Cantore, il mitico Generale Combattente che ha voluto sempre e per primo dare l’esempio; non un Generale comune, un burocrate, a chilometri dal fronte, ma un Comandante di Divisione di intemerata coscienza, audace e presente in prima linea, dove l’osservare, decidere, pagare di persona erano il suo imperativo categorico. Per gli Alpini era un Dio, certamente non minore, che tutto otteneva perché ai suoi Soldati tutto dava, in primis l’esempio. Riuscì a creare, fra Capo e soldati, quella perfetta sintesi di spiriti e di intenti che è premessa di coraggio e quindi di eroismo che portano a sicura vittoria.
Il destino lo fece cadere con “la bella morte”, idealizzata dal Poeta Soldato della Nuova Italia, il sommo Gabriel “Ariel” d’Annunzio, ma sognata anche da taluni combattenti di quell’epoca ancora romantica ed estetizzante che, nei primi mesi della guerra, ne erano stati forgiati. Centrato da un proiettile in fronte da un cecchino subito entrò, come meritava, nell’Olimpo degli Eroi di stampo risorgimentale! Fu il primo Generale a morire di ardimento, anche se non l’unico; la sua morte fece scalpore e fece scoprire che anche i Generali potevano cadere in battaglia, come umili combattenti tra umili combattenti. Ma Cantore non è morto, il suo spirito aleggia lassù, nella conca di Cortina, a Forcella Negra, guardando Le Tofane, studiando l’attacco agli Austriaci, come sempre granitico, pensoso, tutto chiuso nel suo mitico impermeabile nero di guerra, con in testa il berretto da Generale e in mano un comune bastone, ai piedi della gelida montagna di roccia nuda sulla quale già si trovavano guardinghe le aquile dagli artigli implacabili della Vittoria delle armi d’Italia del 1918.
No, Cantore non è morto, il suo nome era sulle labbra di tutti gli Alpini della grande guerra che lo avevano soprannominato il “Vecio”, ma è ancora nel cuore di tutti i “bocia” del dopo guerra sino ad oggi; sì, ancora oggi Cantore è vivo, e guarda sereno coi suoi occhi acuti e vividi la sorte che dev’ essere vittoriosa, che non deve deludere; ed è così che lo vediamo raffigurato nel monumento a Cortina d’Ampezzo che incute timore, rispetto e ammirazione in chi l’osserva. Questi purissimi Eroi della Patria, quelli del “Paradiso di Cantore”, aleggiano tra i presenti quando sfilano le migliaia di iscritti all’Associazione Nazionale Alpini (ANA) nelle memorabili Adunate nazionali (come in quella per me indimenticabile, l’81^ di Bassano del Grappa, a maggio 2008, alla quale assistetti onorato) anche perchè nella sfilata c’è sempre una scritta che provoca emozione, quel sentimento derivante da una memoria che non può spegnersi, soprattutto per il popolo delle Penne Nere della Carnia. “SFILANO CON NOI – si legge in uno striscione – MARIA PLOZNER MENTIL (uccisa da un cecchino austriaco il 15 febbraio 1916 e decorata di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria nel 1997) E LE PORTATRICI CARNICHE”, donne che nella Grande Guerra, formidabili e leggendarie ausiliarie degli Alpini, divisero con essi sacrifici e rischi, portando nella prima linea con le loro gerle viveri, bevande e munizioni. Così sfilano solenni, nelle Adunate, le grandi Penne Nere carniche, il cui impegno si è manifestato e si continua a manifestare in tutti i compiti di volontariato assunti sia a livello nazionale che internazionale, ad iniziare dalla ricostruzione della propria terra, il Friuli, devastata dal terremoto del ’76; una mobilitazione che non ha avuto bisogno di speciali stimoli in virtù proprio di una realtà che vuole la Carnia Terra generosa e “scarpona” per eccellenza; una Terra dove la memoria dei Suoi Caduti è assicurata certamente dalle Sezioni dell’ANA, ma soprattutto nell’ambito delle Famiglie in cui è regola trovare un Alpino di vecchia come di nuova generazione. Ed è così per la signora Anna Maria Antoniacomi, classe 1921, di Forni di Sopra, “donna carnica di tempra montanara”, come la definisce un mio caro Amico friulano, il Luogotenente dei Carabinieri Mario Benedetto Tabacchi, che la conosce bene; certamente forgiata, aggiungo io, nello stesso nobile metallo di Maria Plozner Mentil. E’ figlia e sorella di due eroici Alpini, dei quali custodisce, quale vestale della memoria, la loro struggente ma ammirata ricordanza. Il Padre, Generale Ferdinando Antoniacomi, tipica figura di vero Italiano, in guerra e in pace, fu volontario nel 1912 nel 3° Reggimento Alpini e l’anno successivo divenne Sottotenente di complemento nell’8° Reggimento. Ferito e mutilato durante il combattimento nel giugno 1915 nella zona del Montenero, fu proposto per grande atto di valore per la Medaglia d’Oro al VM, ma gli fu concessa solo quella d’Argento. Va ricordato che con la conquista del Montenero, in quella