Perché il titolo “Ossigeno illegale”? Perché l’ossigeno avvelenato è illegale e quindi va contrastato nella sua enorme espansione.Un libro quindi di grande interesse, da leggere.
Gli autori, Nicola Gratteri, Procuratore Capo della Repubblica di Catanzaro e Antonio Nicaso, Docente universitario e storico delle organizzazioni criminali, raccontano come le mafie coglieranno l’occasione di questa crisi per fare attività di riciclaggio, crearsi nuovi spazi nell’economia e radicarsi nel settore agricolo, della logistica, della grande distribuzione, della finanza o in altri settori strategici per l’Italia.
Iniziamo la lettura di parti del libro.
– da pag.41. “”L’emergenza rifiuti. In Campania il traffico illecito dei rifiuti è cominciato mentre si concludeva il grande affare del terremoto del 1980. Si tratta di un business che riguarda i rifiuti urbani, industriali e tossici trasferiti in quantità enormi dal Nord al Sud, «grazie alla crescente professionalità dei clan camorristici e all’azzeramento di qualsiasi scrupolo negli imprenditori del nuovo settore. Un altro professionista al servizio dei clan, l’avvocato Cipriano Chianese, fu condannato a vent’anni di reclusione per disastro ambientale(https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/ancora-sulla-micidiale-terra-dei-fuochi-loperato-dei-carabinieri-del-noe-con-la-magistratura-valido-presidio-di-legalita-nel-difficile-settore-38287/). Nel 2019 in appello la pena è stata ridotta a diciotto anni. Di quelle vicende restano le decine di migliaia di morti per cancro, i tanti bambini nati con malformazioni fisiche, lo sfregio al territorio e gli innumerevoli dolori disseminati lungo la cosiddetta «terra dei fuochi», terra di convergenze politiche, di corruzione diffusa, di occhi chiusi e di grida inascoltate. Un fatto tuttavia è certo: i rifiuti sono un business importante, come testimoniano i dati relativi al 2018, pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (Ispra) nel «Rapporto rifiuti urbani». Dal 2017 al 2018, in Italia la produzione di rifiuti urbani è cresciuta in tutte le macroaree geografiche. Secondo il «Rapporto rifiuti speciali» dell’Ispra, inoltre, la produzione di rifiuti speciali – i cui dati più recenti si riferiscono, in questo caso, al 2017 – ammonta a quasi 139 milioni di tonnellate annue. La maggioranza è composta da rifiuti non pericolosi, derivanti perlopiù dall’industria alimentare, da quella chimica e farmaceutica, dalle raffinerie di petrolio e dalle attività estrattive. Quello dello stoccaggio e dello smaltimento dei rifiuti, comunque, è un affare troppo ghiotto, soprattutto in un momento come questo in cui ci sono da smaltire tamponi, mascherine, guanti. Un settore che potrebbe essere usato come testa di ponte per ulteriori infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto industriale, per stringere altre alleanze e per allargare la propria rete imprenditoriale, come ha messo in guardia la coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Alessandra Dolci, nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali.””
– da pag.63. “”Doping finanziario. «I clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, a dare la caccia ad aziende in stato di necessità» Lo ha scritto il G.I.P. di Palermo, Piergiorgio Morosini, disponendo la custodia cautelare di decine di presunti mafiosi legati alle famiglie storiche delle borgate marittime nel mandamento di Resuttana. Nell’ordinanza, il Gip ha tenuto conto della possibilità che i clan reiterassero il reato mettendo le mani su imprese in affanno a causa della «crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti» in seguito al Covid-19. Il riciclaggio di denaro è uno dei più insidiosi canali di contaminazione fra lecito e illecito. Oggi la corruzione è il mezzo con cui le mafie si espandono, mettono radici lontano dai territori d’origine. Serve anche a limitare l’uso della violenza, a garantire quel basso profilo necessario per infiltrarsi nelle varie increspature dell’economia legale ma soprattutto della politica, che nei diversi territori gestisce molte risorse pubbliche, soprattutto appalti. Attualmente, nel nostro Paese ci sono 51 enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose, un numero che, come mette in evidenza la Dia nella sua seconda relazione semestrale del 2019, «non è mai stato così alto dal 1991, anno di introduzione della normativa sullo scioglimento per mafia degli enti locali». Nel 2019 sono stati sciolti 20 consigli e due aziende sanitarie provinciali, che si sono aggiunti alle 29 amministrazioni ancora in fase di commissariamento. Dei 51 enti, 5 sono in Calabria, 12 in Sicilia, 8 in Puglia, 5 in Campania e 1 in Basilicata. Anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha espresso la propria preoccupazione per le possibili distorsioni che le attività criminali potrebbero introdurre nelle economie dei vari Paesi (e in particolare di quelli più piccoli o in via di sviluppo), ma soprattutto per gli squilibri che il riciclaggio di denaro potrebbe ulteriormente portare nel circuito finanziario. Il giro d’affari stimato è nell’ordine dei 300-500 miliardi di dollari, una cifra che oscilla tra l’1 e il 2 per cento del Pil mondiale. Un’indagine di Confcommercio realizzata nel maggio 2020 in collaborazione con Format Research ha indicato proprio nella criminalità organizzata «un ulteriore, pericoloso ostacolo» allo svolgimento delle varie attività imprenditoriali e commerciali. Un dato riconducibile all’11 per cento delle imprese esaminate. Circa il 10 per cento degli imprenditori, invece, è risultato esposto all’usura o a tentativi di appropriazione «anomala» dell’azienda.
