Magistropoli. Dopo la vicenda Palamara quella di “Giornalistopoli”

Prefazione di Antonio Padellaro

PREFAZIONE
Roma, 24 febbraio 2021 – Antonio Padellaro, su “Il Fatto Quotidiano” del 26 novembre, ha scritto: “”Immaginiamo adesso che “Magistropoli”, il libro che state per leggere, sia anch’esso costruito come un castello: il castello della Giustizia impazzita. Che i suoi abitanti siano un centinaio di magistrati tra i più potenti e influenti. E che al posto del mazzo di tarocchi calviniani vi sia il trojan, il virus delle intercettazioni ambientali, che installato nei cellulari o nei computer, agisce come gli Achei celati nel mitico cavallo di legno progettato da Ulisse. La nostra guida, colui che attraverso una minuziosa e informatissima ricostruzione delle migliaia di carte (quelle di carta vera) in sequenza è riuscito a ricomporre le diverse narrazioni in un’unica grande narrazione (che compone un quadro senza paragoni e senza precedenti nella storia della magistratura italiana), io la conosco bene. E non soltanto perché fin dal primo giorno, Antonio Massari ha fatto parte della squadra che ha dato vita alla splendida avventura del Fatto Quotidiano. Be’, se fossi qualcuno che ha qualcosa da nascondere non vorrei essere braccato da lui e da Marco Lillo. Ti inseguono, ti incalzano, non ti mollano mai. È quello che Antonio ha fatto con Luca Palamara, un nome e un cognome dai molti significati. Il magistrato in carriera; l’uomo dei superpoteri, il Batman delle toghe a cui un numero imprecisato di suoi colleghi devono carriera, promozioni, ambizioni soddisfatte. L’amico che ognuno vorrebbe avere, quello che si fa in quattro, che non ti dice mai di no, che risponde sempre al cellulare (e in tanti se ne accorgeranno poi, a loro spese). Nell’incredibile “Diario” di Palamara c’è il naufragio progressivo e inarrestabile di un mondo, oltre che di un uomo. Assistiamo alla deriva di un sistema nevralgico nell’assetto costituzionale, di un’istituzione fondamentale, di un’idea di giustizia che Massari osserva e analizza con la necessaria distanza. Senza i compiacimenti di quel giornalismo che si arroga preventivamente il diritto di pontificare su chi meriti l’inferno e chi il paradiso. Antonio non giudica, non sentenzia ma vuole “capire”, approfondire, per meglio guidarci nei corridoi e nelle segrete del castello, là dove agisce il potere nascosto, e vanno in scena l’umana e la disumana commedia.””

DA “IL RIFORMISTA”
Su “Il Riformista” del 22 Maggio 2020, abbiamo letto l’editoriale di Piero Sansonetti.““Magistratopoli si allarga a macchia d’olio e coinvolge i giornalisti al soldo dei servizi segreti. Dopo magistratopoli ora scoppia giornalistopoli. Ma se i giornali sono stati molto silenziosi sullo scandalo Csm (e restano per abitudine silenziosissimi su qualsiasi scandalo che riguardi i magistrati), ora diventano veramente muti su giornalistopoli. Muti al 100 per cento. È un ordine di scuderia. Non ci sarebbe niente di male. Le intercettazioni che toccano i più importanti giornalisti dei più importanti giornali italiani, messe a disposizione degli stessi giornali dalla Procura di Perugia che indaga sul Caso Palamara, sono pure e semplici intercettazioni e non dimostrano che esista alcun reato da parte dei giornalisti. Sono intercettazioni infami, come sempre lo sono le intercettazioni. Dunque, a rigor di logica, perché bisognerebbe pubblicarle? Per una sola, piccolissima, ragione. Perché i giornalisti che stavolta sono stati intercettati sono esattamente gli stessi che di solito pubblicano paginate intere di intercettazioni, generalmente ai politici o ai loro amici o familiari, sebbene queste intercettazioni non contengano nessuna notizia di reato. Spesso, anzi, pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati, o per ottenere qualche aiuto nell’inchiesta o, più semplicemente, per iniziare a punire non essendo sicuri di poter poi ottenere la condanna, visto che le prove latitano. Le intercettazioni, e la loro pubblicazione, hanno un effetto fondamentale e incontrollato e immediato: sputtanano.””

