Roma, 29 maggio 2019 – Su “la Repubblica” di Torino, un interessante articolo di Giustetti e Griseri dal titolo: “I Giudici di Milano a casa Caccia. Sentito come teste l’ex collega”..Questa la sintesi: ””Milano riapre il caso..Il 23 maggio il Procuratore Generale Galileo Proietto ha ascoltato Mario Vaudano. Giudice Istruttore a Torino e collaboratore del Procuratore Capo ucciso nel 1983. Il mistero di un cassetto svuotato.. Sentiti anche i figli del Magistrato ucciso.. Al vaglio dei Giudici milanesi, le cassette registrate dal Giudice Luigi Moschella… C’era una cartellina nel cassetto centrale della scrivania del suo ufficio… Bruno Caccia, secondo Vaudano, custodiva lì le informazioni delicate che riguardavano alcuni Magistrati torinesi… ”L’ho vista con i miei occhi” racconta l’ex Giudice… Il Procuratore Generale di Milano, Galileo Proietto, il 21 maggio era a Torino nella casa dove Bruno Caccia abitava e dove vivono ancora i figli… per raccogliere anche la testimonianza di Vaudano.. Quel giorno si è riaccesa per la famiglia Caccia la speranza di scoprire la verità su chi voleva davvero la morte del Procuratore.. e adesso anche per Mario Vaudano, che da sempre dice di conoscere molti segreti .. di quegli anni… Con Caccia indagò sullo (storico nda) contrabbando dei petroli, avendo scoperto intrecci con i massimi livelli della Guardia di Finanza… ”Finchè un giorno mi ritrovai un bigliettino in ufficio, firmato dal collega Luigi Moschella…..dove c’era scritto: ”Caro Mario, sei bravissimo con le tue indagini. Ma stai attento”. L’ultima frase era sottolineata.. Vaudano consegnò quel bigliettino a Caccia. “Lo conservava in quel cassetto della scrivania.. non trovato in fase di sopralluoghi avvenuti dopo l’omicidio nel 1983.…””
Dunque, lo scandalo dei petroli…. la sintesi la leggiamo su ADIR, in articolo di Matteo Ronca.. “”Lo “scandalo dei petroli”, altrimenti detto “scandalo dei 2000 miliardi” , prese piede nell’autunno del 1980. L’incremento della domanda di prodotti petroliferi dipese dal fatto che si offrì il pretesto alle compagnie petrolifere per chiedere aumenti dei prezzi.. Le indagini, iniziate nel 1978, coinvolsero 18 diverse magistrature, tra cui quella di Torino… I diversi Uffici giudiziari svolsero indagini coordinate, nel tentativo, tutt’altro che agevole, di ricostruire la dinamica dei fatti di contrabbando. Risultò presto chiaro come questa cosiddetta truffa o scandalo fosse stata possibile “per le disposizioni legislative che la favorirono, per gli stretti legami tra la classe politica e gli uomini d’affari, per la connivenza di alti funzionari e ufficiali preposti ai controlli…. Consideriamo ora quali furono gli eventi prodromici che portarono alla nascita del procedimento del Tribunale di Torino (G.I. Mario Vaudano) … Per fare ciò è necessario un passo indietro, fino al 1976 e al c.d. “Rapporto Vitali“.
Nel 1976, Aldo Vitali, un Colonnello della Guardia di Finanza, compila “una nota interna di dieci cartelle” e 186 fogli di allegati. Nel rapporto Vitali parla di un grossissimo giro di contrabbando di petrolio... il “rapporto Vitali” finisce nelle mani dei superiori che subito informano il Comando Generale.
Dal Comando, retto da Raffaele Giudice, Comandante Generale del Corpo, e dal Capo di Stato Maggiore Donato Lo Prete, il 16 marzo 1976 arriva un ordine di trasferimento per Vitali e viene aperta un’inchiesta sul suo conto. L’accusa per Vitali è di essere “un militare troppo credulone e quindi poco serio”, e di aver esorbitato dalla propria competenza…””
Non continuiamo per brevità e perchè viene la nausea antiP2… oggi classificata P4… per divenire, speriamo di no..P5…
Dunque, il caso Caccia.. In primis, Rocco Schirripa, originario calabrese di 64 anni, panettiere, era stato arrestato, recentemente, nel 2015, con nuove indagini…
Per l’omicidio, dopo dieci anni dall’evento (26 giugno 1983), fu arrestato il mandante, Domenico Belfiore, esponente della ‘Ndrangheta in Piemonte, poi condannato all’ergastolo e dal 15 giugno 2015 ai domiciliari per motivi di salute. Caccia lavorava da tempo su numerosi fatti di ‘Ndrangheta tra cui alcuni sequestri di persona. Domenico Belfiore e il suo gregario, Rocco Schirripa, secondo quanto è emerso anche dalle ultime recenti indagini, avrebbero atteso il Magistrato a bordo di un’auto, appostati vicino alla sua casa. Belfiore avrebbe sparato a Caccia dalla vettura mentre Schirripa sarebbe sceso per finirlo con un colpo di pistola alla testa.