«Tutto si aggiusta». Gennaro Pulice è uno di quei pochi collaboratori di giustizia che hanno aperto uno squarcio sul fronte affaristico-imprenditoriale. Nella ‘ndrangheta era entrato da giovane, raggiungendo il grado di «santista» in seno al clan lannazzo-Cannizzaro-Daponte di Lamezia Terme, sede del più importante aeroporto calabrese. Ai Magistrati ha spiegato che per avere successo a Lamezia Terme, ma anche in altre realtà soggette al controllo della ʼndrangheta, c’è bisogno del «consenso delle famiglie». Poi chiarisce: «Il problema è che queste grosse famiglie di ‘ndrangheta, occupando il territorio con i cantieri, con i lavori, con il centro commerciale, riescono comunque a essere presenti e a ottenere quello che poi è il consenso di tutta la gente, il consenso sociale». Andrea Mantella è un altro collaboratore di giustizia. Entrato nella ‘ndrangheta da ragazzino, ha assunto ruoli di vertice all’interno del clan Lo Bianco di Vibo Valentia. «La ‘ndrangheta» spiega «è più forte dello Stato», grazie soprattutto alla capacità di disporre di gente che ai mafiosi ha sempre tenuto bordone. Riferendosi a Luigi Mancuso, uno dei boss dell’omonima famiglia, originaria di Limbadi, Mantella ha detto che «era più forte della Cassa di Risparmio, della Carime, aveva soldi contanti». Da tempo, molte indagini confermano una forte inversione in quella che rappresenta la mentalità delle organizzazioni mafiose, che non mira più unicamente al controllo del territorio mediante la «forza», ma anche e soprattutto attraverso l’imprenditoria. Nicolino Grande Aracri, il boss che nei primi anni Duemila ha messo in discussione gli storici equilibri della ‘ndrangheta, proponendo la costituzione di una commissione provinciale parallela a quella che ha come centro nevralgico San Luca, si vantava di avere nelle mani società inglesi quotate nella City of London e di poter contare su amici in tutto il bacino del Mediterraneo, proprietari di pescherecci a Malta che gli consentivano l’accesso all’approvvigionamento di droga in Marocco, Tunisia, Nigeria, Egitto e Libia. E al suo clan erano in quegli anni riconducibili investimenti in molte regioni italiane, anche nel Nordest, ma soprattutto in Europa. Il 19 gennaio 2013, durante una conversazione, il boss di Cutro (Crotone) parlava della necessità di creare un «blocco fondi». L’idea era quella di bloccare 500 milioni per un anno con investimenti in America, Giappone e Cina, ottenendo in cambio il 15 per cento del capitale investito.