IL LIBRO ‘MAGISTROPOLI’
Iniziamo la lettura di parti del libro “Magistropoli. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sul Csm e sul caso Palamara”, pubblicato il 26 novembre 2020, di Antonio Massari con Prefazione di Antonio Padellaro (pag.541).

– da pag.15. “”I documenti analizzati per scrivere questo libro mi hanno restituito la radiografia di più centri di potere nevralgici per il nostro Paese. La Magistratura, certo. Ma anche l’ Eni e il suo modo – sarà certificato dalle sentenze – di rapportarsi con la giustizia. Uno dei personaggi centrali di queste vicende è infatti l’ avvocato esterno dell’Eni, Piero Amara. (L’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, è un’azienda multinazionale creata nel 1953 sotto la presidenza di Enrico Mattei, che fu presidente fino alla morte a seguito di attentato nel 1962. Dal 2018 è l’ottavo gruppo petrolifero mondiale per giro d’affari). Ed è anche per questo che, più del caso Palamara, abbiamo deciso di intitolare questo libro Magistropoli. Gli atti dell’inchiesta che travolge Palamara nel maggio 2019, a mio avviso, lasciano aperti molti interrogativi che meriterebbero una risposta. Risposte che, probabilmente, non arriveranno mai. Per esempio: il Quirinale è a conoscenza o no, nella seconda metà di maggio, quando il CSM è pronto a nominare il futuro Procuratore di Roma, che da Perugia sta arrivando questa slavina? Negli atti c’è una labile traccia che porta in questa direzione: in un’intercettazione, Palamara sostiene di aver saputo da Cosimo Ferri, il quale a sua volta ne avrebbe avuto notizia da un membro del CSM, che un consigliere del Presidente Mattarella è al corrente dell’ esistenza delle intercettazioni e, addirittura, dell’ utilizzo del trojan. Il Quirinale e il consigliere giuridico in questione hanno sempre smentito. In quei giorni al CSM si realizza un improvviso rallentamento per quanto riguarda la Procura capitolina. Lo stesso Procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, membro al CSM del Comitato di presidenza, sarà intercettato il 21 maggio mentre – riportiamo la frase in una sintesi non testuale – dice a Palamara: «Prima dicono di fare presto, poi di rallentare». A cosa è dovuto questo cambio di rotta? Un membro del CSM, che proteggiamo con l’ anonimato, ci ha rivelato di aver ricevuto una confidenza da un collega del Consiglio, nella seconda metà di maggio: gli avrebbe detto di essere stato «messo in allarme» da un consigliere del Quirinale, tra il 21 e il 23 maggio, quindi prima della votazione in Quinta commissione sulla Procura di Roma il consigliere del Quirinale gli avrebbe annunciato che stavano succedendo «cose gravissime». Ma come poteva esserne al corrente? In quel momento storico, di Palamara, si sapeva che era indagato per corruzione a causa dei viaggi che aveva pagato l’ amico imprenditore Fabrizio Centofanti. Nulla di più. Niente che potesse far presagire il terremoto che stava per abbattersi sulla magistratura. Non c’ era traccia degli incontri di Palamara, Lotti e Ferri. Non ufficialmente. La mia fonte mente? Ricorda male? Non posso saperlo. Nulla vieta al CSM di individuarla e chiederle di argomentare. Se l’ ho individuata io, non dovrebbe essere poi così difficile.””

