Mai ci fu pietà – di Angela Camuso

Ancora sulla banda della Magliana… a Roma non grandina ma diluvia!

Roma, 2 novembre 2021 – “Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Roma Capitale” il best seller di Angela Camuso sulla banda della Magliana alla sua V^ edizione

Un altro libro, quindi, come i precedenti basato su documenti dell’accusa anziché su risultanze processuali e sentenze definitive.

Un enorme lavoro di documentazione con centinaia di verbali di interrogatorio e di informative di Polizia Giudiziaria che è stato trasformato in un romanzo.

Da Franchino er criminale, primogenito di Magliana ai contatti con Cutolo e il Prof. Semerari, dal conflitto de “Er Negro”, alias Giuseppucci, con i “Pesciaroli”, alle vicende Buscetta, Abbruciati, Pippo Calò; dai grandi “cravattari” romani con in testa Memmo Balducci alle eclettiche attività giunte sino ad oggi di Flavio Carboni targato P2; dalle sentenze dell’ “Ammazzasentenze” Magistrato Carnevali alle criminali imprese di Danilo Abbruciati, al caso Moro, all’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, al rapimento di Emanuela Orlandi, sino alla misteriosa morte, nel 2012, di Angelo Angelotti, il bandito che tradì Renatino De Pedis, procedendo con le strepitose imprese del banchiere della Magliana Nicoletti fino alle recenti imprese del clan Fasciani di Ostia alle fantascientifiche imprese dell’Imperatore Nero, alias Massimo Carminati.

La Camuso, una giornalista coraggiosa, controcorrente, certamente scomoda.

Scritto con il ritmo narrativo del romanzo e con una rigorosa aderenza ai fatti, questo libro ripercorre le tappe di un sodalizio che ancora ai nostri giorni occupa un posto di rilievo nell’olimpo della malavita imprenditoriale.

L’autrice, che ha attinto per il suo lavoro a centinaia di documenti giudiziari, compresi quelli di Mafia Capitale, fa parlare i protagonisti senza omettere nomi, luoghi e circostanze in una sequenza agghiacciante di delitti e misteri.

Iniziamo la lettura di parti del libro, con la prefazione di Antonio Padellaro.

“”Questa nuova edizione di “Mai ci fu pietà” esce nel tempo delle fake news trionfanti. Nei nove anni trascorsi da quando Angela Camuso mandò in libreria la storia della banda della Magliana – di quel mondo criminale in stretti affari con la politica (Mafia Capitale) -, la cosiddetta post verità ha preso possesso della verità e ha inventato, manipolato, romanzato a suo piacimento. Ha stravolto a tal punto la realtà che l’informazione della carta stampata e televisiva è dovuta ricorrere a un faticoso sistema di verifica, il fact checking, che distingue il vero dal falso nelle “notizie” spesso costruite dalla implacabile fabbrica social. Ebbene, le venti pagine conclusive del libro di Angela Camuso, con le minuziose citazioni delle fonti su cui il libro è stato costruito (rapporti di Polizia, verbali di interrogatorio, memoriali) bastano da sole a dare un marchio di solidità fattuale (e di ottima scrittura) alle 260 precedenti. Sono la prova provata che la storia della banda della Magliana, e dunque della città di Roma, non ha bisogno di romanzi più o meno criminali quando sono i documenti a parlare, a spiegare, a gridare. Sono le “carte” a raccontarci l’implacabile commistione tra delitto e potere, in un crescendo shakespeariano di avidità e corruzione. Antonio Padellaro””