che viene definita la “Prima battaglia dell’Isonzo”, nel giugno del 1915, le nostre truppe da montagna diedero al Paese il primo importante successo di guerra, compiendo una mirabile impresa che destò profonda ammirazione anche nel nemico, tanto che una nota cronista di guerra austriaca, Alice Schalek, a tal proposito scrisse che quando al fronte si parlava della vittoria dei nostri Alpini sul Montenero, si soleva aggiungere “Giù il cappello davanti agli Alpini; questo è stato un colpo da maestro”. Fernando Antoniacomi si distinse anche nella difesa di Gemona e del ponte di Braulin sul Tagliamento, ponendosi a difesa della popolazione civile. Promosso Colonnello nel 1940, nel ’44-’45 partecipò alla Resistenza svolgendo attività di collegamento con le Brigate partigiane Osoppo e Garibaldi. In tale ruolo si distinse in due episodi che ben lumeggiano la forza d’animo ed il coraggio leonino dell’Ufficiale, quale la presentazione ad Udine, al Comando tedesco, per costituirsi in sostituzione di un omonimo internato in sua vece; l’altro episodio lo vede salvare il paese di Forni di Sopra dalla distruzione da parte dei Tedeschi presentandosi con il Parroco e offrendo la propria vita. Con lo stesso spirito, dopo lunghe trattative, ottenne la resa di due Reggimenti di Cosacchi. Arrestato e tradotto a Tolmezzo, fortunatamente ebbe salva la vita. Nel 1947, nel grado di Generale lasciò il servizio attivo -venendo dopo qualche anno promosso al rango di Corpo d’Armata- iniziando nel dopo guerra ad operare al servizio della sua gente quale validissimo Presidente della Società Carnica di Autotrasporti, e poi, nel 1952, quale Commissario Straordinario contro l’epidemia di afta eliminandola del tutto. Per tante e tali benemerenze egli è ancora ricordato per la rinascita della Carnia, sempre con genuino spirito d’Alpino e autentico figlio di quella Terra. Ricordiamo anche il fratello della signora Anna Maria, Elio, nato a Gemona del Friuli nel 1919, che dopo la frequenza dell’Accademia Militare di Torino, Alpino anch’egli come il Padre, fu Tenente della 34^ Batteria di Artiglieria da Montagna, decorato di Medaglia d’Argento al V.M. sul Fronte Orientale con la seguente motivazione: “Sottocomandante di batteria alpina, durante violentissimo attacco, vedendo l’integrità dei propri pezzi ormai compromessa dall’immediata vicinanza del nemico, scattava all’assalto alla testa di un nucleo di volontari. All’arma bianca e con furente lancio di bombe a mano, inchiodava l’attaccante. Con pronta e risoluta decisione, ritirava i pezzi su altre posizioni, portandoli in salvo” – Iwanowka – Russia, 22 dicembre 1942. Fatto prigioniero, morì nel campo di Miciurinsk. Alpinista appassionato, formatosi nella Scuola di roccia di Aosta, dedicò le sue grandi energie scalando le vette cadorine e carniche a cui, per genetica predisposizione, era particolarmente legato. Fu in Albania, in Grecia e quindi in Russia, dove lasciò la Sua meravigliosa giovinezza, ma non certamente la memoria della Sua breve ma eccezionale vita e del Suo adamantino esempio. Quindi, un Padre e un Figlio, due vite, anzi potremmo idealmente dire una sola vita vissuta in intima comunione e continuità affettiva e di idealità, ahimè troppo presto spezzata, tutta spesa sul fronte del Dovere e dell’amor di Patria.
Percorrendo i viali e i gradoni del Cimitero degli Invitti, sul Colle di Sant’Elia a Redipuglia, si incontrano due tombe vicine, che osservandole fanno trasalire portando al ricordo di Ferdinando e Elio Antoniacomi. Ci sono le spoglie mortali del Maggiore Giovanni Riva di Villasanta, eroicamente caduto nel 1916 nel Trentino e di suo figlio Alberto, Sottotenente dei Bersaglieri appena diciottenne, Medaglia d’Oro al VM, che cadde al bivio di Paradiso pochi minuti prima della cessazioni delle ostilità, mentre alla testa dei suoi valorosi Bersaglieri con intemerato coraggio inseguiva il nemico in ritirata. La sua gloriosa morte fu esaltata e rievocata anche da Gabriele d’Annunzio il 5 Maggio 1919 all’Augusteo di Roma. Davanti a quelle due tombe avvolte nel silenzio il visitatore sosta e legge una scritta che celebra quell’eroico ragazzo di nome Alberto, Sottotenente diciottenne dei Bersaglieri, e nel leggerla non può non trattenere la commozione. “Guardami il petto, Babbo e dimmi: sei contento? Alberto più che mai tuo Padre ora mi sento! Ma la povera Mamma rimasta così sola? Un’altra Madre, Italia, di noi la riconsola!”
Così certamente lassù, sulle lontane Montagne del “Paradiso di Cantore”, Elio Antoiacomi, Tenente Alpino poco più che ventenne, con queste parole, il 3 giugno del 1973, avrà accolto il Suo amato Papà Ferdinando…; sì, proprio lassù, su quelle lontane montagne, note come il “Paradiso di Cantore….”.