Nuovo libro di Anna Maria Turi: “Il garbuglio di piazza San Pietro”.
Wojtyla vittima di tre congiure
Dagli studi filosofici sulla fenomenologia della percezione a quelli sulle sensibilità speciali e sul misticismo religioso, Anna Maria Turi ha pubblicato numerosi saggi e biografie in Italia e all’estero.
Giornalista, fin da giovanissima ha collaborato alle maggiori testate nazionali spaziando su quotidiani e settimanali dai campi religiosi a quelli geopolitici, culturali, sociali e della grande cronaca collaborando come consulente e inviata a programmi televisivi di RAI e Mediaset.
L’Autrice Anna Maria Turi ha consegnato il libro ”Angeli e stigmatizzati” a Papa Francesco..
Durante il pontificato di Papa Woytila, si recò nella Cecoslovacchia comunista, in via riservata, per una serie di articoli sulla cosiddetta “Chiesa del silenzio” con intervista anche ad Alexander Dubcek ( già segretario e leader del Partito comunista slovacco n.d.a.).
Un’inchiesta giornalistica ora alza il sipario su quello che Giovanni Paolo II, parlando in confidenza dell’attentato alla sua vita, definì un “garbuglio molto grosso”.
Il libro, frutto di informazioni riservate e di nuove prove e testimonianze, svela l’identità di gruppi e di singole “entità” fra loro molto dissimili, ma che si compattarono nel progetto criminale del 13 maggio 1981.
Ed ecco date e luoghi di riunioni segrete con presenze insospettabili.
Terrorismo islamista, attività illecite violente, fanatismo cattolico politicizzato costituirono una incredibile associazione con cassa comune e creò, per l’impresa in Piazza San Pietro, un coacervo di presenze mai esistito.
Si narrano per la prima volta le singole attività dei vari “soggetti” in campo nell’anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima.
E incredibile fu che la tragica vicenda ebbe anche quell’unione in un nome sacro: “Fatima“, quasi una visione ultraterrena con la folle anche se mistica fiducia di un’ approvazione divina per il delitto che si voleva doveva compiere.
Iniziamo la lettura di parti del libro.
“”Prefazione di Carlo Palermo. Con l’attuale libro l’autrice subito spiega che in quell’azione si coordinano tre gruppi con funzioni di mandatari, due esterni ai Palazzi Vaticani, marcati da due differenti connotazioni, quella terroristica con valenza anche mafiosa e quella dell’estrema Destra fondamentalista cattolica diffusa in tutto il mondo; l’altro interno ai Palazzi stessi, e cioè di appartenenti alla gerarchia ecclesiastica in parte degli antimodernisti in parte dei corrotti. Su questo stesso fatto criminale in quattro occasioni mi sono trovato personalmente ad occuparmi, dapprima come magistrato, all’epoca in cui fui Giudice istruttore a Trento, quando già nel 1982 mi imbattei nella mafia turca e quindi nell’originaria apparente attività svolta come lupo solitario da Alì Ağca (tra i più estremisti “idealisti” Lupi Grigi) a contatto con i traffici internazionali di armi e droga; sia in seguito, quando ritenni di approfondire quell’episodio non più come magistrato, esaminandolo nel quadro dei plurimi attentati di cui fu oggetto il Papa polacco sia prima sia dopo l’avvento del Terzo Millennio. Il dato per me più inquietante è sempre stato quello dei due tentativi reali di uccidere il Papa (nel 1981 e nel 1982) da parte di soggetti di estrazione diversa (musulmana e cattolica) entrambi accomunati – anche al di là di ogni ipotesi di complotto – dalla identica esaltazione mistica contro il Pontefice polacco e dalla scelta del giorno. Questa ricorrenza – quanto meno strana – impone dunque un ulteriore esame sulle circostanze relative ai due attentati, episodi con punti di contatto e momenti di convergenza inequivocabili e quasi incredibili. Il primo e il più evidente è ovviamente quello relativo alla scelta del giorno: la commemorazione delle apparizioni di Fatima, un evento eccezionalmente significativo in relazione alla situazione del tempo (contrapposizione politica Usa-Urss, contrapposizione Khomeyni-Washington) e al ruolo ecumenico assunto dal Papa polacco dall’inizio del suo Pontificato con le sue continue peregrinazioni. Il secondo, altrettanto evidente, è la matrice integralista islamica e in particolare quella musulmano-sciita presente nelle forme più violente del Jihad islamico. Nell’attentato di Juan Fernandez Krohn l’anno successivo, nello stesso giorno, affiora in tutta evidenza la componente integralista cattolica, in particolare quella legata a un’interpretazione storica che misconosceva l’autorità del Papa. (Nel maggio del 1982, per l’anniversario dell’attentato avvenuto l’anno precedente in piazza San Pietro il Papa si recò a Fatima per ringraziare la Vergine di averlo salvato. Le cronache dell’epoca ci ricordano che un prete spagnolo, Juan María Fernández y Krohn, tentò di colpire il pontefice con una baionetta, ma venne fermato in tempo dai servizi di sicurezza. In realtà, come si saprà ufficialmente soltanto nel 2008, Giovanni Paolo II fu davvero ferito. n.d.a.)
