Napoleone Colajanni oltre cent’anni fa descriveva mafia e corruzione, mali endemici del paese!
Napoleone Colajanni, esponente autorevole della politica dalla schiena dritta di un tempo ormai lontano, oggi impensabile, scrisse il suo libro “Nel regno della mafia”, centotredici anni fa.
Bene, a giugno, il saggio, è stato intelligentemente ristampato dalla Bur- Saggi Rizzoli, con bella prefazione di Attilio Bolzoni. Un libro da leggere, per capire! Vengono rivisitate “transazioni” e “relazioni amichevoli” fra boss e autorità statali e si racconta di Funzionari di Polizia che occultavano prove per proteggere uomini d’onore e picciotti; quindi, accordi, intrallazzi criminali e sodalizi. Possiamo davvero e motivatamente affermare che la mafia cambia pelle ma è sempre la stessa; e l’aria che si respira, leggendo questo libro, ci porta a ritroso nell’Italia a cavallo tra i due secoli passati, per condurci per mano sino all’Italia di oggi. Sembra scritto ai giorni nostri il libro di Napoleone Colajanni che, partendo dall’ omicidio di Emanuele Notarbartolo, ex Direttore del Banco di Sicilia, ucciso per essersi opposto agli interessi di “mammasantissima” e autorevoli boiardi di Stato, racconta la genesi della mafia d’affari. Chi era l’autore? Siciliano di Enna, mazziniano, già garibaldino (in Aspromonte fu fatto prigioniero dalle truppe governative; nel 1866, tornato libero, si arruolò nei Carabinieri di Genova, prendendo parte agli scontri di Lodrone, Condino e Bezzecca, e poi, l’anno successivo, riprese a lottare al fianco di Garibaldi nell’ Agro Romano, ottenendo una Medaglia d’Argento al Valor Militare). Divenne Deputato al Parlamento Nazionale, repubblicano, diventato famoso per avere denunciato con le sue formali prese di posizione il primo grande scandalo nazionale, quello della Banca Romana, che nel passato era stata la Banca dello Stato Pontificio, uno dei sei istituti che all’epoca erano abilitati a battere moneta in Italia. Con le sue interpellanze parlamentari, e grazie a un dossier avuto riservatamente sugli illeciti dell’Istituto di Credito, l’Onorevole Colajanni, nel 1893, provocò con coraggiose denunce la caduta del Governo Giolitti; una vera e propria tangentopoli “ante litteram”! Un ammanco di 9 milioni di lire, enorme per l’epoca, con stampa di banconote false per favorire Ministri, Sottosegretari e Parlamentari, ma soprattutto per concessioni di mutui a imprenditori traffichini legati alla prima grande speculazione edilizia di Roma neo-Capitale. Ne conseguirono arresti nei confronti di persone importanti e ci furono anche funzionari della banca che si suicidarono. Napoleone Colajanni, nel suo libro, scrive di mafia ma anche di corruzione e di vergognose operazioni bancarie, di accordi fra delinquenti e “galantuomini” del Parlamento, scrive anche di intese neanche tanto nascoste tra Giudici disonesti e di trame contro Giudici onesti, di depistaggi, di trattative fra Stato e mafia, di “oppressione legale e illegale”, di voto di scambio, di grandi elettori mafiosi. Narra, ancora, di ambiti politici di Destra e di Sinistra, di “anarchia di governo”, di “Ministri conniventi coi delinquenti”. A cosa ci riporta tutto questo, se non agli avvenimenti degli ultimi anni in un’ Italia dove politica e banche e finanza spregiudicata si sono intrecciate? Cosa dire di più? Forse è Colajanni stesso che ci illumina, nelle ultime pagine del suo libro, affermando: “Per combattere e distruggere il regno della Mafia è necessario, è indispensabile che il Governo italiano cessi di essere il Re della Mafia”. Un secolo dopo, invece, l’intreccio crimine organizzato, mondo degli affari e politica si ripresenta in termini sostanzialmente immutati anche se sarebbe stato legittimo pensare che lo sviluppo culturale, economico e civile del Paese avrebbe cancellato questa aberrazione.”Si può debellare la Mafia coi metodi mafiosi? Si può combatterla servendosi dei mafiosi nei momenti elettorali? Si può restituire ai cittadini colla iniquità fatta regola la fede nella giustizia? No, mille volte no!” L’ accusa dell’eminente Parlamentare è forte e micidiale, utilissima per capire bene le complicità tra segmenti dello Stato e logiche criminal mafiose, che ancora oggi inquinano il nostro Paese, purtroppo! Ma allora, ai tempi lontani del nostro racconto, che successe? Nulla, ovviamente; tutto si placò, allora, come tutto si placa oggi, nelle vicende italiane. “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…” diceva il grande Eduardo De Filippo; sì, perchè basterà far “passà a nuttata”. Infatti, Crispi, anche lui toccato dallo scandalo, uscì di scena, e Giolitti tornò a presiedere il Governo per ulteriori dieci anni della storia parlamentare italiana, i migliori, a dire di molti storici. Ma fu realmente così? Sembra proprio di sì, anche se il Fascismo creava le premesse della sua affermazione.