– da pag.230. “”L’ Imperatore nero. È il 18 aprile del 2013. Le cimici dei Carabinieri del Ros, piazzate dentro lo studio legale a Prati, in via Nicotera 29, dell’avvocato Pierpaolo Dell’Anno, difensore tra gli altri del camorrista Michele Senese, ‘O Pazzo, intercettano la voce di Massimo Carminati, “er Pirata” o “er Cecato”, l’ex Nar uscito quasi indenne dal maxiprocesso a quelli della Magliana pur essendo stato riconosciuto dai Giudici membro della banda. Carminati, scontata la lieve condanna, era tornato alla ribalta delle cronache del’99 per il clamoroso furto, compiuto insieme a Manlio Vitale, lo Gnappa, con la complicità di alcuni Carabinieri, alle cassette di sicurezza di piazzale Clodio (nella banca del Tribunale). Dopo quel fatto, “er Cecato” Carminati non era stato più coinvolto in procedimenti giudiziari per oltre un decennio. Nonostante le pesanti dichiarazioni su di lui e sugli affari che gestiva raccontate dal pentito Dario Marsiglia alla Procura di Roma già nel 2003, per gli inquirenti Carminati era rimasto fino al 2011 praticamente un fantasma. Fin quando a capo della Procura di Roma non era arrivato Giuseppe Pignatone, Magistrato antimafia, già Procuratore a Palermo e poi a Reggio Calabria. Di lì a due anni, quell’intercettazione nello studio dell’avvocato Dell’Anno sarebbe finita agli atti di un indagine che avrebbe portato a svelare l’essenza e il potere accumulato in quegli anni, nel silenzio delle istituzioni, della nuova banda della Magliana: organizzazione mafiosa moderna tipicamente romana all’interno della quale si era rafforzato un gruppo, con a capo Carminati, composto da rapinatori, ex estremisti di destra e colletti bianchi che era riuscito in pochi anni a condizionare pesantemente le scelte dell’amministrazione comunale riguardanti appalti pubblici milionari. Non solo. La cupola del “Pirata” aveva dimostrato di essersi infiltrata anche in Regione, in Parlamento e ai piani alti di colossi industriali a partecipazione pubblica come, appunto, Finmeccanica. Lo stesso Carminati, quando gli arrivò all’orecchio l’indiscrezione che a Palazzo di Giustizia si stavano occupando di nuovo di lui, iniziò a temere di non essere più, come fino a quel momento era stato, un “intoccabile”. Ossessionato dal sospetto di essere intercettato ovunque, tant’è che cambiava scheda telefonica una volta al mese e ordinava continue bonifiche da cimici nei luoghi che era solito frequentare, Carminati, però, non immaginava che fossero state piazzate delle microspie anche nello studio dell’avvocato Dell’Anno visto che il legale, dal momento che il bandito non lo aveva mai nominato suo difensore, era apparentemente un professionista a lui scollegato. Invece, i Magistrati che indagavano sulla nuova cupola avevano iscritto Dell’Anno nel registro degli indagati per mafia. Così, ogni volta che “Er Pirata” andava allo studio di via Nicotera, gli investigatori ascoltavano, trascrivevano e aggiungevano tasselli a un puzzle dai contorni sempre più agghiaccianti.””

