Nuovo allarme per l’ambiente con necessità di leggi più adeguate

Il Commissario Europeo all’Ambiente, Janez Potocnik, ha richiesto alla Corte di Giustizia Europea di sanzionare l’Italia con una multa di 56 milioni di euro e una penale giornaliera da corrispondere dall’emissione della sentenza fino a cessazione dell’infrazione di quasi 257.000 Euro.

E questo perchè sin dal 2007 era stato ingiunto all’ Italia di rispettare le norme comunitarie in merito alla gestione dei rifiuti in quanto presenti ben 255 discariche illegali di cui 16 con rifiuti tossici in Campania (con 51 discariche), Calabria (con 43), Abruzzo (con 37),  Lazio (con 32) e Sicilia (con 24). Di queste, solo 31 discariche hanno un programma di bonifica da concludersi nel 2012, mentre si progetta la realizzazione di altre bonifiche solo per altre 132. Ma Bruxelles lamenta anche che l’Italia non ha nemmeno informato di aver attivato un sistema di prevenzione, monitoraggio e sorveglianza adeguato per impedire la nascita di nuove discariche illegali. Il nostro Paese, tra i 27 Stati membri, si trova al 20esimo posto nella gestione dei rifiuti e apprendiamo che conferisce in discarica il 51% dei rifiuti cittadini contro il 38% di media dell’Unione europea mentre ricicla appena il 21% dei rifiuti contro il 25% dei restanti Stati Ue.

Tra l’altro, in questi giorni, a Roma, ci saranno sopralluoghi della Delegazione della Commissione dell’Ue, guidata dall’eurodeputata Judith Merkies, nell’ambito della missione di verifica della situazione del disastroso ciclo dei rifiuti nella Capitale; e tutto questo per l’esame dell’annosa vicenda della discarica di Malagrotta, da tempo esaurita (di proprietà privata, in cui con fior di denaro dei contribuenti da 30 anni si sversano i rifiuti di Roma) che avrebbe apparecchiature meccaniche differenziate non adeguate; seguirà, poi, altro sopralluogo alle cave di Pian dell’Olmo, che dovrebbe ereditare i fasti di Malagrotta. Al riguardo, il Ministro dell’Ambiente Clini, su quest’emergenza, il 30 ottobre, in audizione in Commissione Parlamentare Ecomafie ha detto: “Il Lazio peggio della Campania”, aggiungendo che c’è una situazione che è “..diversa da (quella) della Campania, che sembrava peggiore ma in cui abbiamo degli interlocutori..”. Non siamo nuovi a sanzioni da parte dell’ Europa; il 26 gennaio 2011, infatti, la Commissione Europea  ha inviato all’Italia due lettere di “messa in mora”, attraverso le quali contestava  il mancato recepimento di due sue direttive. Il recepimento, in verità, è stato tempestivo rispetto al termine previsto, ma “more italico”, il dispositivo creato ad hoc è stato insufficiente e non commisurato alla complessità della spaventosa situazione nazionale.

Davvero un’occasione perduta! Del resto, l’esigenza di rafforzare il sistema penalistico introducendo sanzioni dotate di maggiore afflittività era stata già avvertita dal Legislatore nazionale sin dal lontano 1997 prevedendo, appunto, l’ambizioso inserimento di un autonomo Titolo VI-bis del Libro Secondo del Codice Penale dedicato ai “Delitti contro l’ambiente”. Una Chimera! Esaminando brevemente il Decreto Legislativo entrato in vigore il 16 agosto 2011, tra l’altro, vediamo che ha introdotto modifiche sia al Codice Penale sia al Codice Ambientale. Per il primo, sono stati introdotti due articoli, il 727 bis e il 733 bis, che sanzionano, rispettivamente, chi “uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta”, con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro, ovvero chi “distrugge un habitat all’interno di un sito protetto” con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro. Certamente ben poca cosa nella patria delle ecomafie! Il Decreto apporta modifiche anche al Codice Ambientale (Decreto Legislativo n.152/2006), sanzionando in modo ovviamente minimale, i reati in violazione della difesa del suolo, per scarichi di liquami, e violazioni sui controlli; attività di gestione di rifiuti non autorizzata; l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee; traffico illecito di rifiuti e attività organizzata dello stesso traffico illecito.