– da pag.70. “” L’Accerchiamento. La pericolosità di Amara, capace di condizionare fascicoli a Siracusa per depistare le indagini in corso a Milano, per di più su un centro di potere nevralgico a livello internazionale come l’ Eni, è il primo degli elementi da prendere in considerazione. In questo momento storico si crea un’ occasione irripetibile: Amara è sotto il fuoco incrociato di ben tre Procure, quelle di Roma, Messina e Milano. Non dobbiamo mai dimenticare l’ idea di fondo sulla quale il pool sui reati contro la pubblica amministrazione, guidato da Paolo Ielo, sta lavorando da tempo. In modo informale possiamo definire l’ esistenza di una «piattaforma nazionale di corruzione giudiziaria» e l’ esistenza di un coordinamento tra Roma, Messina e Milano sembra l’unica vera possibilità per vincere la partita. Il sistema Siracusa inizia a traballare dal 4 ottobre 2016 e, con esso, l’ influsso di Amara sulla procura. È una bella pagina per la magistratura italiana: otto PM decidono di denunciare alla procura di Messina. Ipotizzano che l’ azione della Procura di Siracusa «possa essere oggetto di inquinamento funzionale alla tutela degli interessi estranei alla corretta e indipendente amministrazione della giustizia». Gli otto magistrati di Siracusa inviano una nota anche alla Procura generale della Cassazione e al CSM. Il loro contributo sarà determinante per scoperchiare le manovre che attanagliano la Procura siciliana. Una Procura dove, per esempio, il PM Marco Bisogni che sta indagando su Amara (difeso da Calafiore) è oggetto di esposti presentati alla Procura generale di Catania, firmati proprio da Amara e Calafiore e finirà persino sotto procedimento disciplinare (dal quale comunque uscirà indenne). La Procura di Roma è sulle tracce di Amara per le indagini sui magistrati del Consiglio di Stato. I colleghi di Milano stanno dipanando la matassa del depistaggio ordito a Siracusa. Se davvero Amara, stretto da questo accerchiamento, decidesse di collaborare, per le Procure si pongono due obiettivi prioritari: il primo che Amara inizi a parlare, il secondo certificare la sua attendibilità. È questa la strategia principale che, nel gennaio 2019, le tre Procure di Roma, Messina e Milano hanno intenzione di portare avanti.””

– da pag.93. “”La coppia che scoppia. Le pagine che avete appena letto descrivono pienamente il livello di penetrazione che Piero Amara ha operato in due direzioni: da un lato all’interno del nostro colosso petrolifero, nei meandri di una parte della magistratura, al punto da essere considerato il dominus di quella che negli uffici della procura di Roma veniva definita informalmente una «piattaforma nazionale di corruzione giudiziaria». Ora potete comprendere quanto sia devastante l’ipotesi, giunta sulle scrivanie del PM di Perugia, dell’ eventuale complicità tra un uomo come Amara e un magistrato come Palamara, in grado, grazie al potere accumulato all’interno dell’ANM e del CSM, di determinare le nomine dei più importanti uffici giudiziari italiani. Nello stesso tempo, avete potuto cogliere quanto la sola presenza di un indagato come Amara, all’ interno della procura di Roma, abbia potuto determinare una spaccatura forse mai registrata prima. La stessa Procura nella quale Palamara ambiva, proprio nelle ore in cui si sviluppavano queste vicende, a ricoprire il ruolo di Procuratore aggiunto. Scegliendo di giocare la partita più importante: decidere chi avrebbe ereditato il posto di Giuseppe Pignatone e guidato negli anni successivi le sorti di piazzale Clodio. Ma ora riavvolgiamo il nastro e poniamoci una domanda necessaria per proseguire nella lettura di questo libro, dove vicende solo all’apparenza molto distanti tra loro finiscono per intrecciarsi. Chiediamoci, cosa unisce Palamara e Amara? Una persona: Fabrizio Centofanti, amico del primo e del secondo, con il quale, come sappiamo, è indagato per i giri di presunte fatture false. Non solo. Fu proprio la carta di credito intestata a Centofanti che pagò il viaggio a Dubai del PM corrotto Giancarlo Longo. Il PM che Amara utilizzò per avviare il depistaggio dell’Operazione Odessa. E Centofanti – questa è la scoperta che fa saltare sulla sedia gli investigatori – ha pagato più di un viaggio anche a Palamara.””