– da pag.244.<<Mafia Capitale è una sorta di fiume carsico, che origina nella terra di mezzo, luogo nel quale costruisce la sua ragion d’essere e dal quale trae la sua forza, che emerge in larghi tratti del mondo di sopra, inquinandolo, per poi immergersi… si è in presenza di persone che, in luogo di armi, usano fatture false, contratti inesistenti, intestazioni fittizie, documenti falsificati con cui alterano gare pubbliche; che, invece di presentarsi presso gli uffici commerciali delle strade, si presentano ai palazzi pubblici – un territorio verticale in luogo di un territorio orizzontale puntando al loro controllo; che tuttavia, quando operano con siffatte modalità, che ha in dote anche la forza d’intimidazione che deriva dall’essere gruppo organizzato – che ha già compiuto l’accumulazione criminale originaria – forza d’intimidazione spesso nota agli interlocutori pubblici… Massimo Carminati (ricordiamo arrestato dai Carabinieri il 2 dicembre 2014 vicino alla sua villa a Sacrofano mentre guidava la sua Smart con a fianco Alessia, la sua compagna), capo indiscusso e temuto dell’organizzazione, per il suo passato e presente criminale è brand di un gruppo che in lui si riconosce e che con lui opera…>>. Con queste frasi, contenute all’interno delle oltre mille pagine di custodia cautelare notificate il 2 dicembre del 2014 i Magistrati della Direzione Distrettuale antimafia di Roma spiegavano l’essenza, unica nel suo genere, del gruppo criminale capeggiato dal “Pirata”. Un’organizzazione, scrivevano ancora gli inquirenti, che sarebbe <<un errore annoverare tout court nel catalogo delle nuove mafie>>. Perché «deve escludersi che la sua genesi sia recente e reputarsi che essa sia radicata da tempo, mentre deve ritenersi che essa sia stata investigativamente colta nella fase evolutiva propria delle organizzazioni criminali mature, che fruiscono, ai fini dell’utilizzazione del metodo mafioso, di una accumulazione originaria già avvenuta… Mafia Capitale, in questo differenziandosi e in parte affrancandosi dalle precedenti espressione organizzate capitoline come la banda della Magliana, ha avuto la capacità di adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, creando una struttura organizzativa di tipo reticolare a raggiera, che però mantiene inalterata la capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo nei confronti di tutti coloro che vengano a contatto con l’associazione. È un’organizzazione criminale che siede a pieno titolo al tavolo di altre e più note consorterie criminali, condizionandone l’attività sul territorio romano, che ha piena consapevolezza di se e del suo ruolo nella gestione degli affari illeciti della Capitale.
L’uomo che faceva da collegamento tra i due mondi, quello di sopra e quello di sotto, era Salvatore Buzzi, condannato nell’ ‘80 per un truculento omicidio, maturato all’interno di una storiaccia di truffe che gli era costata 14 anni e 8 mesi di carcere. Persona con rara propensione a delinquere, scrivevano di lui i Magistrati dell’inchiesta sulla nuova cupola. E infatti aveva beneficiato dell’indulto e infine della grazia, nel 94, e della riabilitazione, nel 98, a dimostrazione di come fosse riuscito a ingannare, di volta in volta, chi era incaricato di valutare la sua avvenuta rieducazione.
Durante la sua detenzione, Buzzi aveva iniziato a progettare la creazione di cooperative sociali per l’inserimento dei detenuti e delle persone socialmente svantaggiate nel mondo del lavoro. Buzzi proponeva di creare delle coop. per il reinserimento dei detenuti per reati comuni, come lui stesso, e politici. Il suo progetto aveva trovato appoggi e nella neonata cooperativa di Buzzi, denominata «29 Giugno Onlus» – dalla data, appunto del 29 giugno 1984, in cui a Rebibbia si tenne un convegno sulle misure alternative alla detenzione-, era stata impiegata come tesoreria l’ex brigatista rossa Emanuela Bugitti,condannata per traffico di armi con il Libano e per due omicidi, tra cui l’uccisione (il 12 maggio 1980) del poliziotto Alfredo Albanese, responsabile della Sezione antiterrorismo veneziana. Il braccio destro del nero Carminati, dunque, costruiva il suo impero ruotando nell’orbita della Sinistra radicale, circostanza anch’essa specchio del magma nel quale si muoveva quel mondo di mezzo di Mafia Capitale. La Onlus di Buzzi negli anni 99/2000, era entrata in contatto con la Lega Coop dell’area emiliano-romagnola, con la quale iniziò a collaborare nell’ambito delle pulizie industriali. Ciò aveva fatto compiere un primo salto di qualità alla Onlus, azienda partner, tra l’altro, dell’Università Roma Tre, che da li a pochi anni si sarebbe trasformata in un mosaico di Srl, consorzi e altre coop. La «29 Giugno» decideva a un certo punto di interessarsi anche alla raccolta dei rifiuti e manutenzione del verde.
E nel 2010 nacque la cooperativa «29 Giugno Servizi» attiva nel settore delle pulizie. Quindi, figlia di questa, la Coop Formula Sociale, che si occupava della gestione delle aree verdi. E poi il consorzio “Eriches” per l’accoglienza degli immigrati in Italia, che aveva registrato il suo scatto di qualità nel momento in cui gli era stata affidata l’emergenza Nord Africa. Il che aveva fatto si che “Eriches”, che a stento raggiungeva il milione di euro fino al 2010, avesse avuto un’impennata spaventosa di fatturato, 16 milioni di euro. Un impero, alla fine dei conti. Le coop. Rosse di Buzzi erano arrivate negli anni 2012 e 2013 a circa 60 milioni di euro di fatturato consolidato, accaparrandosi di tutto: dalla portineria a piccoli interventi di manutenzione per clienti di lusso come appunto la Terza Università, alle attività di prima accoglienza che avevano lo «scopo di favorire l’integrazione sociale dei cittadini appartenenti alle fasce deboli della società». Ovvero centinaia di persone assistite e centinaia di immobili da gestire per conto delle amministrazioni. Una caratteristica della banda della Magliana rimase quella che anche i capi intrattenevano a tutti i livelli relazioni criminali. Dal politico da corrompere , se ci arrivavano, al contabile, all’avvocato, ai capi mafiosi di altre città fino al meccanico che doveva ripulire la macchina sporca di sangue e allo zingaro addetto al recupero crediti. Sappiamo che chi svolgeva quest’ultima mansione, la riscossione del denaro,su mandato della banda e in particolare del banchiere della banda, Enrico Nicoletti, erano i Casamonica, che per la prima volta nella storia – è accaduto nel 2017 – verranno incriminati dalla Procura di Roma per il reato di associazione mafiosa. Mafiosa dunque, secondo i PM i Casamonica, da sempre al lavoro con mala romana di classe a loro superiore, dagli anni Settanta in poi e mafiosi, secondo i giudici, stavolta, anche Carminati e il suo gruppo,condannati in appello nel 2018 con un verdetto che riconoscerà al “Cecato” l’accusa di essere a capo di quella mafia che aveva infiltrato il Campidoglio. Chi scrive si domanda se la mafia di Carminati sia stata diversa dalla mafia dei Casamonica e se e quanto da quella dei Fasciani di Ostia, processati anche loro con la stessa accusa e condannati e assolti con verdetti discordanti. Pure gli zingari Spada, quelli che erano soppiantati ai Fasciani a Ostia, saranno successivamente accusati di associazione mafiosa e chi scrive si chiede se tutte queste associazioni mafiose non siano gruppi di mafiosi riuniti dentro la stessa mafia da sempre, la mafia romana, la stessa mafia della banda della Magliana che però i giudici all’epoca non riconobbero. L’ultimo capitolo di “Mai ci fu pietà” senz’altro ancora non è stato scritto.””