Oltre alla novità dell’introduzione di sanzioni pecuniarie e pene detentive agevolmente prescrivibili, c’è una norma finalmente d’interesse, che è quella della “Responsabilità per negligenza”. Mi spiego: l’ordinamento giuridico italiano prevede la responsabilità penale delle persone fisiche e non delle persone giuridiche. Ora, recependo la direttiva europea 99/08, la responsabilità si estende anche all’ente, che risponderà penalmente dell’illecito commesso da un soggetto che rappresenta, individualmente o collettivamente. In sintesi, il Sindaco sarà ritenuto responsabile se l’illecito viene commesso da azienda che opera per conto dell’Amministrazione Comunale. La sanzione prevede, anche, e molto opportunamente, l’interdizione dalla funzione pubblica fino a sei mesi e la revoca delle autorizzazioni ad operare nel campo specifico che ha generato la violazione della normativa. Al riguardo, però, non è comprensibile il criterio seguito nella selezione operata in sede di stesura del testo definitivo della “novella”, atteso che, ad esempio, è stata mantenuta la responsabilità delle persone giuridiche per violazioni eminentemente formali come quella, ad esempio, delle violazioni della tracciabilità dei rifiuti (con il sistema SISTRI) e non già per fattispecie molto, ma molto più gravi, destinate a suscitare maggiore clamore e allarme sociale quali la provocazione di un disastro ambientale riconducibili agli artt. 434 e 449 C.P. e quelle di avvelenamento di acque destinate all’alimentazione di cui agli artt. 439 e 452 dello stesso Codice Penale.

Concludo, raccordando quanto sopra descritto con il noto caso ILVA spa di Taranto, dove il recente procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di quella Città nei confronti del presidente del CdA e di alcuni dirigenti consente di analizzare la reale portata delle disposizioni contenute nella norma e di valutarne gli effetti in termini di adempimento alle prescrizioni. In quell’inchiesta, il pericolo di reiterazione del reato, nonché la conseguente necessità di sequestro degli impianti aziendali sono stati atti necessari per l’ accertata inadeguatezza, o addirittura completa assenza, di un idoneo modello organizzativo di prevenzione dei reati ambientali. E questo perché, come previsto per legge, ogni tipo di persona giuridica, società e associazione, deve dotarsi di un valido strumento preventivo come il modello organizzativo per i reati ambientali. Va quindi considerato, in un’ottica necessariamente preventiva, come per la commissione, da parte dell’ente, del reato di cui all’art. 256 del Testo Unico Ambientale (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata), la sanzione massima pecuniaria irrogabile sia di poco superiore ai 450.000 euro, cifra sicuramente rilevante per una media impresa, ma non certo per grandi società (come l’Ilva) che, anche recentemente, hanno manifestato le capacità economiche per permettersi proposte di piani di intervento da centinaia di milioni di euro.  L’efficacia della sanzione risiede quindi solo nell’applicazione delle sanzioni interdittive irrogate dal Giudice penale, le uniche in grado di andare ad incidere effettivamente, oramai in senso repressivo, sull’attività aziendale dimostratasi illecita.

Sia infine chiaro un concetto di ordine generale. Il Magistrato penale interviene a reato commesso e applica la Legge; non sta a lui mediare e attendere che chi ha commesso il reato metta le “cose a posto”, una volta smascherato, per sminuire le proprie gravissime responsabilità; spetta invece alla politica, cioè agli enti locali, di svolgere incisiva e pressante attività di prevenzione, controllo e monitoraggio dei fenomeni, imponendo attraverso i propri organi l’adozione, se del caso, di provvedimenti drastici che scongiurino veri e propri disastri ambientali. Ma su questo piano, lo sappiamo tutti, siamo purtroppo carenti!

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