prendere nuova ‘roba’. Non più i vecchi, grandi musei, che ormai si sono dati qualche regola (tranne che in Italia…), ma le case d’asta internazionali, che nascondono la provenienza degli oggetti (o nel migliore dei casi sono reticenti) e di fatto sono in grado in questo modo di ‘ripulire’ gli oggetti, ricettandoli…”
Bene, che fare? Diciamo subito che vanno cambiate le leggi e vanno, come auspicabile, mobilitati soprattutto i Servizi di Intelligence come intensificando il controllo del territorio, anche satellitare. Anche le norme internazionali devono essere rivisitate subito sulla specifica materia, come necessita una maggiore collaborazione tra Stati…