Sin qui parti dell’interessante libro. Ora, valutazioni, integrazioni e conclusione.

Su questa testata più volte abbiamo sostenuto la circostanza del perché, oggi, tutti si lamentano che in Italia non funziona la pubblica amministrazione con i suoi uffici centrali o distaccati; perchè la Giustizia è lenta mentre la sanità non va benissimo e la scuola e le Università sono carenti? Perché la prevenzione delle Polizie è insufficiente?

Ribadiamo il concetto che da tempo la politica ha occupato tutti gli spazi e la tecnica fa poco o nulla d’iniziativa per migliorarsi, sempre in attesa dell’imput della politica sul da farsi, però nei termini indicati dalla politica stessa.

Diciamo che questo è molto grave perché facendo così mettiamo a rischio la vita e la sicurezza dei cittadini.

Si ripristino i vecchi criteri, soprattutto si dia spazio al merito, ormai col “piqquattrismo” degli ultimi venti anni diventato una Chimera, e si vedrà un sostanziale miglioramento del quadro generale.

Sia certamente la politica a dettare le linee strategiche, ma dovrà essere la tecnica ai vari livelli di responsabilità a fare ciò che le compete.

Come una volta, in modo autonomo, incisivo e determinante.

A questo ci da una risposta l’ex Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone (ricordiamo nell’ incarico dal 27 marzo 2014 al 23 ottobre 2019. Dal 17 giugno 2020 ricopre la carica di Procuratore della Repubblica a Perugia, a seguito della nomina da parte del CSM), che anni addietro ha sostenuto: “Le persone perbene non riescono a fare carriera all’interno della pubblica amministrazione. Spesso le persone perbene all’interno della pubblica amministrazione sono quelle che hanno meno possibilità di fare, spesso fanno meno carriera. Spesso sono meno responsabilizzati perché considerati per bene”.

Secondo l’autorevole Magistrato Cantone è ora di recuperare parole che non si usano nel nostro mondo del lavoro.

Una è la parola “controllo”.

Si, ci vuole controllo!

 

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