Cybercrime. Durante il lockdown, computer e telefoni cellulari sono stati gli strumenti più usati, non solo per comunicare, ma anche per acquistare beni e servizi. Sono, di conseguenza, aumentati i reati online, ma soprattutto le truffe, mediante il sistema della compravendita di beni inesistenti o contraffatti. Molti messaggi pubblicitari con promozione di prodotti riconducibili a Paesi stranieri, spesso lontani, hanno fatto da esca per pagamenti elettronici anticipati. È stato uno dei reati più diffusi, con un incremento del 600 per cento nei mesi di marzo, aprile e maggio, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono aumentati anche i cosiddetti fenomeni di phishing con furto d’identità o con attacchi ransomware, ossia di virus che bloccano i computer, collegati a richieste di riscatto in valuta virtuale per ripristinare l’accesso al proprio dispositivo. In molti casi è stato utilizzato il logo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con inviti a cliccare su un link per ottenere informazioni importanti sul coronavirus, uno stratagemma per infettare il computer o il cellulare e per rastrellare i dati sensibili custoditi in memoria. Tutte le Polizie del mondo hanno espresso preoccupazioni per l’aumento del numero degli attacchi informatici sia a privati sia ad aziende. Sono stati presi di mira anche ospedali impegnati nella cura dei malati di Covid-19. In Canada e in modo particolare nella provincia dell’Ontario, nel mirino dei cybercriminalisono finiti alcuni siti scolastici «con l’intento di disturbare le lezioni online, verosimilmente a fine estorsivo o quale forma di protesta verso l’imposizione del distanziamento sociale». In Germania e soprattutto in Nord Reno-Vestfalia, sono stati duplicati siti istituzionali creati per fornire sussidi alle imprese in crisi, «in modo da carpire informazioni da aziende che intendevano presentare richiesta e rivolgere, a loro nome, regolari istanze sui siti ufficiali, ottenendo così fraudolentemente accesso alle sovvenzioni».””
– da pag.87. Mascherine, sussidi e reddito di cittadinanza. “”Il 28 marzo 2020, funzionari dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Gioia Tauro, unitamente ai militari della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, hanno intercettato due importanti carichi di materiale medico e sanitario, contenenti 364.200 paia di guanti sterili per uso chirurgico provenienti dalla Malesia e 9720 dispositivi endotracheali, provenienti dalla Cina, utilizzati per l’intubazione di pazienti con difficoltà respiratorie. Truffe del genere sono state scoperte in diverse località: da Bari a Perugia, da Roma a Lecce. Spesso, a muoversi in situazioni del genere sono le «teste di paglia», i prestanome. Oltre al rischio di trovarsi in mano prodotti contraffatti, ancora una volta è emersa la capacità di adattamento dei faccendieri dell’emergenza, come dimostra l’operazione «Pangea XII», che ha portato all’arresto in varie parti del mondo di 121 persone e al sequestro di farmaci potenzialmente pericolosi per un valore di oltre 14 milioni di dollari, tra cui più di 34.000 mascherine contraffatte e scadenti, «anticorona spray» e «medicine contro il coronavirus». Secondo l’Interpol, tra marzo e aprile 2020, le mascherine sono state il prodotto sanitario maggiormente oggetto di truffe. A Istanbul, in Turchia, ne sono state sequestrate circa 1 milione con l’arresto di cinque persone sprovviste di autorizzazione e che producevano in condizioni di totale insicurezza. In India, la polizia ha smantellato una fabbrica illegale e sequestrato più di 27.000 mascherine contraffatte nelle aree di Bangalore e nel Kerala. Gli autori della truffa avevano già venduto circa 75.000 unità a diversi ospedali e istituzioni statali. In Thailandia, la polizia ha perquisito una fabbrica che nella provincia di Saraburi vendeva mascherine usate come nuove.””
Sin qui il libro.
Certo, l’attuale emergenza economico-sanitaria innescata dall’epidemia rappresenta per le mafie un’occasione per trarne vantaggio usando la corruzione, molto ben radicata in Italia, come ben sappiamo, per infiltrarsi nelle tante increspature dell’economia legale e soprattutto della politica, felice porto di accoglienza. Per fermare questo scandaloso e letale fenomeno, che non riguarda soltanto il nostro Paese ma è ormai di portata globale, è necessario proporre riforme e leggi più incisive, condivise dall’intera Europa, che possano finalmente liberarci da quelle spaventose articolazioni di potere.
Passando ad altro, leggendo il libro, vado a ritroso con le mie esperienze professionali, soprattutto riferite alla mia quadriennale permanenza in Calabria (1993-1997), in particolare quale ultimo Comandante Provinciale dei Carabinieri di Catanzaro, prima che la Provincia madre venisse tripartita con le nuove province di Crotone e Vibo Valentia. Quindi posso affermare che furono conseguiti in quella ampia area regionale importantissimi risultati nell’azione di contrasto alla mafia calabrese.