– da pag.456. “”Conclusioni. Il 9 ottobre – con la condanna in sede disciplinare – il caso Palamara giunge a un suo primo epilogo (resta aperta la vicenda penale per le accuse mosse dalla Procura di Perugia). E giunge alla sua conclusione anche questo libro. Scriverlo non è stato semplice, né facile. Non è stato facile, per esempio, districarmi nello scontro che ha visto come protagonisti i magistrati della Procura di Roma sul caso Amara. Ritengo sgradevole che il PM Fava abbia discusso, proprio con Palamara, che era indagato a Perugia, di chi avrebbe dovuto guidare la Procura umbra. E trovo un triste paradosso che, sempre Fava, sia stato incolpato per aver adito le vie istituzionali presentando un esposto al CSM. É difficile poi non rinvenire, nella scena finale che vede il CSM rimuovere Palamara, l’ipocrisia di un sistema che esorcizza il male additando un unico mostro. Il suo processo disciplinare, non v’ è dubbio, ha riguardato l’ orrido incontro all’Hotel Champagne di Roma. È vero che si è trattato di un unicum nella storia della magistratura, come ha sostenuto l’ Avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, ma potremmo essere più chirurgici e non nasconderci un’altra realtà: è stato anche l’ unico nella storia della magistratura a essere intercettato in un contesto simile. Palamara – pur continuando a sostenere che Lotti non ha mai avuto alcun ruolo attivo nelle sue trattative per la Procura di Roma – ha tentato di dimostrare di aver agito in una sorta di prassi, citando come testi molti capi di procure, vicepresidenti del CSM e persino ex ministri. Gli è stata negata questa possibilità. Gli è stato negato di essere processato insieme con gli altri consiglieri che con lui parteciparono al consesso di quella notte. Il calendario delle udienze è stato velocissimo. E la sentenza è giunta giusto in tempo per annoverare, tra i suoi giudici, Piercamillo Davigo, che ha lasciato il consiglio appena dieci giorni dopo. A Palamara è stato persino negato di leggere una memoria dinanzi all’ ANM il giorno in cui è stato espulso dall’ associazione che ha presieduto. Sotto il profilo formale, probabilmente, tutto ciò trova una sua ragione nelle regole del processo. Ma la verità non può essere circoscritta a un rito processuale. Di certo Palamara ha sbagliato. Ma che sia considerato l’unico, il reietto, l’intoccabile fuori dalla casta, il punito esemplare destinato a una moderna damnatio memoriae, non solo è profondamente ingiusto ma, soprattutto, non restituisce un’immagine veritiera della realtà. E quella che avete letto in queste pagine è soprattutto una storia di potere. Di gestione, conquista, mantenimento del potere. Il potere di nominare il Procuratore di Roma. Il potere di nominare il Vicepresidente del CSM. Il potere della politica e il potere della magistratura. Anche un giornalista ha un grande potere: può essere necessario fornire ai suoi lettori degli strumenti per formarsi un’opinione corretta e poter orientare le proprie scelte. Era a un passo dalla conquista di un ruolo di grande prestigio: si era ritagliato lo spazio per diventare Procuratore aggiunto di Roma. Lui, che aveva partecipato da consigliere del CSM a mille nomine in quattro anni, molte delle quali con i metodi che avete letto nelle chat, applicava lo stesso metodo a sé stesso. Ma ha fallito. E se ha fallito non è perché qualcuno abbia rovesciato quel sistema. Se ha fallito, non è perché i magistrati abbiano deciso una rivolta contro le logiche correntizie. Ha fallito per un trojan che gli ha infettato il telefono. Ha fallito perché l’osceno è diventato pubblico. E ora che quel trojan ha acceso la luce, la folla questuante che aveva intorno improvvisamente è scomparsa. Niente potere. Niente più toga. Niente più sudditi. Una condanna esemplare. Non è la storia di una risoluzione. È la storia di un vecchio re delle correnti. Ora è solo. Ed è nudo.””

Sin qui il libro.

Ora valutazioni e integrazioni per chi ha la pazienza di leggere. Nel recente articolo su questa testata: “Il sistema. Luca Palamara racconta di potere, politica, affari. Il libro intervista di Alessandro Sallusti” (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/il-sistema-luca-palamara-racconta-di-potere-politica-affari-49103/) ho concluso considerando che da anni la classe politica vuole che la Magistratura sia soggetta al proprio controllo. In primis, noi liberi cittadini e liberi pensatori dobbiamo rispettare le sentenze dei Magistrati, che ricordiamolo, ieri come oggi, svolgono attività di “supplenza” per le inguaribili inadempienze della politica, e da lunghi anni rappresentano con le Forze di Polizia l’unico controllo di legalità esistente per garantire la supremazia della Legge e la difesa del cittadino.