Sì, credo che questa chiave di lettura ben esprima il contesto generale in cui venne posto in essere l’attentato contro il Papa da parte di Alì Ağca, come anche quelli successivi. E il libro oggi scritto da Anna Maria Turi, con la sua meticolosità d’indagine e la profonda penetrazione analitica che non si è mai fermata dinanzi ai rapporti più esteriori di Ali Ağca ma si è addentrata con le carte e personalmente nei Palazzi del Potere anche della Chiesa implicati in quest’ultima battaglia, penso possano fornire elementi concreti, utili, preziosi per comprendere quest’episodio chiave della nostra storia. Carlo Palermo””
– da pag.11.“”Questo libro nasce anzitutto dagli incontri svoltisi nel 1996 tra Mehemet Ali Ağca , che il 13 maggio 1981 aveva attentato alla vita di Giovanni Paolo II, e me, incontri avvenuti nel supercarcere di Montacuto nei pressi di Ancona. Da tali eccezionali occasioni scaturì il primo, fondamentale memoriale di Alì Ağca intitolato “La mia verità”, a mia cura (Newton Compton Editori, Roma 1996). Quanto alla presente opera, essa è motivata dal fatto di aver condotto negli anni successivi una lunga ricerca su quanto avvenuto prima, durante e dopo il 13 maggio1981 con lo studio di documenti, pubblicazioni e con la raccolta di testimonianze e con sopralluoghi, e di aver riflettuto ed effettuato sintesi non parziali, ma d’insieme, colmando i vuoti e rispondendo alle domande lasciate in sospeso dalle inchieste giudiziarie e dalle sentenze relative sull’attentato del Papa.”
– da pag.19.“”La congiura dell’altare. Ora Çelik, detto Atilla dai suoi accoliti, uno dei capi del gruppo turco politico malavitoso dei Lupi Grigi (Bozkurtklar in turco, noti anche col nome ufficiale di Ülkücüler, Idealisti) e capo, o quanto meno uno dei capi, di Ağca nel corso delle missioni criminali, scrive infatti nel suo libro “Sir’rin Sirri” uscito in Turchia nel 2002: “L’avevano convinto di essere un uomo santo, incaricato della missione di cambiare le sorti dell’umanità e della storia”. “L’avevano convinto”: ma chi? Non dimentichiamo che Alì Ağca, al tempo del processo in Corte d’Assise sul coinvolgimento dei Bulgari nell’attentato al Papa, aveva reiteratamente dichiarato che Oral Çelik era stato presente in piazza San Pietro in quel frangente, insieme ad altri due complici con mansioni di supporto all’azione. Ma i processi, anche quello d’Appello, lo avevano scagionato. Lo stesso Oral Çelik, in uno degli interrogatori cui lo sottopose il Giudice istruttore della terza inchiesta sull’attentato, Rosario Priore, disse che era responsabilità dei Servizi Segreti italiani e tedeschi l’aver messo in bocca ad Ağca la storia secondo cui lui sarebbe stato in Piazza San Pietro e avrebbe sparato al Papa. Oral Çelik fu tra gli assolti della prima sentenza sulla cosiddetta “pista bulgara” emessa il 29 marzo 1986 dalla Corte d’Assise di Roma, anche se era stato sempre latitante sia in sede istruttoria che dibattimentale. Ma la sentenza affermava anche che non era stato possibile accertare elementi obiettivi che certificassero la dichiarazione di Mehemet Ali Ağca e anche quella di Jalcyn Özbey circa la presenza a Roma di Oral Çelik nel momento dell’attentato al Pontefice. Non c’era, nonostante le indagini svolte anche dalla Corte stessa, alcun riscontro oggettivo circa il semplice passaggio di Oral Çelik in Italia in quel periodo. La Corte assolveva il nominato per insufficienza di prove, formula dubitativa in vigore a quel tempo. Il processo d’Appello confermò sostanzialmente la sentenza di primo grado. Ma l’assoluzione divenne piena per la sopravvenuta abolizione della formula dubitativa nel nuovo Codice di procedura penale: Oral Çelik non colpevole a tutti gli effetti. Oral Çelik il 14 novembre 1986 fu catturato in Francia con un passaporto falso a nome di Bedri Ateş. L’accusa era di traffico di droga e scontò tre anni in prigione. Quando la sua vera identità fu rivelata, fu estradato in Italia essendo stato identificato da Ağca, come s’è detto, in qualità di suo complice nell’attentato al Papa, ma fu assolto nel processo di Appello perché Abdullah Çath testimoniò in suo favore dicendo: “Çelik era con me a Vienna il giorno dell’assassinio”. Quando si apre la terza inchiesta sull’attentato condotta dal Giudice Rosario Priore, le dichiarazioni di Oral Çelik, finalmente presente davanti agli inquirenti, svelano qualcosa di nuovo. Il Giudice lo interrogò a lungo nel 1994 dopo che questi aveva reso affermazioni informali alla polizia giudiziaria. Una lunghissima amicizia aveva legato i due, fin dalla frequentazione della scuola. Un aiuto continuo quello dato da Çelik ad Ağca nel corso della comune attività terroristica.””