Sull’ omicidio abbiamo letto il bel libro di Giulio Cavalli, dal titolo: “Nomi, cognomi e infami”, pubblicato nuovamente da “Il Sole 24 Ore” (Il diario di un anno di storie raccontate da un attore di teatro che vive sotto scorta da due anni; scrittore e autore teatrale, noto anche per il suo impegno con spettacoli e monologhi teatrali di denuncia della criminalità organizzata). Cavalli, oltre al racconto di martiri della lotta antimafia, scrive anche del Magistrato Bruno Caccia, un esempio per tutti i Giudici della Repubblica per dirittura, rigore morale e serietà, per alto senso dello Stato, per sublime dedizione al lavoro. Inutile dire che di Magistrati della sua tempra c’è oggi enorme bisogno in Italia perché si ponga fine allo scempio della Legge e alle frequenti “interpretazioni evolutive” della Legge penale stessa, tanto cara a moltissimi “morbidi” Magistrati. “Eppure, nel 1983, in Piemonte, un Magistrato dallo sguardo severo e con il vizio antico della serietà indagava e combatteva con le armi della Giustizia…”. La Prefazione è di Gian Carlo Caselli: “ In Italia, per certi ambienti politico-culturali, il vero peccato non è la mafia, ma raccontarla. Coloro che fanno affari con la mafia amano il silenzio e molti osservatori lo praticano normalmente con un’attitudine a piegare la schiena che è piuttosto diffusa. Giulio Cavalli è decisamente in controtendenza (per questo deve vivere scortato)…” “Chi era Bruno Caccia? si chiede l’autore?..” Nel 1964 a Torino ricopre la carica di Sostituto Procuratore per passare a Procuratore Capo ad Aosta. Nominato nel 1980 Procuratore Capo della Repubblica a Torino, avvia indagini sulle B.R. e sui traffici della ‘Ndrangheta in Piemonte. Il lavoro di Caccia a Torino fa vacillare le basi del dominio ‘ndranghetista tra Torino e provincia. Caccia è quindi una vittima delle mafie del profondo Nord dei primi anni ’80. In quegli anni, sfogliando i giornali e riascoltando le voci di quel tempo, la mafia era un’ipotesi investigativa sovversiva che raccoglieva poco credito nella mentalità dei più. Eppure, nel 1983, in Piemonte, un Magistrato dallo sguardo severo e con il vizio antico della serietà, la indagava e la combatteva con le armi della Giustizia. I Giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno scritto nella sentenza di condanna del boss Mimmo Belfiore quale mandante: “Egli (il Magistrato) potè apparire ai suoi assassini eccessivamente intransigente soltanto a causa della benevola disposizione che il clan dei Calabresi riconosceva a torto o a ragione in altri Giudici… perchè questo clan aveva ottenuto in quegli anni la confidenza, la disponibilità o addirittura l’amicizia di alcuni di essi… ” Umile e forte di propositi, pochi mesi prima di morire, rifiutò la carica di Procuratore Generale della Repubblica di Torino … per non dispiacere ad un altro aspirante … ma anche per restare vicino ai suoi Sostituti… Quindi, una storia da raccontare e pubblicizzare al massimo per memoria e insegnamento…; la vita di un Eroe della Giustizia con la “G” maiuscola!””
Concludendo, visto che trattiamo l’argomento Giustizia, pur avendo, a differenza di tanti, sempre sostenuto la Magistratura quale presidio unico di controllo di legalità nello Stato unitamente alle Forze dell’Ordine, non nascondiamo delusione per questo caso giudiziario stravolto da storture procedurali e “novità sempre innovantesi”, tuttavia in parte risolto dalla incisività di Magistrati non disposti a fare i “distratti”…
L’auspicio però è che si giunga presto a sentenza definitiva che chiuda definitivamente il caso..! Non ci si può permettere di perdere altro tempo.. Infatti, questo la Giustizia con la “G” maiuscola impone!