Ricordo che a febbraio scorso, il grande Procuratore Nicola Gratteri, in TV, commentando l’ “Operazione Stige”, disse: “Questa di oggi è la più grande operazione per numero di arresti degli ultimi 23 anni. È un’indagine da portare nelle scuole di Magistratura per spiegare come si fa una indagine per 416 bis del C.P. Ben 169 arresti, che vede al centro dell’inchiesta le attività criminali della cosca Farao – Marincola, una delle più potenti della Calabria con ramificazioni anche nel Nord e Centro Italia (in particolare Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Lombardia) e in Germania (dove nel 2007 ci fu la strage di Duisburg), che fa capo a Giuseppe Farao, 71enne di Cirò (kr). Uno scenario già evidenziato dalle indagini della Procura Antimafia nei primi anni Novanta poi sfociate nell’ operazione “Galassia”.
Si, l’ “Operazione Galassia”, del 1995, condotta dal mio Comando Provinciale, che squadernò una realtà sconosciuta allora, e cioè l’inizio della scalata in Germania delle famiglie cirotane dei Farao e dei Marincola. Il 1 luglio del 1995 furono eseguiti ben 143 ordini di custodia cautelare nei confronti di appartenenti a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta. Tra gli arrestati, anche Cosimo Vernengo, fratello del capomafia Pietro Vernengo, al quale venne notificato in carcere il provvedimento, e Giuseppe Urso, anche lui della famiglia Vernengo; sei le persone arrestate in Germania. Il Procuratore Nazionale Antimafia, Bruno Siclari, che venne a Catanzaro per complimentarsi affermò: “ l’operazione Galassia è un altro notevole passo in avanti nella lotta contro la criminalità organizzata calabrese” auspicando che ”le altre Procure calabresi seguano l’esempio di quella di Catanzaro”, invitando Magistrati e Forze dell’ordine a continuare a lavorare ”per riportare nella nostra Calabria la pulizia di cui ha diritto”.
Ancora, leggendo nel libro di Gratteri e Nicaso dell’attuale situazione a Lamezia Terme, si riaccende il ricordo di altra memorabile operazione del mio comando, denominata “Primi Passi nel lametino”; primi passi, appunto, come si volle denominare tale indagine seguita dal grande e indimenticato Procuratore Capo, Mariano Lombardi, proprio ad indicare le difficoltà di operare in un territorio difficile dove prima di allora poco era stato fatto.
Termino, facendo riferimento alla cattura di importanti latitanti inseriti nella Lista “Tra i Primi 30” più pericolosi: Nicola Arena e Giuseppe (Peppe) Mancuso. La mattina del 6 luglio 1996, due valorosi graduati, di cui non cito i nomi per ovvi motivi, vestiti come lavoratori dei campi, sorpresero Nicola Arena in un terreno in località Meola, nei pressi di Isola Capo Rizzuto; il latitante se ne stava seduto su una pietra, a torso nudo, con un bastone di legno tra le mani. Ai carabinieri che, riconosciutolo, lo ammanettarono, non oppose resistenza, anzi si congratulò con loro. Da sempre, infatti, Nicola Arena era considerato il capo indiscusso della ’Ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, con ruolo egemone anche su altri Comuni del crotonese, grazie anche ai suoi legami con importanti cosche reggine e siciliane. Giuseppe Mancuso, invece, capo dell’omonimo clan che esercitava un’azione di supremazia nell’area provinciale di Vibo Valentia, fu catturato nel 1997 dai Carabinieri della Compagnia di Vibo, con il supporto dei formidabili ”Cacciatori di Calabria”, aventi come copricapo il tradizionale basco rosso.
Fatta questa carrellata su vicende passate, volute ricordare non già quale sterile autocelebrazione, quanto per rendere omaggio a Magistrati e Carabinieri di ogni ordine e grado che, a costo della vita, operarono con valore e inenarrabili difficoltà. Per quanto riguarda il mio periodo di Comando non posso non rinnovare il mio compiacimento al Comandante del Reparto Operativo dell’ epoca, il bravo Collega Pasqualino Ippolito, e a tutti i validi Carabinieri di ogni ordine e grado di Terra di Calabria con un ideale abbraccio.
Ho finito.