– da pag.192.””Non erano passati due mesi dalla fine del processo a carico di Ağca che, basandosi sui succitati ragionamenti del Giudice Santiapichi, il 23 settembre 1981 la Procura di Roma prese la decisione di una seconda istruttoria sull’attentato al Papa, inchiesta che fu affidata al (grande n.d.a.) Giudice Istruttore Ilario Martella. La nuova istruttoria era anche a carico di presunti ignoti complici dell’atto terroristico…””
– da pag.265. “”La sorte di “Noti” e “Misteriosi” nella storia dell’attentato al Papa. Sembra che Giovanni Paolo II più volte abbia chiesto allo Stato italiano di concedere la Grazia a Mehemet Ali Ağca secondo le rivelazioni di sua madre Muzeyen. Quando il figlio l’ottenne il 13 giugno del 2000 dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ufficialmente la Santa Sede, per quella circostanza, si era dichiarata “non contraria” al provvedimento. L’attentatore usciva dal carcere italiano ancora gravido della maggior parte dei suoi segreti. Il giorno successivo alla liberazione, Ali Ağca venne estradato in Turchia, a Istambul, ed entrò nel carcere di massima sicurezza di Kartal Maltepe. Da quel momento dovette scontare dieci anni per l’assassinio del giornalista Abdi İpekçi.””
– da pag.269. “”Il figlio di Calvi: La chiave del giallo nello scandalo Ior”. Il “suicidio”. Il 18 giugno 1982 sotto il ponte di Balck Friars, nel cuore di Londra, viene trovato morto, impiccato, il Presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi. Il processo per il crac dell’istituto di credito era cominciato un anno prima. La magistratura britannica archiviò la pratica come un caso di suicidio. Solo di recente nuove perizie hanno accertato che Calvi venne assassinato. L’anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II segna un mistero lungo vent’anni. Dal 13 maggio 1981, tre inchieste della magistratura, e nessuna risposta all’interrogativo sui mandanti di un crimine senza precedenti nella storia moderna. Ma ecco giungere dalla Turchia le dichiarazioni di Oral Çelik, boss mafioso che dava ordini ad Ağca nella sua lunga marcia verso Piazza San Pietro: né l’Est né l’Ovest – dice il “lupo grigio” – hanno complottato ai danni di Wojtyla, perché i mandanti vanno ricercati in certi ambienti vaticani, sostenuti da ambienti dei Servizi Segreti italiani. È bene ricordare che all’epoca il Vaticano doveva risolvere il problema del colossale “buco” nelle sue finanze, creatosi per l’aggrovigliata storia dei suoi rapporti con il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.
È perciò a Carlo Calvi, figlio del banchiere assassinato a Londra il 18 giugno 1982, che chiediamo di parlarci dei retroscena a sua conoscenza riguardanti quei crimini e di quanto, eventualmente, è rimasto finora sepolto nel patrimonio dei ricordi di famiglia.
Dottor Calvi, torniamo alla fine degli anni Settanta e agli inizi degli anni Ottanta, fitti di delitti e di misteri, i cui nodi sono ancora da sciogliere. Per la parte che ne ebbe suo padre, lei cosa ne sa?