Ora concludiamo con il ricordo di un grande Magistrato di altri tempi, Paolino Dell’Anno, uno dei PM di punta della Procura della Repubblica capitolina (potrei citarne molti altri) nei tragici anni di piombo, certamente tra i più coraggiosi, determinati e preparati, da me ben conosciuto e collaborato nel quinquennio alla Compagnia Roma Trastevere.
Proprio Dell’Anno, il 5 maggio1976, a Roma, subiva un attentato dei NAP (Nuclei Armati Proletari), rimanendo ferito, fortunatamente in modo non grave,
Proprio lui, il PM Dell’Anno, che la “Mala” aveva soprannominato “Paolino Ergastolino” per la Sua capacità di sostenere la Polizia Giudiziaria nelle indagini e la sua determinazione ad emettere Ordini di Cattura (possibilità offerta ai PM dal vecchio rimpianto Codice di Procedura Penale) quando consentito; Lui, aveva in verità un carattere un po’ difficile, nel senso che nei rapporti di lavoro era molto esigente e contrario a tollerare ritardi da parte di chi lo collaborava e ciò comportava che taluni ne parlassero benissimo, mentre altri, in verità pochi, in toni meno apologetici, in quanto probabilmente redarguiti dal PM per minore zelo investigativo.
Ancora su Dell’Anno, c’è da dire che non solo fu oggetto di attentato da parte dei terroristi, come descritto, ma anche da parte della criminalità comune, tanto che nel 1973 ebbe la porta di casa bruciata con benzina, nottetempo, da parte di malavitosi del quartiere Primavalle, mia giurisdizione con nostro intervento. L’ incendio distrusse completamente la sua casa. Sia lui che sua moglie e i suoi tre figli maschi, allora bambini, stavano dormendo.
Proprio Lui, Paolino Dell’Anno, quando a novembre del 1978, a Patrica (FR), le FCC (Formazioni Comuniste Combattenti), gruppuscolo della galassia assassina dell’ultrasinistra uccisero il Procuratore della Repubblica di Frosinone, Fedele Calvosa, unitamente all’autista e all’Agente di “tutela”, chiese ed ottenne di prenderne il posto, operando, una volta assunte le funzioni con la consueta generosità e la stessa determinazione nella lotta alla Criminalità e al Terrorismo evidenziate nella Capitale e, cosa inedita per quell’area, nel perseguimento dei reati contro la Pubblica Amministrazione. Acquisì, così, notevoli benemerenze con risultati eccellenti, tanto da essere ancora oggi ricordato nella Provincia laziale, come anche e soprattutto a Roma dove, sino alla Sua fine prematura per malattia, nel 2005 (presenziai commosso alle esequie), ha svolto le alte funzioni nella Corte Suprema di Cassazione.
Ricordando l’attentato all’abitazione di Dell’Anno da parte di delinquenti di Primavalle, torna alla mente il nome di un altro grande PM della Procura di Roma, Mario Cannata, che svolse istruttoria con la verbalizzazione di parti lese non in Procura ma all’interno della Stazione Carabinieri di Montespaccato, con giurisdizione sul quartiere di Primavalle, collaborato dal mio Nucleo Operativo della Compagnia di Trastevere, nei giorni precedenti al ferragosto del 1975, proprio sui reati di estorsione da parte di quella malavita.

Questi i Magistrati di quegli anni bui.

Ho finito.

DEL DIRETTORE
Breve annotazione di vita vissuta, a conferma di quanto sopra affermato dal Generale Raffaele Vacca.
All’epoca, ero responsabile della Polizia Giudiziaria alla Compagnia Carabinieri di Roma-Montesacro. Mi limito, come Lui,  a parlare del solo P.M. Paolino Dell’Anno, pur potendo citarne numerosi altri… 
Il P.M. Paolino Dell’Anno, fu assegnatario di numerosi procedimenti penali avviati dalle mie investigazioni. Per guadagnare tempo nei procedimenti penali, molte volte mi convocava nel suo ufficio ove, sotto sua dettatura, scrivevo materialmente gli Ordini di Cattura, mentre il suo Segretario concludeva altre pratiche.
Preparati gli atti, quando si trattava di procedimenti con numerosi indagati, controllava l’agenda delle udienze e ordinava la data di esecuzione degli arresti per poter effettuare gli interrogatori in carcere, ai quali mi faceva presenziare quale dattilografo e conoscitore nei particolari delle indagini per le quali Egli, quale P.M., stava procedendo.

 

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