L’omicidio di mio padre, come l’attentato al Papa dell’anno prima, servirono a scongiurare la rivelazione dei rapporti tra politica, economia e crimine. Quando più violenta si fece la pressione esercitata su mio padre affinché mantenesse il segreto sull’uso che si faceva dell’Ambrosiano, e quindi dello IOR, per finanziare attività politiche e progetti occulti, lui pensò di difendersi informandone il nuovo Papa. E lo fece all’insaputa di tutti, anche di Marcinkus. Giovanni Paolo II, una volta eletto, fu per qualche tempo all’oscuro delle attività coperte dei due istituti, mentre papa Montini ne era stato sempre perfettamente al corrente. Così Papa Wojtyla venne informato da mio padre del complesso meccanismo di triangolazione chiamato “conto deposito”, che consentiva al Banco Ambrosiano di Nassau di finanziare il IOR tramite la panamense United Trading Company con conto presso la Banca del Gottardo di Lugano.
A questo punto iniziò una guerra a Calvi e al Papa?
Esattamente. Io allora vivevo a Washington e mi sono rimasti particolarmente impressi gli incontri con mio padre che a volte, per raggiungermi, rimandava impegni importantissimi. Lo scopo era di trasmettermi il senso del pericolo incombente sulla nostra famiglia. A me, a dir la verità, quei presagi allora sembravano esagerati. Ma poco prima dell’attentato al Papa, mio padre volle che ci ritrovassimo tutti insieme in Svizzera: e fu allora che lui, fortemente preoccupato per la nostra incolumità, fece pressioni affinché anche mia madre e mia sorella lasciassero l’Italia.
A lei raccomandava di guardarsi da qualcuno in particolare?
Da Umberto Ortolani, per esempio, cui attribuiva un potere sinistro, e dal suo giro. Dopo il 13 maggio, mio padre cominciò le pratiche per trasferire mia madre e mia sorella in Canada.
Lei, dunque, sostiene che i mandanti dell’attentato al Papa e quelli che, un anno dopo, uccisero suo padre furono gli stessi?
Esattamente. Concordo, in questo, con le dichiarazioni di Oral Çelic. Molti si sentivano assediati da un Papa che ormai “sapeva”.
Ma suo padre, all’indomani del 13 maggio, accennò ai nomi dei presunti mandanti?
Mio padre era un uomo riservato. D’altro canto, si guardava bene dal renderci depositari di verità particolarmente scottanti. Comunque, sì, li collocava all’interno del Vaticano, lacerato dalle lotte di potere, dove i rapporti, esasperati, assumevano forme di vera e propria violenza.
Suo padre le disse chiaramente: “Hanno colpito il Papa gli stessi che stanno facendo la guerra a me?
Sì, inquadrò gli eventi nello stesso contesto in cui avvenivano gli episodi di aggiotaggio miranti a colpire lui personalmente. Stesso contesto, stessa regia. A soli sei giorni dall’attentato, un rapporto dei servizi segreti italiani menzionava fatti e circostanze che misero gli inquirenti sulla pista dell’Est. Ricordo che all’indomani di quel 13 maggio 1981 Francesco Pazienza corse da me alle Bahamas e, invitandomi a cena la sera stessa del suo arrivo, non fece che parlarmi dell’attentato suggerendo, ambiguamente, quella che sarebbe diventata la pista bulgara.
Parliamo degli esecutori materiali. I Magistrati hanno scoperto tracce dei contatti tra Ağca e la mafia siciliana. La polizia ha accertato che il turco, pochi mesi prima dell’attentato,soggiornò a Palermo dove giunse dalla Tunisia. Adesso Çelik svela che nel capoluogo siciliano avvennero contatti determinati per l’esecuzione dell’attentato. Questo le fa venire in mente qualcosa?
Mi fa venire in mente l’impiego del crimine organizzato, per esempio,nell’attentato a Roberto Rosone, Direttore generale dell’Ambrosiano, da parte di Danilo Abbruciati, boss della banda della Magliana. La caratteristica della banda era di accomunare criminali e terroristi, come gli “espatriati” di estrema destra a Londra, legati al mondo degli antiquari.””
Sin qui parti del libro.
La bravissima scrittrice Anna Maria Turi, conosciuta alla presentazione del suo bellissimo libro “L’agguato sul Lungotevere – Storia del Colonnello Antonio Varisco” Edizioni Segno , onorandomi di prendere la parola il 20 giugno 2019, a Roma, avendo ben conosciuto e collaborato quel grande Ufficiale, volle anche invitarmi alla presentazione, insieme con altri giornalisti, tra i quali il grande amico Ulderico Piernoli, del libro sulla tragica vicenda di Emanuela Orlandi.
Per chi volesse leggere i miei articoli sui due libri citati, sono qui allegati i due articoli di questa testata di cui è direttore il giornalista Salvatore Veltri.